«L’Italia è all’avanguardia sulla fusione nucleare»
Lo ha detto Meloni alla COP29: ma è una tecnologia che non si potrà usare prima del 2050, troppo tardi per il contrasto del riscaldamento globale
Mercoledì la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni è intervenuta alla conferenza sul clima delle Nazioni Unite in corso a Baku, in Azerbaijan, e nel suo discorso ha parlato di fusione nucleare. Secondo Meloni l’Italia «è all’avanguardia» in questo ambito, e ha menzionato la fusione tra le forme di produzione di energia da utilizzare nel processo di transizione energetico necessario alla riduzione delle emissioni di gas serra.
La fusione nucleare tuttavia non è una tecnologia attualmente utilizzata commercialmente, ma solo studiata in ambito sperimentale. Secondo la maggior parte degli esperti internazionali di energia nucleare, nessun paese sarà in grado di produrre energia da fusione nucleare su larga scala prima del 2050 circa. I più cauti parlano di 2060. Ma l’aumento delle temperature globali dipende in gran parte da quanto si riusciranno a diminuire le emissioni di gas serra già nel prossimo decennio. Per questo la fusione non può essere considerata tra le tecnologie che permetteranno ai paesi del mondo di rispettare i termini dell’accordo di Parigi del 2015, il cui obiettivo più ambizioso è mantenere l’aumento di temperatura rispetto ai livelli pre-industriali inferiore a 1,5 °C.
Meloni più precisamente ha detto:
Abbiamo bisogno di un mix energetico bilanciato nel processo di transizione, dobbiamo usare tutte le tecnologie disponibili, non solo le rinnovabili, ma anche il gas naturale, i biocarburanti, l’idrogeno, la cattura di CO2 e, in futuro, la fusione nucleare, che potrebbe produrre energia pulita, sicura e senza limiti. L’Italia è all’avanguardia sulla fusione nucleare. Nel contesto della nostra presidenza del G7 abbiamo organizzato il primo incontro del World Fusion Energy Group, patrocinato dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Vogliamo usare questa tecnologia che potrebbe segnare una svolta, trasformando l’energia da un’arma geopolitica a una risorsa largamente accessibile.
(La traduzione delle parole di Meloni, che ha parlato in inglese, è stata fatta dal Post. Successivamente sul sito del governo è stato pubblicato per intero il testo del discorso con una traduzione in italiano «di cortesia».)
La fusione non va confusa con la fissione nucleare, la tecnologia utilizzata nelle centrali nucleari esistenti. In una reazione di fissione i nuclei di atomi di elementi come il plutonio e l’uranio vengono indotti a spezzarsi e nel processo viene liberata una grande quantità di energia termica: nelle centrali questa energia è usata per trasformare acqua ad alta pressione in vapore, che fa poi girare turbine cui sono collegati alternatori per produrre energia elettrica.
Nella fusione invece si uniscono i nuclei leggeri (come quello dell’idrogeno, un elemento diffusissimo sul pianeta) per ottenerne di più pesanti. Questo processo porta alla formazione di nuovi nuclei la cui massa è minore rispetto alla somma delle masse di quelli di partenza: la massa che manca è emessa come energia, che poi può essere sfruttata.
Nelle ultime settimane diversi esponenti del governo italiano hanno parlato della possibilità di costruire una centrale nucleare, di nuova generazione, ma comunque a fissione. Se ne è discusso anche per via della possibilità, per il momento molto ipotetica, di costruirla a Marghera, vicino a Mestre, in Veneto. Meloni non ha menzionato la fissione nucleare nel suo discorso.
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Per quanto riguarda le centrali a fusione, Eni, la più grande azienda energetica petrolifera italiana, sta partecipando a un progetto di studio del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston che prevede la realizzazione di un primo impianto in grado di immettere energia elettrica in rete «entro i primi anni Trenta».
In passato l’Italia aveva delle centrali nucleari a fissione che però sono state dismesse in seguito al referendum abrogativo del 1987. Le scorie nucleari prodotte da quelle centrali e da altri usi industriali dovranno essere collocate in un deposito nazionale di lungo periodo, di cui si discute da anni senza riuscire a trovare un comune idoneo e favorevole a ospitarlo, almeno per il momento.
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