Post-election blues
«Il 6 novembre, nel frattempo, aveva fatto il suo corso. I risultati, se possibile, si erano fatti perfino peggiori (se siete pro-Trump ovviamente per voi quella è stata una gran giornata) come il mio umore. Per esorcizzare il disagio ho studiato la letteratura scientifica sulla depressione post elettorale di elettori francesi, tedeschi, dei Paesi Bassi, persino filippini (sull’Italia nulla, eppure di elezioni deprimenti ce ne sono state tante) che mi sembravano confermare l’ovvio: la gente in corrispondenza delle elezioni sta peggio perché è più agitata e chi perde sta male anche dopo. Ma c’era qualcosa che continuava a non tornare, qualcosa che non mi faceva sentire soddisfatta. Cos’era?»
Erano le sei e mezza del mattino del 6 novembre 2024, fuori ancora buio. Seduta in cucina, fissavo la tazza del caffellatte, rimuginando pensieri cupi. Per qualche minuto ho ponderato seriamente di prendere un giorno di malattia dal lavoro. Mi sentivo depressa, esausta, non sono riuscita a mandare giù nemmeno un biscotto, avevo la testa pesante e un poco di nausea.
Non era COVID, era Donald Trump che stava vincendo le elezioni negli Stati Uniti e io mi sentivo uno straccio.
Con il passare della mattinata i sintomi non sono migliorati. Giravo a vuoto come una mosca che sbatte contro il vetro della finestra. A ogni battuta “simpa” sul risultato elettorale che è volata in ufficio, mi si sono dolorosamente torte le budella. Smettila, non è nemmeno il tuo presidente, mi ripeto. Vivi a Trieste. Non so se ero più incavolata con gli elettori americani o con me stessa per questa reazione irrazionale, ma so per certo – mi è già successo con altre elezioni, vedi le ultime politiche italiane – che ci avrei messo giorni a superare questo malessere.
È passata una settimana.
Voi come vi sentite?
Un po’ come i baby blues, la depressione post parto e i disturbi stagionali dell’umore, pare esista anche una sindrome post-elettorale. O forse no, visto che non la trovate dentro nessun manuale diagnostico (per ora) e che le opinioni della scienza al riguardo sono discordanti, ma questo provo a spiegarlo più avanti.
In ogni caso, a partire dallo psicodramma collettivo delle elezioni americane del 2016 se ne fa un gran parlare: sui media (quelli americani soprattutto) ma anche sui giornali scientifici “a revisione paritaria” (detta anche peer review, ovvero il processo di verifica che ogni ricerca deve passare per poter essere accettata come genuinamente scientifica) si trova un discreto numero di ricerche che hanno esaminato le conseguenze delle elezioni sulla salute mentale degli elettori.
Un paper pubblicato sul Journal of General Internal Medicine nel 2021, dedicato al follow-up dell’elezione statunitense del 2016, racconta per esempio che negli stati americani pro-Hillary Clinton tra ottobre e dicembre 2016, proprio a cavallo dell’election day, i “giorni di salute mentale negativa” sono passati da una media di 3,35 a 3,85 al mese. I “giorni di salute mentale negativa” non sono giorni di malattia sul lavoro, come mi piacerebbe immaginare per un meccanismo di identificazione: sono giorni autocertificati in una survey che viene fatta ogni anno dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) americani, la Behavioral Risk Factor Surveillance System, che raccoglie dati autoriferiti da adulti su vari aspetti della salute, tra cui quella mentale, ed è uno dei più ampi sistemi di sorveglianza sanitaria al mondo.
Una crescita media di 0,5 giorni “negativi” può sembrare pochino, ma dato il numero molto alto di persone coinvolte, circa 500mila, risulta significativa. Negli Stati pro-Trump, invece, a dicembre 2016 non si sono osservate variazioni significative, soltanto un piccolo calo statisticamente irrilevante di giorni “no”: – 0,17.
