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  • Giovedì 14 novembre 2024

Migliaia di agenti di commercio in pensione sono senza pensione

Sono 700mila in tutta Italia e vorrebbero indietro i soldi dall'ente previdenziale Enasarco: uno di loro è in sciopero della fame

La sede della Fondazione Enasarco, l'ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio, a Roma
La sede della Fondazione Enasarco, l'ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio, a Roma
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Nel 2018 molti giornali e trasmissioni televisive si occuparono del cosiddetto “caso dei silenti Enasarco”. Era un tipico esempio di sintesi giornalistica poco comprensibile, ma in effetti non è semplice spiegare in un titolo breve cosa è Enasarco e soprattutto chi sono i “silenti”, perché si chiamano così e come mai protestano. Forse anche per la sua complessità, la vicenda ha ricevuto meno attenzioni rispetto ad altre simili. Tuttavia riguarda quasi 700mila persone, che da anni chiedono di riavere indietro i contributi versati durante la loro carriera: si stima che in totale abbiano dato 9,2 miliardi di euro senza avere nulla in cambio, né rimborsi né pensioni, negate per via di un contestato e continuo cambio di regole. Ora forse la politica proverà a trovare una soluzione.

L’Enasarco è l’Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio, ovvero i liberi professionisti che promuovono o vendono prodotti per conto di una o più aziende in una determinata area geografica. In pratica l’Enasarco incassa una parte dei contributi obbligatori e versa la relativa parte di pensione. Gli iscritti attuali sono circa 200mila e sono per la maggior parte plurimandatari, cioè rappresentano i prodotti di più aziende. Al contrario, chi lavora per una sola azienda viene definito monomandatario. L’ente fu creato nel 1938 e dal 1994 è privatizzato e trasformato in una fondazione, la fondazione Enasarco.

La previdenza degli agenti di commercio è un caso unico in Italia e per certi versi anomalo. Negli anni tra il 1957 e il 1966 l’INPS, l’istituto nazionale della previdenza sociale, inglobò alcune categorie di lavoratori che avevano una loro cassa previdenziale, tra cui gli agenti di commercio. Da quel momento l’INPS divenne l’ente di riferimento ed Enasarco dovette trasformarsi in un istituto previdenziale integrativo: significa che gli agenti di commercio iniziarono a pagare i contributi per la pensione all’INPS e all’Enasarco quelli della pensione integrativa.

Il contributo Enasarco ammonta al 17 per cento del totale delle provvigioni ottenute dall’agente di commercio: metà (8,5%) a carico dei lavoratori e l’altra metà pagata dall’azienda, a cui vanno aggiunti i contributi obbligatori da dare all’INPS. A differenza di tutte le altre professioni, per una legge del 1973 la pensione integrativa di Enasarco è però obbligatoria e non facoltativa. Gli agenti di commercio sono così obbligati a pagare due contributi per due pensioni, Enasarco e INPS. Esistono altri contributi pensionistici obbligatori, come quelli chiesti dall’ENPAM (la cassa previdenziale dei medici), ma in questi casi gli istituti previdenziali hanno una collaborazione molto più stretta con l’INPS, con regole studiate proprio per non perdere i contributi versati.

Fino agli anni Ottanta ai rappresentanti bastava pagare contributi per 10 anni per maturare la pensione minima Enasarco al raggiungimento dell’età pensionabile di 65 anni, che ora è stata portata a 67 anni per gli uomini e 66 per le donne. Nel 1990 il periodo di contributi indispensabile per avere una pensione minima passò da 10 a 15 anni. Nel 2008 un cambio del regolamento interno allungò ulteriormente il periodo da 15 a 20 anni, ma senza che venisse comunicato sufficientemente alle persone interessate. I 20 anni di contributi si possono raggiungere in due modi: o lavorando e versando i contributi Enasarco per più di 20 anni, naturalmente, oppure versando dei contributi volontari per raggiungere i 20 anni dopo aver smesso di lavorare o dopo aver cambiato lavoro.

Come accade in molti altri istituti previdenziali, la procedura per ottenere la pensione prevede di presentare la domanda pochi mesi prima del raggiungimento dell’età pensionabile. Proprio pochi mesi prima di ricevere la pensione, negli ultimi anni migliaia di contribuenti di Enasarco hanno scoperto che non erano più sufficienti i 15 anni di contributi versati, ma ne servivano 20.

Tutte queste persone hanno pagato contributi per anni e si sono trovati senza requisiti per avere la pensione integrativa, né tanto meno la restituzione di una parte di quanto versato. I circa 700mila agenti di commercio in questa condizione vengono chiamati “silenti”, l’aggettivo utilizzato per descrivere anche i contributi versati a Enasarco senza nessun tipo di restituzione. Molti non hanno raggiunto nemmeno i requisiti per avere la pensione minima dell’INPS.

