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  • Domenica 10 novembre 2024

Chi fa cosa alla Casa Bianca

Come ogni presidente Donald Trump nominerà centinaia di funzionari: alcuni influiscono sulle strategie politiche, economiche e di sicurezza, altri si occupano dei fiori o dei banchetti

Lo staff di Barack Obama ascolta un discorso dentro la Casa Bianca, nel 2016 (AP Photo/Susan Walsh, File)
Lo staff di Barack Obama ascolta un discorso dentro la Casa Bianca, nel 2016 (AP Photo/Susan Walsh, File)
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Negli Stati Uniti il primo compito di ogni presidente eletto è quello di definire la propria squadra, lo staff che lavorerà con lui alla Casa Bianca. Donald Trump ha iniziato già due giorni dopo le elezioni, nominando Susie Wiles capa di gabinetto. È il ruolo più importante, ma ce ne sono altre decine, se non centinaia, da riempire. Il primo mandato di Trump fu segnato da una grande confusione e da un frequente turnover fra i collaboratori più stretti. Trovare quelli giusti può definire il futuro di un’amministrazione: lo staff è un componente fondamentale, ma nella sua forma attuale è piuttosto recente.

Era il 1936 quando l’allora presidente Franklin Delano Roosevelt incaricò tre esperti di scienze politiche di studiare possibili modifiche per rendere più efficiente l’esercizio del potere esecutivo (cioè il potere del governo) negli Stati Uniti. Dopo circa dieci mesi di lavoro i tre studiosi, conosciuti come Commissione Brownlow (dal nome di uno dei tre membri, Louis Brownlow), presentarono una relazione di 57 pagine la cui introduzione conteneva quattro parole che sarebbero diventate un pezzo di storia della politica americana: «The President needs help», «Il presidente ha bisogno d’aiuto».

Il rapporto proponeva un ritratto del tipo di assistente che sarebbe servito al presidente: «Deve restare dietro le quinte, non dare ordini, non prendere decisioni e non fare dichiarazioni pubbliche. Deve possedere competenze di alto livello, una grande resistenza fisica e una passione per l’anonimato». La relazione della commissione avrebbe portato nel 1939 all’approvazione da parte del Congresso del Reorganization Act, la più importante riorganizzazione del governo degli Stati Uniti fino ad allora, che ha ancora oggi enorme influenza sul lavoro del presidente.

Il Reorganizazion Act introdusse sei “assistenti esecutivi” e portò alla creazione dell’Ufficio Esecutivo del presidente: in precedenza, dalla fine del Diciannovesimo secolo, il presidente aveva spesso solo una segretaria e alcuni collaboratori informali, ma lavorava principalmente con i membri del governo. Dal 1939 il numero dei collaboratori alle dipendenze dirette del presidente crebbe rapidamente. Oggi, circa ottant’anni dopo, lo staff che dipende dalla Casa Bianca conta su oltre 500 persone, che sono diventate imprescindibili per garantire il corretto funzionamento dell’enorme macchina amministrativa degli Stati Uniti.

Ogni politico di alto livello organizza una squadra di lavoro personale, non potendo contare sulle strutture di partito, che sono molto più snelle e meno stabili che per esempio in Europa. Questa squadra di collaboratori personali accompagna anche il candidato presidente durante la lunga e frenetica campagna elettorale: se poi ha successo, i collaboratori più stretti sono confermati in ruoli importanti dell’amministrazione. Il consigliere sulla politica estera di un candidato, per esempio, può entrare nel Consiglio per la sicurezza nazionale una volta che il candidato è diventato presidente. Ma una volta raggiunta la presidenza c’è molto più lavoro da fare e ci sono più ruoli da riempire: solitamente la squadra scelta da un candidato in campagna elettorale è destinata ad allargarsi notevolmente una volta raggiunta la Casa Bianca.

Lo staff è anche molto raccontato, da decine di film, romanzi e serie tv: il lavoro totalizzante e senza orari, le grandi responsabilità, lo stress e i rapporti molto stretti che si creano nel gruppo sono un cliché di queste narrazioni, spesso però molto vicine alla realtà. Alcune di queste rappresentazioni sono più romanzate, altre più fedeli a ciò che effettivamente avviene alla Casa Bianca: fra queste ultime c’è sicuramente The West Wing, una serie di Aaron Sorkin andata in onda fra il 1999 e il 2006, tutta incentrata sul lavoro “dietro le quinte” della squadra di collaboratori del presidente.

