La Corte suprema indiana prova a limitare “la giustizia delle ruspe”
Ossia la prassi con cui le case dei musulmani e degli oppositori politici vengono distrutte senza preavviso: ora ci sarà qualche tutela in più
La Corte Suprema indiana ha stabilito che le demolizioni di case che appartengono a persone accusate di reati sono illegali e non rispettano «i principi di base del diritto», almeno per come sono attuate oggi. È un riferimento alla cosiddetta “bulldozer justice”, “la giustizia delle ruspe” che ormai da diversi anni viene portata avanti in alcuni stati governati dal partito del primo ministro Narendra Modi, il BJP (Bharatiya Janata Party). Le demolizioni sono formalmente giustificate dal fatto che le abitazioni sono abusive, ma colpiscono principalmente le minoranze religiose, soprattutto quella musulmana, oppure gli oppositori del partito al governo.
Fino alla sentenza della Corte Suprema, diffusa la scorsa settimana, nella capitale Delhi e negli stati Assam, Gujarat, Haryana, Madhya Pradesh e Uttar Pradesh, tutti governati dal partito nazionalista indù di Modi, le case venivano demolite anche prima di un giudizio definitivo sui reati di cui i loro inquilini erano accusati. Le ruspe si presentavano spesso il giorno dopo l’arresto del sospettato, senza preavviso e senza lasciare il tempo nemmeno di portare via gli effetti personali.
La Corte ha stabilito che debbano passare almeno quindici giorni dall’ordine di demolizione all’azione delle ruspe: la decisione deve essere comunicata al proprietario dell’immobile, che in quel periodo di tempo potrà fare ricorso, chiedere una sospensiva o almeno liberare gli edifici dai propri beni.
La Corte Suprema ha così parzialmente accolto le denunce e i ricorsi di varie associazioni non governative, fra cui Amnesty International, che avevano denunciato come la pratica di demolire le case fosse utilizzata per reprimere il dissenso e colpire la minoranza musulmana. In India i musulmani costituiscono circa il 14 per cento della popolazione (circa 200 milioni di persone), ma negli ultimi anni, quelli del governo del BJP, hanno subìto in maniera sistematica varie forme di discriminazione. In alcune occasioni sono state distrutte le abitazioni di persone che avevano partecipato a proteste o che erano state coinvolte in contenziosi con esponenti della maggioranza induista.
L’anno scorso, dopo gli scontri religiosi nello stato di Haryana, il governo locale ordinò la demolizione di oltre 750 fra abitazioni, negozi e altre strutture, tutte di proprietà di musulmani. Furono distrutte in soli quattro giorni.
In quel caso, come negli altri in cui le autorità hanno ordinato l’utilizzo delle ruspe, la decisione era stata giustificata dicendo che venivano distrutti solo gli edifici abusivi: un’argomentazione definita pretestuosa dalla comunità musulmana e dalle organizzazioni che si occupano di diritti umani. In India le abitazioni ufficialmente abusive sono moltissime, ma quasi sempre quelle demolite appartengono a persone coinvolte in casi di questo genere.
Modi è primo ministro dell’India dal 2014 e lo scorso giugno è stato rieletto per un terzo mandato: nel corso degli anni ha mostrato sempre più apertamente di voler trasformare l’India in un paese induista, alimentando anche alcune teorie del complotto diffuse nel paese, come quella della “sostituzione etnica” (secondo cui i musulmani farebbero più figli perché vogliono sostituire gli indù) e quella dei traditori interni (i musulmani indiani sarebbero «infiltrati» che non appartengono alla nazione). La sua crescente retorica anti musulmana ha contribuito all’aumento degli episodi di violenza religiosa, mentre i governi guidati dal BJP hanno attuato spesso politiche discriminatorie nei confronti delle minoranze.
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