La Corte costituzionale ha detto che la legge sull’autonomia differenziata è in parte illegittima

Ha sollecitato il parlamento a modificare alcuni aspetti in contrasto con la Costituzione: per ora non può essere applicata

Il ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli (Ansa/Giuseppe Lami)
Il ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli (Ansa/Giuseppe Lami)
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La Corte costituzionale ha accolto in parte il ricorso presentato da quattro regioni (Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, tutte governate da giunte di centrosinistra) per far dichiarare illegittima la legge sull’“autonomia differenziata”, il provvedimento promosso dal ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli (della Lega) che definisce le modalità con cui le regioni possono chiedere e ottenere di gestire in proprio alcune delle materie su cui al momento la competenza è dello Stato. Concretamente, significa che per ora la norma non può essere applicata: la Corte ha infatti sollecitato il parlamento a modificare alcuni aspetti del provvedimento ritenuti in contrasto con la Costituzione.

Le motivazioni devono ancora essere depositate. La Corte ha fatto sapere di non ritenere fondata «la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata», ma di considerare «illegittime» sette specifiche disposizioni della legge. Al di là della formulazione, la sentenza è più severa di quel che appare a prima vista, dato che stabilisce l’illegittimità di alcuni profili centrali del provvedimento.

Queste disposizioni secondo la Corte violerebbero il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, in cui si stabilisce che le regioni con i bilanci in ordine possono chiedere di vedersi assegnate maggiori competenze rispetto a quelle previste normalmente. I dubbi della Corte riguardano vari aspetti del provvedimento. Tra i più rilevanti c’è la delega che il parlamento ha dato al governo per definire i livelli essenziali delle prestazioni (LEP), cioè i servizi minimi che lo Stato deve garantire in ogni parte del suo territorio su settori fondamentali, senza «idonei criteri direttivi» e il fatto che gli stessi LEP possano essere aggiornati con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri (DPCM). Secondo la Corte, il problema in entrambi i casi è che in questo modo verrebbe limitato «il ruolo costituzionale» del parlamento, cioè la sua funzione legislativa, perché verrebbe delegata al governo.

Un altro punto su cui la Corte ha espresso dei dubbi riguarda la possibilità che la legge sull’autonomia differenziata possa essere estesa anche alle regioni a statuto speciale (Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta), che secondo il primo comma dell’articolo 116 della Costituzione dispongono di «forme e condizioni particolari di autonomia». Per questo motivo, secondo la Corte, «per ottenere maggiori forme di autonomia» queste regioni possono «ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali», e pertanto non devono essere inquadrate nella disciplina prevista dal terzo comma dello stesso articolo.

Il ricorso alla Corte non è l’unico tentativo da parte delle opposizioni di invalidare la legge sull’autonomia differenziata: a luglio era stato depositato in Corte di Cassazione un apposito quesito referendario, per cui poi erano state raccolte rapidamente le 500mila firme necessarie. I quesiti dovranno prima superare il giudizio della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale (che dovranno verificare rispettivamente la validità delle firme raccolte e l’ammissibilità dell’iniziativa sul piano giuridico e costituzionale); poi il prossimo febbraio spetterà al governo, d’intesa col presidente della Repubblica, individuare il giorno per il voto, che dovrà comunque essere compreso tra il 15 aprile e il 15 giugno.

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