I funzionari dello staff della Casa Bianca, anche di altissimo livello, non sono eletti ma vengono scelti personalmente dal presidente, e tranne qualche eccezione non devono passare nemmeno dall’approvazione del Senato, necessaria invece per la nomina dei ministri o dei giudici della Corte Suprema. I funzionari ricoprono vari incarichi inerenti al governo federale, gestiscono molte questioni politiche che vanno dall’economia alla sicurezza nazionale, e hanno a disposizione budget da centinaia di milioni di dollari. Il lavoro alla Casa Bianca può lanciare carriere importanti in politica o nel settore privato, ma è particolarmente intenso e soggetto a un ricambio costante. La permanenza in carica di un capo di gabinetto è intorno ai 18 mesi, ma anche negli altri ruoli sono frequenti licenziamenti e dimissioni.

Tra il 2017  e il 2020 la prima amministrazione di Trump ha battuto ogni record: il 92 per cento dei dipendenti della Casa Bianca di più alto livello che aveva cominciato il mandato non è arrivato alla fine. Trump ha cambiato quattro capi di gabinetto, cinque direttori della comunicazione e quasi tutti i principali responsabili, per sua iniziativa o in seguito alle dimissioni degli interessati.

John Bolton, che durante la presidenza Trump fece parte del Consiglio per la sicurezza nazionale per circa un anno e mezzo, ha raccontato la propria esperienza in uno dei tanti libri scritti da ex funzionari del governo. Bolton ha descritto un ambiente di lavoro folle, competitivo e imprevedibile: «Lavorare alla Casa Bianca sotto Trump era come vivere dentro un flipper», ha scritto.

Il giuramento di alcuni membri dello staff di Donald Trump nel 2017 (AP Photo/Andrew Harnik)

I rapporti tra i membri dello staff sono organizzati in base a una rigida struttura gerarchica, al cui vertice c’è il capo di gabinetto: i suoi poteri sono ampi, di fatto superiori a quelli del vicepresidente, che formalmente è la seconda carica dello stato. Il capo di gabinetto svolge un numero consistente di funzioni e ha un ruolo centrale nel definire le strategie della Casa Bianca, dall’agenda legislativa alla comunicazione dell’attività di governo. Decide le priorità politiche e organizza la gestione delle crisi internazionali, ma il ruolo potenzialmente più critico è quello di “filtro”. Decide quali scelte devono essere prese personalmente dal presidente e quali possono essere delegate, controlla la sua agenda, ha l’ultima parola su chi debba incontrare, si assicura che utilizzi il suo tempo per le priorità e non lo disperda in dettagli di cui può fare a meno. Sceglie insomma di cosa si deve occupare e con chi deve parlare il presidente, proponendosi come suo rappresentante in molte altre occasioni.

Inizialmente il ruolo era chiamato “assistente del presidente”, ma il nome fu cambiato nel 1953 dal presidente Repubblicano Dwight D. Eisenhower. Gli storici della Casa Bianca raccontano che nel suo primo giorno di mandato un usciere gli consegnò una lettera, ma Eisenhower urlando fissò una nuova regola: «Non voglio mai più ricevere una busta chiusa». Nessun documento o comunicazione sarebbe dovuta arrivare alla sua scrivania prima che qualcuno di sua fiducia lo avesse esaminato. Per svolgere questa e altre funzioni scelse come suo assistente Sherman Adams, ex governatore del New Hampshire, noto per essere una persona particolarmente irascibile. Alcuni presidenti preferiscono per il ruolo una figura molto risoluta e autoritaria, definendo con questa scelta lo stile della propria amministrazione.

