A che punto sono le indagini sulle violenze nel carcere di Cuneo
Il tribunale del Riesame ha confermato la sospensione di due agenti di polizia penitenziaria, accusati di aver pestato sette persone detenute
Secondo il giudice del tribunale del Riesame di Torino, Cristiano Trevisan, per almeno due anni nel carcere Cerialdo di Cuneo è stato fatto un uso sistematico della violenza nei confronti delle persone detenute: con questa motivazione è stata confermata la sospensione di due agenti di polizia penitenziaria accusati di ripetute violenze. In totale gli agenti indagati sono 33, ma solo due sono stati sospesi dal lavoro in attesa di un eventuale processo, perché c’è il rischio che possano ripetere il reato di cui sono accusati. Il giudice del tribunale del Riesame ha scritto che l’utilizzo della violenza non era eccezionale, ma una prassi, e ha definito il comportamento degli agenti crudele, brutale e degradante per le vittime.
Le indagini della procura iniziarono dopo la segnalazione di vari episodi di violenza: diverse persone accusate di resistenza a pubblico ufficiale riportavano lividi e tagli. Dagli accertamenti fatti anche attraverso intercettazioni emerse un uso sistematico della violenza da parte degli agenti di polizia penitenziaria. Inizialmente gli indagati furono 23, poi diventati 33 nel corso dell’inchiesta: le accuse sono di tortura, lesioni e abuso di autorità.
Uno degli episodi più significativi è della notte tra il 20 e il 21 giugno del 2023, e riguarda quattro detenuti di origine straniera che stavano protestando battendo le stoviglie sulle inferriate per chiedere una visita medica per il detenuto di una cella accanto. Secondo l’accusa, alcuni agenti di polizia penitenziaria si presentarono nella cella 417 in abiti civili e uno di loro avrebbe sferrato un calcio in faccia a un detenuto accasciato a terra. Anche il detenuto portato in infermeria, sostiene l’accusa, sarebbe stato picchiato e insultato. I detenuti delle due celle furono messi in isolamento, tra cui un uomo quasi nudo, sanguinante per via delle botte.
In un altro caso citato nell’inchiesta un detenuto fu fatto spogliare in un ufficio e fu colpito alla nuca da un agente con un oggetto metallico: riportò una ferita di 8 centimetri, piuttosto profonda. L’uomo fu poi messo in isolamento e portato in ospedale soltanto qualche ora dopo, quando venne trovato privo di sensi e sanguinante. La procura contesta anche l’utilizzo del taser nei confronti di un detenuto marocchino che aveva ottenuto di essere spostato per osservare il Ramadan, il mese che le persone musulmane dedicano alla preghiera e al digiuno. Un altro detenuto con difficoltà motorie per via di protesi a entrambi gli arti inferiori sarebbe stato trascinato lungo il corridoio dopo una notte in isolamento.
A settembre la giudice per le indagini preliminari di Cuneo Rita Tornesi aveva sospeso dal servizio due dei 33 agenti coinvolti nell’indagine: sono un assistente capo e un ispettore accusati dei fatti più gravi. Entrambi hanno fatto ricorso al tribunale del Riesame che però a ottobre ha confermato la sospensione. Il presidente del tribunale del Riesame, Cristiano Trevisan, ha sottolineato come nessuno degli agenti di polizia penitenziaria fosse stato sospeso dal servizio o sanzionato. Anzi, ha scritto il giudice, «per quanto emerso in udienza, con dichiarazione del pubblico ministero non smentita dall’indagato né dal difensore, parrebbe che l’ispettore sia stato addirittura promosso dopo i fatti al grado di vice comandante della polizia penitenziaria». La promozione è stata decisa dal provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, dopo che il tribunale di Cuneo aveva ordinato la sospensione dal lavoro.
Le indagini della procura sono ancora in corso. Oltre a denunce, testimonianze, filmati e consulenze medico legali ci sono molte intercettazioni con cui l’accusa intende dimostrare un uso sistematico della violenza nei confronti dei detenuti. La Stampa scrive che alcuni degli agenti intercettati hanno parlato tra loro della necessità di “addomesticare” e “addestrare” i nuovi detenuti. In altri casi gli agenti si sono sfogati al telefono rimpiangendo i tempi in cui non c’erano le telecamere in carcere.