La nuova Commissione Europea è bloccata
Non può entrare in carica per via di veti reciproci sulla nomina a vicepresidente di Raffaele Fitto e della spagnola Teresa Ribera: è una situazione inedita
Martedì al Parlamento Europeo si sono concluse le audizioni dei membri della prossima Commissione Europea, indicati dagli stati membri e scelti dalla prossima presidente, che è anche quella uscente, Ursula von der Leyen. In teoria al termine delle audizioni ciascuna commissione avrebbe dovuto votare per approvare o respingere ciascun candidato o candidata; in pratica il voto delle commissioni sui 6 candidati vicepresidenti, ascoltati martedì, è stato rimandato. «Sicuramente alla prossima settimana», ha detto al Post una fonte parlamentare che preferisce rimanere anonima.
Di conseguenza non è ancora possibile calendarizzare il voto finale che permetterà ufficialmente alla nuova Commissione Europea di entrare in carica e che per legge deve tenersi durante una sessione plenaria del Parlamento Europeo. In sostanza, la nuova Commissione Europea è bloccata: peraltro in un momento in cui diversi leader europei concordano sul fatto che davanti all’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti le istituzioni europee dovrebbero mostrarsi coese e ambiziose.
Diverse persone coinvolte nel processo di conferma raccontano che il punto della questione non riguarda le competenze dei candidati vicepresidenti, l’adeguatezza al ruolo che dovrebbero ricoprire, o il merito di alcune risposte date durante le audizioni. Lo stallo è causato da ragioni puramente politiche, ed è una situazione inedita.
I sei vicepresidenti sono espressione dei diversi partiti politici europei, che raggruppano i vari partiti nazionali. Cinque su sei vicepresidenti sono espressione di partiti che fanno parte della maggioranza che governa i lavori del Parlamento Europeo e che sostiene la nuova Commissione di Ursula von der Leyen (la quale fa parte del Partito Popolare Europeo, il principale partito europeo di centrodestra). Due provengono da Partito Socialista Europeo – la spagnola Teresa Ribera e la romena Roxana Mînzatu – due dai Liberali – l’estone Kaja Kallas e il francese Stéphane Séjourné – e una dai Popolari, la finlandese Henna Virkkunen.
Contando anche von der Leyen, in totale fanno due politici Popolari, due Socialisti, due Liberali. A complicare il quadro è stata la nomina a vicepresidente di Raffaele Fitto, attuale ministro italiano nonché membro di Fratelli d’Italia, espressione di un gruppo di destra radicale che al momento è fuori dalla maggioranza, Conservatori e Riformisti (ECR). La nomina di Fitto a vicepresidente è stata considerata un modo per von der Leyen di rafforzare il suo rapporto di collaborazione con la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni.
I commissari vengono indicati dai governi nazionali, ma a quelli che non fanno parte della maggioranza solitamente vengono date deleghe di secondo piano. Ormai da tre-quattro anni però ECR sta cercando di mostrarsi come una forza moderata e responsabile, e sta rafforzando un rapporto con i Popolari su varie questioni. L’avvicinamento fra ECR e Popolari peraltro è stato curato in prima persona da Fitto, che prima di essere capogruppo di ECR al Parlamento Europeo, fra 2019 e 2022, aveva fatto per anni parte di Forza Italia, il principale partito italiano affiliato ai Popolari.
– Leggi anche: Dentro al Partito Popolare Europeo
L’indicazione di Fitto come vicepresidente da parte di von der Leyen serviva sia a conservare un rapporto col governo italiano sia potenzialmente ad allargare la maggioranza che appoggia la Commissione, anche se solo su alcuni temi. In questo momento infatti ECR è il quarto gruppo parlamentare più numeroso, con 78 parlamentari: a von der Leyen tornerebbe comodo fare affidamento su di loro, almeno in alcuni casi.
Peraltro già all’inizio di questa legislatura si è capito che al Parlamento Europeo esiste una maggioranza di destra che tenga dentro Popolari, Liberali, ECR, altri due gruppi di estrema destra (i Patrioti e Europa delle Nazioni Sovrane) e alcuni parlamentari indipendenti. Nel gergo parlamentare la si è chiamata “maggioranza Venezuela”, dato che è emersa per la prima volta in un voto sull’esito delle recenti elezioni presidenziali in Venezuela, molto contestate dall’opposizione al regime di ispirazione socialista di Nicolás Maduro.