Il presidente Repubblicano Richard Nixon, in carica per due mandati tra il 1969 e il 1974, scelse come capo di gabinetto Harry Robbins Haldeman. Era solito definirsi il son of a bitch (figlio di puttana) del presidente e aveva instaurato regole rigide e un clima molto teso fra i suoi dipendenti. Dopo lo scandalo Watergate, che nel 1974 portò alle dimissioni di Nixon, Haldeman fu accusato di cospirazione e intralcio alla giustizia: finì in carcere insieme ad altri quattro dei più stretti consiglieri del presidente.

In un documentario del 2013 Rahm Emanuel, capo di gabinetto del presidente Democratico Barack Obama, disse: «Di tutto ciò che sta fra il buono e il cattivo può occuparsi qualcun altro. Allo Studio Ovale deve arrivare solo quello che è fra il cattivo e il pessimo». Leon Panetta, che lavorò per il presidente Democratico Bill Clinton, raccontò così il proprio ruolo: «Devi essere la persona che dice di no. In sostanza devi essere lo stronzo che dice alla gente quello che il presidente non può dire». Con Trump, la cui comunicazione è molto diretta e gli accessi d’ira noti, questo discorso vale solo in parte, Wiles dovrà invece soprattutto mediare.

Quando il presidente prende una decisione o stabilisce una linea politica da seguire su un certo tema, il capo di gabinetto deve assicurarsi che le corrette istruzioni e informazioni passino dalla Casa Bianca a tutto il resto dell’amministrazione, membri del governo compresi. Obama spiegò: «Ho imparato che le grandi conquiste sono di solito il risultato di tanto lavoro sporco. Del lavoro sporco si occupa il capo di gabinetto».

Consigliere, stratega, negoziatore col Congresso, manager di un gruppo di lavoro immenso che spesso seleziona in prima persona, il capo di gabinetto in alcune amministrazioni ha assunto un potere personale considerato eccessivo per un funzionario non eletto. Accadde per esempio negli anni Settanta, durante i mandati presidenziali di Nixon e poi di Gerald Ford, il cui ultimo capo di gabinetto fu Dick Cheney (poi fra i vicepresidenti più potenti con George W. Bush). In quel periodo il potere concentrato nelle mani dei vari capi di gabinetto divenne così grande che nel 1976 il candidato Democratico alla presidenza, Jimmy Carter, promise che se fosse stato eletto non lo avrebbe nominato: durante il suo mandato il ruolo restò effettivamente vacante per oltre due anni.

Ronald Reagan con alcuni membri del suo staff sull’Air Force One nel 1989 (AP Photo/Doug Mills)

L’Ufficio Esecutivo del presidente gestito dal capo di gabinetto prevede tre livelli gerarchici: assistenti, vice assistenti e assistenti speciali.

Gli assistenti rappresentano il gruppo più influente di collaboratori del presidente. Normalmente sono circa una ventina, e si dividono i compiti. Alcuni si occupano di far funzionare la grande macchina decisionale legata al presidente, facendosi carico per esempio dell’organizzazione dei viaggi e degli appuntamenti, ma anche della scrittura dei discorsi. Un altro gruppo di assistenti ha incarichi di natura più strettamente politica e gestisce le questioni economiche, amministrative e legate alla sicurezza. Per questo è costantemente in comunicazione con i quindici membri del governo che gestiscono i Dipartimenti, il corrispettivo dei nostri ministeri: il segretario di Stato (l’equivalente del ministro degli Esteri), il segretario al Tesoro, il procuratore generale, e così via. Un terzo gruppo deve invece occuparsi dei rapporti fra il presidente e le entità “esterne”, come il Congresso, la stampa e i gruppi di interesse: rientrano in questa categoria il consigliere per gli affari legislativi e il portavoce della Casa Bianca, tra gli altri.

A sua volta, ciascuno degli assistenti può contare su alcuni vice assistenti e assistenti speciali, spesso specializzati su particolari argomenti, nonché su una serie di dipendenti. Il capo di gabinetto generalmente assegna ogni questione e ogni compito specifico a un particolare assistente, che li gestisce e ne diventa responsabile: può valere per una crisi internazionale come per una riforma legislativa, o per la pianificazione di una campagna di comunicazione su uno specifico argomento. È spesso l’assistente designato a presentarli al presidente nel momento in cui è necessario prendere una decisione definitiva. Kennedy per esempio istituì gruppi di lavoro specifici per organizzare riforme dei regolamenti del commercio e dell’agricoltura.

