Cosa non va nella gestione della Roma dei Friedkin
Il ritorno di Claudio Ranieri come allenatore è l'ultima di una serie di scelte un po' populiste, fatte per mettere una pezza alle carenze nella società
È stata un’altra settimana caotica per la squadra di calcio della Roma: tra domenica e giovedì è stato esonerato l’allenatore Ivan Juric e nominato come suo sostituto Claudio Ranieri: sarà il terzo allenatore dall’inizio della stagione, poiché prima di Juric c’era stato Daniele De Rossi, esonerato a sorpresa dopo sole quattro giornate di campionato, e il quarto nell’anno solare, tenendo conto che a gennaio c’era ancora José Mourinho. Dalla prossima estate Ranieri, si legge in un comunicato della Roma, assumerà un «ruolo dirigenziale senior», sarà consulente per tutte le questioni sportive e aiuterà nella scelta del futuro allenatore; fino alla fine della stagione invece sarà l’allenatore e dovrà cercare di rianimare una squadra in grossa difficoltà, dodicesima in classifica dopo dodici giornate, con solo quattro punti di vantaggio sulla zona retrocessione.
Ranieri ha 73 anni e la scorsa estate, dopo aver lasciato il Cagliari, aveva detto di volersi ritirare; ha deciso invece di accettare l’offerta della Roma, una squadra alla quale è molto legato e di cui non ha mai nascosto di essere tifoso. Aver scelto Ranieri è ritenuto sensato dalla maggior parte di opinionisti e tifosi, perché è un allenatore esperto, competente e che conosce bene il famigerato “ambiente romanista”, avendo già allenato la Roma per due volte, tra il 2009 e il 2011, quando andò molto vicino a vincere lo Scudetto, e poi per alcuni mesi nel 2019.
Era probabilmente anche una delle poche opzioni rimaste ai proprietari, la famiglia di imprenditori statunitensi Friedkin, per provare a cambiare la situazione. Il fatto che Ranieri sia stato chiamato due giorni dopo l’esonero di Juric confermerebbe che ci siano stati incontri e contatti con altri allenatori prima di lui, stranieri e italiani (si è parlato molto di Vincenzo Montella e di Roberto Mancini), ma che nessuno di questi ci tenesse particolarmente a subentrare a stagione in corso in una situazione complicata e instabile. Più di tutto però si può dire che Ranieri sia stato scelto per porre un freno alle grosse contestazioni portate avanti dai tifosi negli ultimi due mesi, da quando cioè fu esonerato dopo sole quattro giornate di campionato Daniele De Rossi, un allenatore promettente e soprattutto una figura molto benvoluta dai romanisti.
Dan Friedkin e suo figlio Ryan, i due proprietari del club (Dan è il presidente, Ryan il vice), vengono descritti da tutti coloro che seguono da vicino la squadra come persone riservate e distanti dalla vita quotidiana della Roma e di Roma, ma allo stesso tempo poco inclini a delegare le decisioni e molto preoccupati di mantenere un certo livello di consenso tra i tifosi. Nei loro quattro anni di presidenza non si sono quasi mai visti in contesti sociali a Roma e da settembre non vanno più in città, tanto che Ranieri è andato a Londra per la trattativa. Anche quando sono presenti, sono percepiti come molto isolati, perché trascorrono la maggior parte del tempo in un lussuoso ufficio allestito a Trigoria, il centro sportivo della Roma, sorvegliati dalla security, che li accompagna pure quando vanno allo stadio Olimpico a vedere le partite.
Vari giornalisti che raccontano la Roma da anni dicono di non aver quasi mai sentito la loro voce. C’è da dire che valutare quanto sia presente un proprietario sulla base di quante volte appaia in televisione o parli della squadra è una cosa tanto anacronistica quanto tipica del campionato italiano, abituato a presidenti-padroni tradizionalmente ingombranti: Silvio Berlusconi e Massimo Moratti un tempo, Claudio Lotito e Aurelio De Laurentiis oggi. Dan Friedkin è proprietario di resort, studi cinematografici, industrie sparse in tutto il mondo, e sarebbe quindi complicato per lui passare molto tempo a Trigoria; chi ci lavora assieme però dice che si collega sempre per le riunioni e si interessa, seppur a distanza, alle faccende della Roma. Lo stesso Ranieri, che ha allenato diverse squadre straniere, durante la conferenza stampa di presentazione ha evidenziato la diversa impostazione dei presidenti italiani: «Io capisco che in Italia il presidente ci debba stare, questo gliel’ho detto, invece se ci fate caso all’estero le proprietà straniere parlano pochissimo. La figura del presidente esiste, ma solo per fine mese».
