Come funzionano gli scambi di prigionieri tra soldati russi e soldati ucraini
A cento per volta e su strade deserte: il problema più grosso nei negoziati è che spesso la Russia non vuole riprendersi i suoi militari
di Daniele Raineri
Russia e Ucraina negoziano di continuo con discrezione e la maggior parte di questi negoziati è per scambiarsi i prigionieri di guerra (prima o poi il paese invasore e il paese invaso dovranno trattare su altre cose, come il cessate il fuoco generale e la cessione forzata oppure no di territori ucraini, ma queste saranno altre storie). Ci sono stati sessanta di questi scambi dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina fino a oggi, l’ultimo pochi giorni fa. Funziona con una quotazione alla pari: per ogni soldato russo che torna a casa c’è un soldato ucraino che torna a casa nello stesso momento.
Quasi sempre il posto scelto per l’incontro è una delle strade asfaltate che collegano i due paesi passando attraverso boschi e campi. Fino a dieci anni fa erano arterie trafficate, adesso sono luoghi deserti e chiusi da barriere. L’accordo per lo scambio prevede un breve cessate il fuoco, soltanto in quella zona: non ci sono colpi di artiglieria e bombardamenti per almeno un’ora. Le persone che negoziano queste mini tregue la chiamano “l’ora di silenzio”. A volte lo scambio è avvenuto in mezzo a un ponte, come succede nei film di spionaggio, altre volte no.
Alcuni di questi appuntamenti tra ucraini e russi sono stati organizzati a sud; poi quando i combattimenti sul fronte da quelle parti sono diventati troppo intensi sono stati spostati a nord nella regione di Sumy, dove il confine è quasi tranquillo – quasi tranquillo rispetto alle altre zone, ma ci sono sempre tentativi di infiltrazione di forze speciali e bombardamenti.
Da agosto però quella zona è diventata il punto di transito per l’offensiva dei soldati ucraini in Russia e i bombardamenti e tutte le attività militari sono aumentati d’intensità: quei territori non sono più così adatti agli incontri con i russi. Non se ne sa molto perché gli scambi sono considerati una materia da trattare con riservatezza, come anche i negoziati che li precedono. I giornalisti non sono ammessi a osservare e filmare gli scambi di prigionieri nemmeno da lontano.
Petro Yatsenko, 51 anni, che lavora al Centro di coordinamento per il trattamento dei prigionieri di guerra nella capitale Kiev ed è coinvolto nei negoziati, spiega al Post come funzionano. È seduto in un’ala dell’edificio che di solito serve da asilo per i figli più piccoli dei dipendenti, con tavolini e sedie minuscoli, e ora è deserta. Fuori c’è una fila di donne ucraine in attesa di entrare per chiedere informazioni sui mariti, fidanzati, fratelli o figli che sono andati al fronte e sono spariti nel nulla. Dappertutto ci sono uomini in divisa con il logo del gufo, che rappresenta l’intelligence militare ucraina, perché sono loro a gestire il servizio.
– Leggi anche: Ogni giorno l’intelligence ucraina deve correre più forte dell’intelligence russa
Quest’anno il numero di prigionieri per ogni singolo scambio è stato attorno ai cento, abbastanza da stare su due autobus. I soldati ucraini riportati a casa dall’inizio dell’invasione sono 3.600. Molti di loro furono catturati quando le truppe russe occuparono Mariupol, nei primi mesi del 2022, e fecero più di duemila prigionieri.
Dopo Mariupol non ci sono più state catture di massa così grandi. In Ucraina quando si parla di soldati russi si cita spesso la cosiddetta “banca dei prigionieri”, che è un modo per dire che ogni prigioniero russo è un guadagno: potrà essere scambiato con un soldato ucraino. L’offensiva di agosto nella regione russa di Kursk è piaciuta a molti ucraini anche perché ha permesso di catturare soldati russi da mettere “in banca”.
Quando arriva l’ora del silenzio gli autobus aspettano sul territorio controllato dagli ucraini con i prigionieri russi a bordo a poche centinaia di metri. I negoziatori ucraini scendono e vanno dal lato controllato dai russi a vedere i prigionieri ucraini, a contarli e a verificare che sia tutto a posto. Se va tutto bene, i bus entrano in territorio russo con i prigionieri russi, li lasciano a terra, caricano quelli ucraini e li riportano dall’altra parte. I negoziatori russi invece non vanno dal lato ucraino a contare i loro prigionieri, dice Yatsenko: «I russi non mettono piede in Ucraina». Se tutto fila liscio, lo scambio dura molto meno del cessate il fuoco.
Durante le trattative, che possono durare giorni o mesi, gli ucraini non presentano ai russi una lista specifica di nomi di soldati da liberare perché, sostiene Yatsenko, se facessimo così i russi comincerebbero ad alzare il prezzo. «È come un mercato degli schiavi, è una roba medievale», dice il negoziatore ucraino: se chiedessimo la liberazione di qualcuno con nome e cognome loro chiederebbero in cambio molti più soldati. Diventerebbe come uno di quei negoziati fra Israele e Hamas nei quali il prezzo di ciascun ostaggio può fluttuare e salire fino a diventare, come nel caso del soldato Gilad Shalit nel 2011, persino di un soldato restituito in cambio di più di mille palestinesi liberati dalle prigioni.
Invece i negoziatori ucraini chiedono ai russi una lista di nomi dei soldati che hanno nelle loro prigioni e quando l’hanno ricevuta mandano una lista di nomi di prigionieri russi.