Il più combattivo tra loro si chiama Francesco Briganti, oggi 72enne. Nella sua carriera da agente di commercio ha versato circa 49mila euro per 16 anni e 9 mesi di contributi. «Ho scoperto che bisognava arrivare a 20 anni quando sono andato dal commercialista per fare la domanda della pensione», dice. «Quando mi sono iscritto a Enasarco bastava raggiungere i 15 anni di contributi e nessuno ci ha comunicato il cambio delle regole».

Negli ultimi anni molti iscritti come Briganti hanno fatto causa a Enasarco per chiedere la restituzione dei contributi versati: si va da poche migliaia fino a oltre 100mila euro ciascuno. I giudici hanno sempre respinto le richieste e stabilito che Enasarco ha agito legittimamente sulla base del regolamento interno: in quanto fondazione privata e non più pubblica, Enasarco poteva cambiare il regolamento come voleva. I tribunali hanno inoltre confermato che i contributi parziali di Enasarco non sono cumulabili con quelli versati all’INPS, cioè sono separati e non possono essere utilizzati per avere un’unica pensione più sostanziosa. Insomma, se non si raggiungono i 20 anni tutti quei soldi sono persi.

Anche Briganti ha fatto causa, ma con una premessa diversa: si è appellato allo Stato, in particolare al ministero del Lavoro e al ministero dell’Economia, per non aver vigilato sull’operato dell’istituto di previdenza. Nel 2018 Briganti ha organizzato uno sciopero della fame grazie a cui ottenne l’attenzione dei media e della politica. Due periti nominati dal tribunale hanno stabilito che le precarie condizioni di salute di Briganti erano conseguenza dell’angoscia vissuta durante tutta questa vicenda, trascinata per anni senza una soluzione. Briganti ha chiesto quindi un risarcimento pari esattamente ai contributi versati, un modo per non replicare le cause perdenti fatte in precedenza da altri colleghi.

Nella sentenza di primo grado il giudice ha respinto la richiesta, ma ha riconosciuto che la questione dei contributi è un grave problema che deve essere risolto con un intervento del governo, o comunque della politica. La sentenza di secondo grado ha confermato quella di primo grado e in più ha condannato Briganti a pagare 10mila euro di spese legali. L’ultimo tentativo verrà fatto in Cassazione. «Mi hanno risposto che quei soldi non mi spettano, che ormai li ho persi, ma non mi arrendo», dice Briganti, che da un mese ha iniziato un nuovo sciopero della fame. Ha perso circa 15 chili, viene seguito da un medico.

Nel frattempo nel 2011 Enasarco aveva cambiato di nuovo le regole, probabilmente proprio per evitare nuovi casi di contribuenti “silenti”. A chi si è iscritto dal 2012 viene riconosciuta una rendita al raggiungimento dell’età pensionabile con soli 5 anni di contributi pagati. Le prime rendite di questo tipo sono state versate dall’inizio di quest’anno. La novità non ha garantito nessun beneficio per tutti gli iscritti prima del 2012, circa 700mila persone.

Nel respingere le richieste dei “silenti”, Enasarco si è sempre appellata ai principi della sostenibilità e della solidarietà tra gli associati, cioè al fatto che i contributi versati non sono del singolo contribuente, ma dell’ente che li destina alla collettività. Secondo le stime di Federcontribuenti, un’associazione che tutela i diritti dei contribuenti, queste regole hanno permesso a Enasarco di incassare 9,2 miliardi di euro (una stima condivisa da molti altri studi) e di far avere una pensione solo al 15% degli iscritti, mentre il restante 85% rientra tra i “silenti” senza pensione. «Molti di loro sono in difficoltà economiche», dice l’avvocata Marina Neri che ha seguito diversi casi. «Sono persone di una certa età, che non hanno potuto versare i contributi volontari e che ora si sentono abbandonati, traditi dalle istituzioni».

Dopo diverse interrogazioni parlamentari presentate negli ultimi anni, lo scorso 8 ottobre alla Camera è stato approvato un ordine del giorno presentato da Marco Furfaro del Partito Democratico per impegnare il governo a trovare una soluzione. L’emendamento è stato approvato con il parere favorevole del governo e anche con i voti della maggioranza.

Non è chiaro cosa accadrà, anche perché finora non sono emerse possibili soluzioni al problema. Potrebbe essere concessa una rendita o una restituzione parziale dei contributi, ma al momento è difficile fare ipotesi. In un articolo pubblicato su Domani, Furfaro ha scritto che il tema è «tanto importante quanto problematico e complesso: parliamo di centinaia di migliaia di persone a cui viene negata una pensione. Parliamo, per esser chiari, di centinaia di milioni di euro anche solo sul breve periodo». È difficile che il governo obblighi Enasarco a dare subito una pensione a tutti i “silenti”, perché potrebbe far fallire la fondazione.