A questa riservatezza fa da contraltare un’accurata ricerca del consenso popolare. Dal loro arrivo, oltre ad aver speso molti soldi nel tentativo di rinforzare la squadra, hanno preso varie decisioni per ingraziarsi i tifosi: hanno ripristinato il vecchio stemma della Roma, al quale molti tifosi rimanevano affezionati, hanno abbassato i prezzi dei biglietti per lo stadio, hanno sospeso il responsabile del marketing quando era stata messa in vendita sullo store una tuta con un inserto azzurro (il colore della Lazio, rivale cittadina della Roma). Hanno scelto prima un allenatore carismatico e vincente come Mourinho e poi, per sostituirlo, un simbolo della Roma come l’ex capitano De Rossi, e hanno portato alla Roma calciatori di livello internazionale come Paulo Dybala e Romelu Lukaku.
La decisione di mandare via De Rossi dopo solamente quattro giornate di campionato è stata la prima vera scelta impopolare dei Friedkin, un punto di rottura: da quel momento i tifosi, che avevano sempre sostenuto la squadra (riempiendo per ogni partita tutti i posti dell’Olimpico), hanno cominciato a contestare i proprietari e i dirigenti. Pochi giorni dopo l’esonero di De Rossi si è dimessa l’amministratrice delegata Lina Souloukou, ma chi conosce le faccende della Roma dice che Souloukou sarebbe stata altrimenti licenziata e che i Friedkin avrebbero provato in questo modo a proteggersi dalle contestazioni, individuando una colpevole.
Souloukou era stata assunta come CEO nell’aprile del 2023, dopo aver lavorato per anni nella squadra greca dell’Olympiakos e all’ECA, un’associazione che rappresenta le principali squadre europee di calcio. Uno dei compiti che le avevano dato i Friedkin era di razionalizzare (e quindi ridurre) i costi di gestione di una società considerata sovradimensionata, o comunque mal organizzata. Alla fine della scorsa stagione sono stati licenziati diversi dipendenti soprattutto della comunicazione, dove esisteva ancora un reparto “radio e tv” pur non esistendo più una radio e una tv ufficiale del club. Souloukou è insomma riuscita nell’intento e questo da un lato l’ha resa molto invisa alle persone che lavoravano o lavorano per la Roma, dall’altro le ha consentito di aumentare la sua influenza e il suo potere decisionale su quanto succedeva a Trigoria.
Si dice sia stata lei a spingere per l’esonero di De Rossi, con il quale i rapporti non sarebbero stati buoni: dopo il pareggio della Roma contro il Genoa del 15 settembre, Souloukou avrebbe detto ai Friedkin che diversi calciatori erano insoddisfatti dell’allenatore, quando invece molti si erano dimostrati contrari all’esonero. I Friedkin le hanno dato ascolto e hanno deciso di mandare via De Rossi, nonostante a giugno gli avessero fatto un contratto di tre anni, reputandolo almeno apparentemente l’allenatore con cui cominciare un progetto duraturo.
Non è chiaro se i proprietari fossero poco informati e si siano fidati delle valutazioni dell’amministratrice delegata, accorgendosi solo dopo di quanto fosse stata inopportuna la scelta di esonerare De Rossi (sia per la reazione dei tifosi, sia per i risultati ottenuti nelle partite successive dalla squadra). In molti, in ogni caso, sostengono che Dan e Ryan Friedkin non fossero convinti di confermare De Rossi sin dall’inizio, dopo cioè i primi mesi che aveva lavorato ad interim in sostituzione di Mourinho, e che avrebbero scelto di rinnovargli il contratto anche e soprattutto per non mettersi contro i tifosi. Anche per questo, dopo l’esonero di Juric, hanno deciso di non richiamarlo, nonostante questo avrebbe consentito loro di non dover assumere un terzo allenatore (De Rossi è ancora sotto contratto, e quindi stipendiato dalla Roma).