– Leggi anche: A Kherson i dronisti russi prendono di mira i civili ucraini per divertimento
C’è un grosso problema. La Croce rossa internazionale ha accesso ai campi di detenzione ucraini, può verificare gli standard umanitari, le condizioni e il cibo e identifica tutti i militari russi prigionieri. Ma la Russia non permette a nessuno l’accesso ai suoi campi di prigionia, nemmeno alla Croce rossa internazionale, quindi non è possibile sapere quanti prigionieri ucraini abbia e in che condizioni siano.
Secondo la Commissione d’inchiesta indipendente formata dalle Nazioni Unite, il 95 per cento dei prigionieri ucraini in Russia è stato sottoposto a torture: scosse elettriche, morsi di cane, percosse e violenze sessuali, commesse grazie a un diffuso «senso d’impunità», come è scritto in un rapporto uscito due mesi fa. Questo spiegherebbe perché i russi non vogliono l’accesso di osservatori indipendenti, come la Croce rossa, nei campi di prigionia. Non c’è alcuna garanzia che gli ucraini non spariscano nel nulla.
«Noi ucraini – dice Yatsenko – abbiamo appena aperto il quinto campo di detenzione per soldati russi, fino a un anno fa ne avevamo soltanto uno nell’Ucraina dell’ovest. Li teniamo bene sotto ogni punto di vista, dal cibo alle cure mediche, come impone la Convenzione di Ginevra per i prigionieri di guerra che anche la Russia ha firmato e non rispetta, ma sono così tanti che per noi è un peso e non sappiamo per quanto ancora lo dovremo fare. L’opinione pubblica ci chiede perché li trattiamo così bene».
«Loro, i russi – continua il negoziatore – hanno diviso i prigionieri in circa centocinquanta campi sparpagliati su un territorio enorme, che nessun testimone indipendente può visitare. Se l’intelligence ucraina non si fosse sforzata di localizzarli non sapremmo neanche dove sono. E non ci sono soltanto prigionieri militari, ci sono anche migliaia di prigionieri civili».
Il secondo grosso problema nei negoziati è che la Russia non vuole riprendersi indietro i soldati catturati. Quando gli ucraini hanno invaso la regione di Kursk hanno colto di sorpresa molti militari di leva russi, quindi giovani, e la cosa ha fatto impressione all’opinione pubblica russa. Ci sono stati negoziati veloci per liberarli. Ma molti altri soldati russi non di leva sono prigionieri ormai da due anni e per l’opinione pubblica russa è come se non esistessero. La loro liberazione non è considerata una priorità da Mosca. Inoltre nell’esercito russo c’è una scarsa considerazione dei prigionieri, perché c’è il sospetto che si siano fatti catturare per evitare di combattere e di morire. Ma per ogni prigioniero russo dimenticato in Ucraina c’è un prigioniero ucraino bloccato in Russia.
Yatsenko racconta che tra agosto e dicembre del 2023 la Russia ha smesso del tutto di scambiare prigionieri e ha tentato una manovra per aizzare l’opinione pubblica ucraina contro il governo di Volodymyr Zelensky. Ha contattato molte famiglie dei prigionieri ucraini e ha detto loro che dovevano protestare se volevano vedere i loro cari di nuovo a casa. Era un piano di destabilizzazione ideato dai servizi segreti russi che gli ucraini chiamano “Maidan due”, in riferimento alla rivolta di Maidan nel 2014 che tra le altre cose fece uscire l’Ucraina dal suo stato di subordinazione alla Russia di Vladimir Putin. Soltanto che in questo caso sarebbe stato in senso contrario: l’ambizione era buttare giù il governo del presidente Zelensky e instaurare un governo filorusso.
C’è un terzo problema ed è che i negoziatori ucraini sono un blocco unico e parlano con una voce sola, quelli russi no.
Yatsenko spiega che fino all’anno scorso era necessario parlare con tre gruppi diversi: l’esercito regolare della Russia, i gruppi privati di mercenari come il Wagner, che catturavano soldati ucraini e se li tenevano per negoziare la liberazione dei propri uomini, e i ceceni, che preferivano anche loro negoziare in modo diretto con l’Ucraina per ottenere la restituzione dei loro connazionali. Inoltre molti ufficiali e funzionari russi di alto livello contattano anche loro in via diretta i negoziatori ucraini per liberare questo o quel soldato russo, come favore speciale ad amici e parenti. Il risultato è che i negoziati, già complicati in partenza, diventano un caos di richieste da sbrogliare.
Gli Emirati Arabi Uniti hanno un grosso ruolo da mediatori in questi scambi di prigionieri fra russi e ucraini e Yatsenko conferma che «fanno cose davvero importanti e siamo molto grati», ma non vuol dire di più.
I russi dividono i prigionieri ucraini in tre categorie. Ci sono quelli che sono stati arruolati perché l’Ucraina ha ordinato una mobilitazione all’inizio dell’invasione e secondo loro valgono di meno. Sono quelli scambiati più facilmente. Poi ci sono i militari ucraini professionisti, che hanno esperienza e valgono di più, quindi i russi tendono a liberarli di meno. E infine ci sono i combattenti delle unità che hanno dimostrato più determinazione in guerra, come gli appartenenti al battaglione di estrema destra Azov, e per loro la liberazione è molto più difficile. Due anni fa per ottenere la restituzione dei difensori dell’acciaieria Azovstal di Mariupol, catturati dopo un assedio di ottanta giorni, l’intelligence ucraina contattò con successo anche Papa Francesco e lo coinvolse nei negoziati.