Certo, è un po’ intuitivo: se voti per chi vince, avrai più chance di stare meglio. Non sarà di grande aiuto e forse neppure troppo sorprendente, ma altre ricerche sembrano suggerire che sono le elezioni stesse a suscitare malessere e che non sei immune dalle conseguenze neanche se esci vincitore. Un paper firmato nel 2022 da Sankar Mukhopadhyay, professore di economia dell’Università del Nevada, dal titolo Elections have (health) consequences: Depression, anxiety, and the 2020 presidential election, pubblicato su Economics & Human Biology e basato su sondaggi settimanali e bisettimanali svolti tra aprile 2020 e dicembre 2021 (quindi in un arco temporale piuttosto elevato), ha rilevato che i sintomi di ansia e depressione moderata o severa hanno raggiunto il picco proprio a ridosso delle elezioni, per poi calare progressivamente subito dopo. Tutto questo indipendentemente da chi avesse votato la persona interpellata.
Tra le conseguenze più pratiche di quest’ansia elettorale, si legge nello studio di Mukhopadhyay, c’è l’aumento di visite mediche e di prescrizioni di medicinali per ansia e depressione. Nel paper sono citati studi che hanno osservato negli elettori anche un aumento degli ormoni legati allo stress durante le elezioni, come il cortisolo, associato a disturbi dell’umore. Mukhopadhyay prova anche a spiegare l’apparente paradosso – quello cioè che il malessere mentale coinvolga sia vinti che vincitori – con la teoria dell’Uncertainty navigation model: durante un’elezione siamo tutti generalmente più in ansia del normale perché l’incertezza del risultato riguarda tutti.
Anche questo ha molto senso. Per quanto mi riguarda, sono una di quelle persone che fanno fatica a reggere l’ansia dell’incertezza. Non sono riuscita neppure a seguire la diretta elettorale sul Post, suscitando la delusione del mio compagno che alla fine l’ha seguita da solo, mentre ero a casa a dormire. È probabile che abbia un problema di natura medica nel gestire nel mio cervello alti e bassi della dopamina – un neurotrasmettitore legato al piacere e alla ricompensa –, ma non sapevo di non essere sola fino a che non ho letto un’altra ricerca, pubblicata nel 2020 sul Journal of Cognitive Neuroscience, che è uno dei pochi studi a tema “elezioni e salute mentale” basato sull’imaging cerebrale. Le autrici, Sarah Tashjian e Adriana Galván, hanno esaminato proprio gli effetti psicologici e neurali legati allo stress associato a eventi politici, in particolare le elezioni presidenziali USA del 2016.
Le autrici hanno coinvolto una cinquantina di individui (giovani adulti) in due momenti: pochi mesi dopo le elezioni e circa un anno dopo. I soggetti dovevano prima compilare dei questionari sullo stress e in generale sul loro stato psicofisico e poi partecipare ad alcune prove che prevedevano delle ricompense mentre la loro attività cerebrale veniva monitorata con una risonanza magnetica funzionale.
I partecipanti che nei questionari riferivano un livello alto di disagio elettorale presentavano sintomi di depressione, ansia e stress post traumatico più intensi.
In particolare i risultati mostravano che un livello di stress alto era correlato con un’attivazione anomala – molto alta – in una struttura specifica del sistema limbico legata alla risposta emotiva, il nucleo accumbens, quando, nel corso degli esperimenti, i soggetti erano in attesa della ricompensa. Al contrario, una volta che l’avevano ottenuta, l’attivazione di questo stesso nucleo si abbassava fino a livelli più bassi del normale.
Secondo gli autori l’attivazione eccessiva osservata nell’attesa della ricompensa nel cervello dei soggetti più stressati sarebbe un tentativo del cervello di gestire lo stress cronico provocato dalle elezioni, mentre la diminuzione eccessiva della risposta dopo l’ottenimento del premio rifletterebbe una certa vulnerabilità a condizioni di stress prolungato.