Ogni presidente può poi modellare lo staff e le funzioni a seconda delle sue personali esigenze, oltre che aggiungere delle figure, quelle dei “consiglieri senior”, che spesso sono fra i suoi più stretti collaboratori a livello politico e partecipano a tutte le riunioni importanti. Secondo i dati resi pubblici nel luglio 2023 il dipendente dello staff di Joe Biden più pagato era Demetre C. Daskalakis, un medico che ha il ruolo ufficiale di vice-coordinatore della squadra che alla Casa Bianca si occupa dell’emergenza relativa al vaiolo delle scimmie: guadagna 260.000 dollari l’anno. Diciannove membri dello staff non hanno invece uno stipendio: dodici di questi sono inquadrati come “consiglieri politici”.

Stanze e uffici alla Casa Bianca (Il Post)

Così tanti dipendenti non possono trovare tutti posto dentro la Casa Bianca. I livelli più alti, o quelli per cui è considerato necessario un accesso continuo al presidente, hanno i loro uffici nella West Wing, l’Ala Ovest, dove ci sono anche lo Studio Ovale del presidente, la Situation Room in cui si gestiscono le crisi internazionali o di sicurezza nazionale e la Roosevelt Room, utilizzata per le riunioni. Tutte sono facilmente accessibili dagli uffici dello staff: The West Wing ha rappresentato piuttosto fedelmente anche gli spazi dello staff. Quando nel 2003 fu chiesto al portavoce dell’amministrazione di George W. Bush, Scott McClellan, quanto la rappresentazione fosse accurata, fece solo due appunti: «Nella serie c’è troppa gente che va in giro per i corridoi, e i veri uffici sono più piccoli di come appaiono in televisione».

Alcuni dei maggiori consiglieri politici ed economici di Joe Biden nel maggio del 2023 (AP Photo/Alex Brandon)

I consiglieri principali hanno i loro uffici nella West Wing: il consigliere per la Sicurezza nazionale, incarico che in passato fu anche di Henry Kissinger, ha accesso a quasi tutti i report dell’intelligence e prepara incontri, viaggi e telefonate internazionali.

Negli anni hanno assunto particolare rilevanza i consiglieri nominati dal presidente che si occupano di sicurezza, terrorismo e politica internazionale. Nella famosa foto che ritrae la squadra governativa seguire l’operazione che portò all’uccisione di Osama bin Laden, nel 2011, i posti a sedere nella piccola Situation Room sono occupati da presidente, vicepresidente, segretario di Stato e segretario alla Difesa, oltre a due generali. Dietro di loro in piedi, insieme al capo di Stato maggiore dell’esercito, ci sono alcuni dei collaboratori più potenti e non eletti: Tom Donilon, consigliere per la Sicurezza nazionale; Bill Daley, capo di gabinetto; Antony Blinken, consigliere per la Sicurezza nazionale del vicepresidente, Audrey Tomason, direttrice dell’Antiterrorismo; John Brennan, assistente del presidente per la Sicurezza nazionale e l’Antiterrorismo; James Clapper, direttore dell’Intelligence nazionale. Denis McDonough, vice consigliere per la Sicurezza nazionale, è seduto a destra di Hillary Clinton: sarebbe poi diventato capo di gabinetto di Obama dal 2013 al 2017.

La situation room il 1° maggio del 2011 (AP Photo/The White House, Pete Souza, File)

I direttori del Consiglio economico, del Consiglio di politica interna e dell’Ufficio per la gestione e il bilancio sono i principali riferimenti per le decisioni sugli stanziamenti di fondi e sulle priorità amministrative: molte delle scelte di bilancio nascono da loro iniziative o passano dal loro controllo.

