L’industria creativa ha deciso che il MeToo è superato?
Dopo anni di attenzioni a non sessualizzare i corpi femminili, il nuovo calendario Pirelli è tornato a proporre foto di nudi, e non è l’unico
Questa settimana è stata presentata l’edizione del 2025 del calendario Pirelli, famosissimo dagli anni Sessanta per via delle foto di modelle e attrici nude, ma che da una decina d’anni ha preso una direzione un po’ diversa. Quello del 2016 era stato affidato alla fotografa Annie Leibovitz che l’aveva dedicato al tema delle conquiste femminili, e da lì in poi era stato in generale molto meno nudo e a tratti più artistico e politico, con donne famose ritratte in modo più introspettivo ed edizioni dedicate solo a persone nere.
L’edizione dell’anno prossimo è stata presentata come un ritorno all’approccio originario che aveva reso famoso il calendario: con celebrità nude, mezze nude o in pose sensuali, dalla cantante Elodie all’attrice Hunter Schafer (ma ci sono anche uomini). Il fotografo che se n’è occupato, Ethan James Green, ha detto di aver deciso di tornare al «sexy classico» e che la Pirelli – l’azienda italiana di pneumatici che inventò il calendario come strumento promozionale – era perfettamente d’accordo. Green ha spiegato che «il MeToo ha imposto a tutti di fare una pausa, che è una cosa positiva», ma che lui ha voluto tornare a «quello che pensiamo quando pensiamo al calendario Pirelli».
Green fa riferimento a quella che è stata forse la tendenza più forte ed evidente degli ultimi anni nel mondo della moda, della pubblicità e dell’industria creativa in generale, e cioè la messa in discussione della centralità del punto di vista maschile ed eterosessuale (il cosiddetto male gaze), e di conseguenza della dilagante sessualizzazione e oggettificazione dei corpi femminili e delle donne.
Il grande movimento nato negli Stati Uniti contro gli abusi e le discriminazioni sistemici sulle donne nel mondo dello spettacolo, diventato noto in tutto il mondo come MeToo, ha avuto un ruolo fondamentale in questo cambio di approccio, ma non è stato l’unico fattore. Negli ultimi dieci anni i prodotti culturali hanno rispecchiato una generale maggiore consapevolezza rispetto alla considerazione non solo delle donne ma anche delle minoranze, guidata da organizzazioni, attivisti e media un po’ in tutti gli ambiti della società. Il calendario Pirelli “femminista” di Leibovitz, infatti, uscì nel 2016: un anno prima del MeToo.
Questa tendenza culturale è stata inizialmente un modo per portare avanti progetti creativi innovativi, che hanno fatto parlare e portato visibilità ai marchi che li hanno proposti. Ma il fatto che dopo alcuni anni il calendario Pirelli abbia deciso di tornare almeno in parte all’approccio delle origini dice forse qualcosa su come questa tendenza sia stata appunto solo una tendenza, e si stia in parte esaurendo. Soprattutto nei settori creativi più sensibili alle mode passeggere come è appunto la pubblicità.
Un altro esempio recente è stato quello di Victoria’s Secret, il marchio di biancheria intima sexy noto da sempre per i suoi spettacoli con le modelle più belle del mondo e coinvolto nel 2019 in scandali legati alla cultura sessista e misogina radicata nell’azienda. Negli ultimi anni aveva provato a ripulirsi l’immagine proponendo campagne pubblicitarie che veicolassero un’immagine femminile più realistica, senza però riuscirci granché. La rinuncia a questo sforzo è stata sancita ufficialmente poche settimane fa, quando l’azienda ha riproposto la sua celebre sfilata (che aveva sospeso nel 2019) alla vecchia maniera: con modelle famosissime, ammiccanti, alate e in intimo poco coprente.
Citando Pirelli e Victoria’s Secret, l’opinionista del Guardian Barbara Ellen ha parlato di «post MeToo creep», cioè di una spinta a superare le istanze del MeToo. Da un certo punto di vista, ha scritto, quello che sta succedendo è «comprensibile» perché «ogni cosa ha il suo momento». Dall’altro però ritiene che Green abbia sbagliato a parlare del MeToo come di una «pausa», perché vorrebbe dire farlo passare solo come «un attimo di silenzio simbolico per le vittime, dopo il quale ogni cosa può tornare a come era prima». La frase di Green rivelerebbe insomma come nell’industria creativa i cambiamenti degli ultimi anni siano stati l’adattamento a un’opportunità passeggera più che un progresso sostanziale negli approcci.
Come succede spesso in questi casi inoltre, nel momento in cui è diventato mainstream il dibattito si è molto polarizzato. La critica si è spostata dalla sessualizzazione dei corpi al nudo femminile in generale, da cui la pubblicità e le aziende hanno cominciato a stare lontani a prescindere, per evitare problemi. Del modo in cui i nudi femminili fossero diventati tabù, a differenza di quelli maschili, se n’era parlato per via delle critiche rivolte a due pubblicità di Calvin Klein: una in cui la cantante FKA Twigs era ritratta nuda, che fu molto criticata, e un’altra in cui l’attore Jeremy Allen White in mutande si muoveva in modo molto sensuale, che era invece diventata virale e aveva ricevuto molti apprezzamenti.
Non è insomma strano pensare che dopo tutto questo si stia cominciando a manifestare un desiderio di ritorno a quello che c’era prima. Secondo Ellen però anche questa reazione è spesso veicolata nel modo sbagliato dalle aziende, che si «comportano come se la loro fosse una crociata morale, come se si battessero coraggiosamente contro l’oppressione e la censura».
In questo senso sia il caso di Pirelli che quello di Victoria’s Secret possono essere letti come dei primi tentativi di tornare a un’estetica “sexy” ma che non ignora del tutto dei progressi degli ultimi anni. Victoria’s Secret lo ha fatto facendo sfilare supermodelle che oggi hanno una certa età come Carla Bruni e Kate Moss, le altrettanto affermate modelle “plus size” Paloma Elsesser e Ashley Graham, e le modelle transgender Valentina Sampaio e Alex Consani. Il risultato però è stato un un tentativo un po’ goffo: come ha scritto Vanessa Friedman sul New York Times «c’è differenza tra celebrare una reale varietà di corpi e celebrare persone la cui fama è superiore a qualsiasi taglia».
Green, il fotografo di Pirelli, si è autoritratto nudo nel calendario insieme agli altri: è una scelta che – volendo inserirla in un discorso sul punto di vista maschile e l’oggettificazione dei corpi fotografati – rompe un po’ le vecchie regole, perché è come se il soggetto che guarda si mettesse anche nei panni dell’oggetto che viene guardato. In un’intervista ha detto che il suo lavoro «è sempre stato di collaborazione con la persona fotografata».