Non è ovviamente possibile trarre conclusioni da un solo studio – nella ricerca scientifica la replicabilità delle osservazioni è fondamentale – ma la storia del nucleo accumbens ha attirato la mia attenzione perché è una struttura cerebrale che fa parte del sistema dopaminergico e sospetto che il mio sia difettoso. (Ho una diagnosi di ADHD lieve, una neurodivergenza associata a un funzionamento anomalo delle vie dopaminergiche, e gli alti e bassi della dopamina nei cervelli con ADHD sono una specie di tagadà senza controllo. È come stare sulle montagne russe. Purtroppo, però, non ho trovato ricerche specifiche su ADHD ed elezioni che possano aiutarmi a comprendere meglio la questione, ma se ne conoscete qualcuno, fatemi sapere, grazie).
– Leggi anche: “Si conferma diagnosi di Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività”
La giornata post elettorale, nel frattempo, aveva fatto il suo corso. I risultati, se possibile, si erano fatti perfino peggiori (se siete pro-Trump ovviamente per voi quella è stata una gran giornata) come il mio umore. Per esorcizzare il disagio, avevo continuato a leggere la letteratura scientifica sulla questione e incontrato altre ricerche sugli elettori francesi, tedeschi, dei Paesi Bassi, persino filippini (sull’Italia nulla, eppure di elezioni deprimenti ce ne sono state tante) che mi sembravano confermare l’ovvio: la gente in corrispondenza delle elezioni sta peggio perché è più agitata e chi perde sta male anche dopo.
Ma c’era qualcosa che continuava a non tornare, qualcosa che non mi faceva sentire soddisfatta. Cos’era? Ho chiesto aiuto a Costanza Jesurum, psicologa psicanalista, autrice di molti libri, come Il corpo in questione o Dentro e fuori la stanza, nota anche per la sua attività di divulgazione sulla salute mentale. Jesurum non fa grandi giri di parole:«Stiamo creando categorie diagnostiche per un problema di ordine storico e politico. Lo trovo inopportuno, devo dire. Mi sembra che questo disagio che viviamo oggi sia una reazione congrua. La psicopatologia deve intervenire quando la reazione è incongrua. Una reazione di delusione, agitazione, di iperattivazione in un contesto post elettorale mi sembra una reazione appropriata. Ripeto, non scomoderei delle categorie diagnostiche».
Per far capire meglio la questione, livello “for dummies” proprio, Jesurum fa un esempio: «Attualmente nel mio campo c’è questa discussione: il DSM 5, il nuovo manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, ha messo la depressione che segue il lutto nell’elenco delle variabili della depressione maggiore. Ma la depressione del lutto è una situazione congrua, quindi per quale motivo patologizzarla?».
In parole povere non si dovrebbe fare confusione fra la tristezza che ci assale dopo fatti realmente tristi e preoccupanti e la depressione, che è una risposta disfunzionale, un’alterazione negativa dell’umore che appare senza che ci sia un vero evento a provocarla o senza essere commisurata alla gravità dell’evento stesso.
Mi sono sentita un po’ stupida, ma è stata anche una sensazione liberatoria. «Mi stai dicendo che ho diritto a sentirmi di merda dopo i risultati di un’elezione dall’altra parte del mondo? Non sono una matta?» le ho chiesto. Sì, mi conferma, tutto a posto. Con la globalizzazione e Internet non è più possibile far finta di non sapere che certe cose hanno conseguenze tangibili in tutto il mondo, quindi sì, sentirsi un po’ fuori fase dopo l’elezione del presidente degli Stati Uniti anche se si vive in una città periferica dell’Italia non è da svitati. Abbiamo il diritto di essere tristi, ieri, oggi e nei prossimi giorni. Giusto il tempo di recuperare per la prossima delusione elettorale, in Germania, per esempio?