Un’altra figura centrale, con cui tutti prima o poi devono confrontarsi, è il consigliere legale: è a capo di un ufficio che può contare anche una cinquantina fra avvocati e studenti di legge, che ogni anno fanno richiesta dalle migliori università americane per uno stage. Non è l’avvocato personale del presidente anche se spesso il candidato eletto sceglie un professionista a cui è legato da molto tempo: in tempi di ordinaria amministrazione le sue funzioni vanno dall’analisi dei candidati per le nomine giudiziarie al controllo degli aspetti legali delle proposte dell’esecutivo. Consiglia il presidente sui limiti dei propri poteri e istruisce lo staff sulle regole etiche e sul rispetto delle procedure. Ma i tempi di ordinaria amministrazione sono rari, come disse Peter Wallison, consigliere legale dell’amministrazione Reagan: «Puoi stare sicuro che arriverà qualche grosso scandalo: funziona così, succede sempre. Quando accetti quel posto, sai che ti aspetta qualche temporale. Ma non capisci che invece probabilmente dovrai fare i conti con una grande, immensa, memorabile tempesta di neve».

La gran parte dei dipendenti lavora nell’Eisenhower Executive Office Building, che si trova accanto alla Casa Bianca. In questo palazzo ottocentesco ci sono anche gli uffici dello staff del vicepresidente, mentre quello della first lady ha sede nell’ala est della Casa Bianca.

L’attuale first lady Jill Biden nel Giardino delle Rose della Casa Bianca (AP Photo/Evan Vucci, File)

Tra i dipendenti della Casa Bianca ci sono molte figure importanti non politiche: una tra le più note al pubblico è quella del portavoce, che dirige le conferenze stampa, tiene briefing piuttosto frequenti e ha relazioni costanti con i media. Sarah Huckabee Sanders, una dei vari portavoce succedutisi durante la presidenza Trump e forse fra le più decise nel difendere teorie improbabili e complottiste dell’allora presidente, è poi diventata governatrice dell’Arkansas. La sala stampa della Casa Bianca, che ha solo 49 posti gestiti dall’Associazione dei corrispondenti (decide ogni volta chi fra i 200 giornalisti che si occupano giornalmente del presidente può avervi accesso), è intitolata a James Brady, portavoce di Ronald Reagan rimasto paralizzato dopo essere stato ferito nell’attentato del 1981 contro l’allora presidente.

Durante l’amministrazione Obama fu inoltre accordato un accesso più ampio e costante alle attività della Casa Bianca anche al fotografo ufficiale, Pete Souza, che contribuì a creare l’immagine pubblica del presidente.

Il segretario dello staff (che in realtà è quasi sempre una segretaria) è stato uno dei primi ruoli introdotti alla Casa Bianca, e rimane tutt’oggi uno dei più importanti. Gestisce la redazione e la distribuzione di tutti i documenti che circolano nella Casa Bianca e arrivano al presidente, tra cui memo, materiale informativo, liste per potenziali incarichi, dossier dell’intelligence, corrispondenza e bozze di discorsi.

Il direttore dell’Ufficio militare organizza invece i trasporti e si occupa del servizio medico e della ristorazione della Casa Bianca. Ricadono sotto la sua giurisdizione anche gli elicotteri usati per i trasferimenti del presidente e la gestione dell’Air Force One, l’aereo presidenziale.

Il presidente Barack Obama e parte del suo staff salgono su uno degli elicotteri presidenziali nel 2016 (AP Photo/Susan Walsh)

Il maestro di cerimonie della Casa Bianca gestisce un personale di circa 90 persone, in cui sono compresi fioristi, pasticcieri e macellai, e si occupa di organizzare eventi con la famiglia del presidente: era uno dei pochi ruoli che non cambiava al mutare delle amministrazioni, ma Trump e Biden non hanno seguito questa consuetudine.

Ci sono incarichi che sono eredità del passato, anche se svolgono ancora qualche funzione, come il calligrafo ufficiale della Casa Bianca, e altri che ogni presidente designa secondo le proprie esigenze: molti hanno avuto un body man o body woman (“uomo o donna ombra”), che li seguiva dappertutto e che non aveva incarichi precisi, se non quelli che il presidente affidava loro di volta in volta. Blake Gottesman aiutava George W. Bush con la gestione del cane e a organizzare le code per gli autografi, Reggie Love fra le altre cose giocava anche a basket con Obama: per il suo cinquantesimo compleanno gli organizzò una partita con alcuni grandi giocatori come LeBron James e Magic Johnson, campioni della NBA, la lega professionistica americana.

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