Ma la cosiddetta “maggioranza Venezuela” ha numeri piuttosto traballanti, anche perché i Liberali votano spesso insieme ai gruppi parlamentari progressisti come Socialisti e Verdi. E quindi l’opzione più percorribile per i Popolari è quella di rivolgersi a Socialisti e Liberali. Da parte di questi due partiti però rimane una certa diffidenza per via dell’avvicinamento fra Popolari e ECR: è stata molto visibile durante l’audizione di Fitto, durante il quale i parlamentari del PPE hanno applaudito a diverse risposte di Fitto. All’interno del PPE in questi giorni qualcuno ha scherzato sul fatto che Fitto fosse, in fondo, «uno dei nostri».
I gruppi più a sinistra invece sono infastiditi da questo legame sempre più forte ed evidente fra ECR e Popolari, che è stato anche rivendicato apertamente dal capogruppo del Partito Popolare Europeo, il tedesco Manfred Weber. Durante l’audizione di Fitto le domande più incalzanti sono arrivate proprio dai Verdi, dai Liberali, dalla Sinistra e dai Socialisti; tranne che dal Partito Democratico, che ha posto a Fitto soltanto una domanda molto morbida, probabilmente per evitare di essere accusato di criticare un potenziale vicepresidente del suo stesso paese. Fitto se l’è cavata soprattutto svicolando davanti alle domande più toste, ma se l’è cavata.
Dopo la fine dell’audizione però la commissione ha deciso di aspettare a votare per l’approvazione o il respingimento di Fitto in attesa della fine delle audizioni degli altri 5 candidati vicepresidenti, che si tenevano più o meno in contemporanea. In serata però l’audizione della spagnola Teresa Ribera è stata estremamente tesa: i Popolari, spinti soprattutto dal Partito Popolare spagnolo, hanno criticato moltissimo Ribera per presunte mancanze sulla gestione delle recenti alluvioni a Valencia. In Spagna è una questione di cui si sta discutendo parecchio: la sinistra, che controlla il governo nazionale ma è all’opposizione nella Comunità di Valencia, chiede le dimissioni del presidente della Comunità Carlos Mazón, del Partito Popolare. Il quale invece accusa il governo centrale e nello specifico Ribera, che è vice-prima ministra con la delega alla Transizione ecologica, di non avere fatto abbastanza per prevenire l’alluvione.
In estrema sintesi: al momento ci sono veti incrociati su due candidati vicepresidenti. Ai gruppi parlamentari progressisti non piace Fitto, mentre ai Popolari non va particolarmente a genio la nomina di Ribera, che peraltro nella futura commissione avrà due deleghe importantissime come la Concorrenza e la Transizione ecologica.
Non è chiaro come potrebbe andare a finire. L’obiettivo dei Socialisti e più in generale dei gruppi progressisti, secondo un parlamentare dei Socialisti, è convincere von der Leyen a togliere la carica di vicepresidente a Fitto e renderlo un commissario “semplice”, per evitare che la Commissione e la maggioranza si spostino troppo a destra. Per il governo Meloni, ovviamente, sarebbe una discreta figuraccia. Ieri il parlamentare europeo Carlo Fidanza, fra i più influenti della delegazione di Fratelli d’Italia, ha spiegato in una conferenza stampa che il partito è decisamente contrario all’ipotesi di togliere la vicepresidenza a Fitto.
L’obiettivo dei Popolari è verosimilmente quello di costringere il governo spagnolo a sostituire Ribera con un’altra persona, e magari redistribuire le competenze in modo che i Socialisti non esprimano un commissario con due deleghe così influenti.
L’impressione di molti nelle istituzioni europee è che i partiti della maggioranza vogliano comunque provare a superare le differenze e approvare la nuova Commissione così come è stata proposta. Al contempo però questo approccio prevede un certo rischio. «Diverse fonti ci hanno detto che i sei vicepresidenti ora rappresentano “un pacchetto”. O passano tutti, o cadono tutti», hanno scritto mercoledì mattina i giornalisti David Carretta, Christian Spillmann e Idafe Martín Pérez nella loro newsletter sugli affari europei, Il Mattinale Europeo.