I partiti al governo stanno perdendo le elezioni quasi ovunque
È una tendenza che si sta osservando da qualche anno nei paesi sviluppati e che si è vista anche negli Stati Uniti: c'entra l'inflazione, soprattutto
La sconfitta di Kamala Harris alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti non è stata l’unica in questi ultimi mesi per un partito al governo. Soltanto di recente, il Partito Liberaldemocratico che per decenni aveva dominato la politica giapponese ha di fatto perso le elezioni; lo stesso ha fatto il Partito Conservatore nel Regno Unito; la coalizione di governo di Emmanuel Macron in Francia ha perso la maggioranza; e perfino un leader considerato forte come Narendra Modi in India alle elezioni di quest’anno è andato peggio del previsto.
È una tendenza che si è consolidata di recente tra i paesi sviluppati: quasi tutti i partiti di governo che sono andati a elezioni negli ultimi due-tre anni hanno perso voti, e quasi tutti sono stati costretti a lasciare il potere, ha notato tra gli altri il Financial Times. Se prendiamo i dati relativi soltanto al 2024, vediamo che questo fenomeno è assoluto: tutti i partiti di governo di paesi sviluppati che sono andati a elezioni quest’anno le hanno perse, o comunque hanno ridotto notevolmente i propri consensi. È la prima volta che succede da quando viene tenuto questo tipo di conteggi, dal 1905.
La tendenza internazionale non deve far perdere di vista le specificità di ciascun paese, ovviamente: ogni elezione è differente e ogni sconfitta avviene per cause che dipendono da moltissimi fattori e ragioni interne. Negli Stati Uniti, per esempio, la sconfitta di Kamala Harris è stata spiegata in tanti modi, che riguardano gli errori della sua campagna elettorale, i problemi di comunicazione, l’influenza negativa della presidenza di Joe Biden, tra le altre cose.
Ma ampliare lo sguardo consente di vedere che ci sono elementi in comune tra i vari paesi riguardanti soprattutto l’economia e gli effetti di medio termine della pandemia da coronavirus.
Negli Stati Uniti questa tendenza alla sconfitta dei partiti di governo era stata notata già prima delle elezioni americane da alcuni opinionisti. Uno dei primi era stato Matthew Yglesias, un noto commentatore politico che in un editoriale sul New York Times pubblicato il giorno prima del voto aveva notato che, viste le tendenze globali, Trump avrebbe dovuto avere un vantaggio molto maggiore di quello che gli attribuivano i sondaggi. L’articolo di Yglesias ribaltava la percezione che avevano molti sostenitori del Partito Democratico, che non si capacitavano del sostegno di tanti elettori americani a Trump, un politico pregiudicato e razzista.
Yglesias sosteneva invece che, considerato il contesto internazionale, era sorprendente il contrario, e cioè che i sondaggi dessero Kamala Harris, la vicepresidente in carica che rappresentava il partito al potere, praticamente alla pari con Trump. «Viste le circostanze, sono i Repubblicani che dovrebbero chiedersi perché i sondaggi sono così vicini», scriveva Yglesias. Il risultato delle elezioni ha poi mostrato che effettivamente il Partito Democratico era molto più indietro di quanto si pensasse.
Quest’idea era stata poi ripresa da vari altri commentatori e opinionisti fino a che, dopo le elezioni, è stata confermata con i dati da John Burn-Murdoch, il principale esperto di data journalism del Financial Times. Burn-Murdoch ha preso in considerazione i dati raccolti da ParlGov, un’organizzazione che raccoglie i dati elettorali dei paesi dell’Unione Europea e dell’OCSE, un’associazione di 38 paesi sviluppati che comprende tutta l’Europa occidentale, gli Stati Uniti, il Giappone e altri.
Burn-Murdoch ha valutato i risultati dei partiti di governo alle elezioni degli ultimi 75 anni e ha mostrato che nel 2024, per la prima volta, ogni singolo partito di governo che ha partecipato a elezioni nazionali (sono escluse le elezioni europee) ha perso voti. Il grafico con i risultati, che si può vedere qui sotto, è circolato moltissimo e ha contribuito a esemplificare il fenomeno.
Le motivazioni di queste sconfitte sistematiche riguardano anzitutto l’inflazione, cioè l’aumento generalizzato dei prezzi. L’inflazione è cominciata nel 2021 ed è stata messa sotto controllo soltanto quest’anno, dopo un periodo prolungato di aumento consistente dei prezzi.
Storicamente gli elettori percepiscono l’aumento dell’inflazione in maniera particolarmente negativa, più della disoccupazione o della mancata crescita economica, e anche se il suo aumento è stato provocato da fenomeni che prescindono in buona parte dalle scelte dei singoli governi, questo non ha fatto più di tanto la differenza: gli elettori se la sono presa con chi era al potere. Come ha scritto Yglesias: «La questione del perché, precisamente, gli elettori odino così tanto l’inflazione – che fa aumentare in maniera simmetrica stipendi e prezzi – ha a lungo disorientato gli economisti. Ma la psicologia di base sembra essere: il mio aumento di stipendio è frutto del mio duro lavoro e del mio talento, mentre i prezzi più alti che sto pagando sono colpa del governo».
Praticamente tutti i sondaggi nei paesi sviluppati mostrano la stessa cosa: gli elettori sono estremamente scontenti per l’inflazione, e anche ora che è stata messa sotto controllo ritengono che i prezzi siano troppo alti e accusano i propri governi di non aver fatto abbastanza. Questo fa sì che gli elettorati siano «scontenti, e scontenti in maniere simili», come ha scritto sempre Yglesias. Il risultato è stato un crollo generalizzato dei consensi dei partiti al potere, che ha riguardato partiti di destra e partiti di sinistra, partiti tradizionali e partiti populisti, praticamente senza eccezioni.
A ciò possiamo aggiungere una condizione di insoddisfazione sociale che è più difficile da misurare ma che è comunque generalizzata. In molti paesi sviluppati, compresi gli Stati Uniti, la popolazione ha vissuto negli ultimi anni una serie di sconquassi economici e sociali di grandi dimensioni, che hanno provocato un aumento del malcontento: dapprima i lockdown della pandemia, poi l’inflazione, poi, in molti paesi, un forte aumento dell’immigrazione e dell’instabilità che ne è conseguita. Come ha scritto il Financial Times, «gli ultimi due anni negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in decine di altri paesi sono stati caratterizzati da più sconvolgimenti economici e sociali di quanti se ne siano visti nelle ultime generazioni».
Questo malcontento nei confronti dei partiti al potere è stato così generalizzato che le eccezioni, cioè le elezioni in cui un governo uscente è riuscito a rimanere al suo posto, sono pochissime. Alle elezioni del 2023 in Spagna il Socialista Pedro Sánchez è riuscito a rimanere al governo, ma ha perso voti ed è stato costretto a fare grosse concessioni ai partiti secessionisti e indipendentisti. In Danimarca, alle elezioni del 2022, la prima ministra socialdemocratica Mette Frederiksen ha mantenuto il suo posto, ma è stata costretta ad abbandonare la sua coalizione di centrosinistra per andare a governare con forze politiche conservatrici.
Se si guarda invece al futuro, il malcontento per i partiti al potere sembra ancora forte: in Canada il primo ministro Justin Trudeau è estremamente impopolare. In Germania il governo è appena crollato e quasi certamente non sarà rieletto.