Col senno di poi l’esonero di De Rossi è sembrato quantomeno frettoloso e sostituirlo con Juric una scelta inopportuna. Nei due mesi con Juric non ha funzionato niente: i tifosi hanno smesso di tifare, i calciatori sono sembrati tutti inadeguati e Juric non è riuscito a mettere in pratica nessuna delle sue idee di calcio. Gli sono mancati il carisma e l’esperienza per farsi accettare dai calciatori ma soprattutto la squadra era stata creata per un altro allenatore, con principi tattici peraltro molto diversi dai suoi. In tutto questo Juric è apparso molto solo, senza proprietari e dirigenti a sostenerlo pubblicamente.
Prima di Souloukou, i Friedkin avevano già cambiato due volte il CEO, mentre dalle sue dimissioni sono passati due mesi e la Roma è ancora senza amministratrice o amministratore delegato, anche se si dice che adesso le cose funzionino meglio a Trigoria, perché i capi dei vari reparti si interfacciano direttamente con i Friedkin, senza una persona intermediaria com’era stata Souloukou.
Non ci sono però nemmeno un direttore tecnico (una sorta di tramite tra proprietà e squadra, quello che sarà Ranieri l’anno prossimo), un direttore generale e una persona a capo della parte marketing-commerciale, mentre il direttore sportivo, il francese Florent Ghisolfi, viene ritenuto da alcuni una figura senza troppa voce in capitolo nelle scelte sportive della Roma, nonostante sia l’unico che rappresenti i Friedkin in pubblico; alla presentazione di Ranieri c’era lui. Alla Roma mancano in pratica varie figure apicali che ci sono abitualmente in una squadra di calcio: alle riunioni con la Lega Serie A, in assenza di un amministratore delegato, va Lorenzo Vitali, un avvocato la cui qualifica ufficiale è general counsel del club.
Nonostante tutte queste vicissitudini, i Friedkin hanno fatto sapere di voler continuare a investire nella Roma. In questi anni hanno speso centinaia di milioni di euro e contribuito a far vincere alla squadra il primo trofeo internazionale in oltre sessant’anni, seppur di importanza minore (la Conference League del 2022); nel frattempo stanno faticosamente portando avanti il progetto di costruire un nuovo stadio di proprietà per la Roma. Ranieri stesso ha detto di aver espresso ai Friedkin alcune perplessità sulla loro gestione degli ultimi mesi, ma di essere rimasto «a bocca aperta per le cose che (Dan) ha detto, per il bene che vuole a questa città, a questo club», e che i proprietari sono rammaricati per non essere ancora riusciti a fare ciò che volevano, cioè a rendere la Roma una squadra che competa con le migliori in Italia.
Questa stagione difficilmente diventerà positiva per la Roma, che ha la metà dei punti della prima in classifica e anche in Europa League sta andando abbastanza male (ha comunque ancora discrete possibilità di qualificarsi ai playoff). Il nuovo allenatore però può riportare entusiasmo e rimettere in ordine le cose, anche in funzione del suo futuro da dirigente, nel quale sarà utile soprattutto per condividere le sue conoscenze calcistiche e umane, in un club che in questi anni si è affidato molto a dati e elementi misurabili nella scelta di calciatori e dirigenti.
Ranieri è una delle persone più amate e apprezzate dai romanisti, una tifoseria che tradizionalmente si identifica con grande trasporto nella sua squadra e nei suoi simboli. Se da un lato i tifosi sono contenti del suo ritorno, dall’altro rimproverano ai Friedkin questo utilizzo un po’ furbo delle “bandiere”, di personaggi importanti della storia romanista, che rischiano di finire loro stesse per rimetterci: «Da oggi sono io il responsabile, non mi interessa ciò che è successo prima», ha detto venerdì Ranieri. Scegliere lui come allenatore in questo momento molto complesso insomma sembra una scelta azzeccata, sì, ma forse anche un po’ populista da parte dei Friedkin, come lo era stata quella di prendere De Rossi al posto di Mourinho.