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  • Giovedì 14 novembre 2024

Il rapporto che accusa Israele di trasferimenti forzati di massa nella Striscia di Gaza

È di Human Rights Watch, che ha intervistato decine di persone e analizzato le tattiche dell'esercito israeliano

Un accampamento di sfollati palestinesi bombardato dall'esercito israeliano a Mawasi, nella zona centrale della Striscia di Gaza, 10 settembre 2024 (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
Un accampamento di sfollati palestinesi bombardato dall'esercito israeliano a Mawasi, nella zona centrale della Striscia di Gaza, 10 settembre 2024 (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
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Giovedì la rispettata ong internazionale Human Rights Watch, che si occupa di rispetto dei diritti umani, ha pubblicato un lungo rapporto in cui accusa Israele di avere compiuto dei trasferimenti forzati di massa di persone palestinesi durante l’invasione della Striscia di Gaza, iniziata ormai più di un anno fa.

È un’accusa pesante. La quarta Convenzione di Ginevra, che garantisce i diritti dei civili in guerra ed è considerata uno dei trattati fondanti del diritto internazionale, all’articolo 49 vieta espressamente «i trasferimenti forzati, in massa o individuali». È consentito, invece, lo «sgombero completo o parziale di una determinata regione occupata, qualora la sicurezza della popolazione o impellenti ragioni militari lo esigano»: a patto però che le persone sfollate siano adeguatamente informate e protette, e che sia consentito loro di tornare nelle proprie case «non appena le ostilità saranno cessate». La violazione di queste norme è considerata un crimine di guerra.

Secondo una stima dell’ONU che risale a questa estate dall’inizio dell’invasione israeliana hanno dovuto lasciare le proprie case almeno 1,9 milioni di abitanti della Striscia, su un totale di circa 2,2 milioni. Da mesi il governo israeliano sostiene che le proprie forze armate stiano rispettando il diritto internazionale, ma non è così.

Nel corso dell’invasione le forze armate israeliane hanno effettivamente emanato ordini di evacuazione, come prescrive la Convenzione di Ginevra: ma sono stati documentati moltissimi casi in cui l’avviso è stato comunicato con scarso anticipo oppure non è arrivato del tutto. In altri casi Israele ha bombardato zone che aveva indicato come sicure per gli sfollati, come nel caso della zona centrale di Mawasi, oppure installato dei checkpoint militari lungo le vie di evacuazione: per esempio lungo la strada Salah al-Din, che collega la zona sud e nord della Striscia e soprattutto nella prima fase dell’invasione era stata utilizzata da decine di migliaia di persone.

Un gruppo di persone cammina lungo la strada Salah al-Din (AP Photo/Hatem Moussa)

Leila, una donna palestinese di 40 anni costretta a muoversi su una carrozzina, ha raccontato a Human Rights Watch che un cecchino israeliano ha sparato su di lei e sulla sua famiglia mentre stavano evacuando la propria casa e cercando di raggiungere la Salah al-Din Road. Un video verificato da Reuters e da Human Rights Watch ha mostrato invece alcune persone morte a lato di una strada costiera che era considerata “sicura” nei primi giorni dell’invasione israeliana, nel novembre del 2023.

In certe zone inoltre Israele sta distruggendo la quasi totalità degli edifici e delle strutture urbane, rendendo di fatto impossibile un eventuale ritorno delle persone che ci abitavano. Pochi giorni fa un importante funzionario dell’esercito israeliano ha ammesso per la prima volta dall’inizio delle operazioni che Israele non intende far ritornare i civili palestinesi nel nord della Striscia di Gaza.

– Leggi anche: Israele non vuole far tornare i palestinesi nel nord della Striscia di Gaza

«Abbiamo dimostrato che Israele non ha evacuato la Striscia di Gaza per tutelare la sicurezza dei civili palestinesi, dato che non sono stati al sicuro durante le evacuazioni né al loro arrivo nelle cosiddette “zone sicure” designate. Israele inoltre non ha dimostrato l’esistenza di impellenti ragioni militari per motivare gli sgomberi di gran parte dei palestinesi dalle proprie case. E se anche riuscisse a dimostrarlo, il fallimento nel garantire la sicurezza e la tutela delle persone sfollate mentre fuggivano renderebbe comunque illegali queste operazioni», scrive Human Rights Watch nel rapporto.

È del tutto possibile che nei mesi successivi alla stima dell’ONU sulle persone sfollate il loro numero sia aumentato. A inizio ottobre l’esercito israeliano ha avviato un massiccio attacco nel nord della Striscia di Gaza, sostenendo che nell’area Hamas avesse ricostituito parte delle proprie forze militari. L’attacco sta interessando zone densamente popolate come la parte a nord della città di Gaza e soprattutto il campo profughi di Jabalia.