Ci sono più refusi di una volta nella ricereca scientifica

Perché accade e perché potrebbe essere anche una cosa positiva

Una pagina del libro
Un refuso a pagina 20 – «speceies» – sulla prima edizione del 1859 del libro di Charles Darwin L’origine della specie, conservata nella biblioteca di Leeds, la più antica nel Regno Unito (Ian Forsyth/Getty Images)

Una coppia di insegnanti di statistica australiani, Adrian Barnett e Nicole White, ha pubblicato sul blog della London School of Economics (LSE) un articolo che segnala un aumento significativo di errori di ortografia nelle pubblicazioni scientifiche negli ultimi cinquant’anni. Secondo la loro analisi, refusi comuni come reserach (anziché research, “ricerca”) o risk ration (anziché risk ratio, “rischio relativo”) sono diventati più frequenti rispetto a una volta.

Barnett e White insegnano alla Queensland University of Technology, in Australia. Lui è stato presidente della Statistical Society of Australia, il più importante istituto di statistica del paese, e lei si è occupata a lungo di analisi statistica in ambito medico e sanitario. I refusi del tipo da loro ricercato sono certamente meno gravi rispetto ad altri errori e problemi nella ricerca scientifica, come per esempio i casi di plagio o quelli di sviste clamorose nei processi di revisione. Allo stesso tempo sono piuttosto facili da individuare in milioni di documenti, e potrebbero essere il segno di tendenze più ampie e complesse.

Per la loro analisi Barnett e White hanno utilizzato PubMed, uno dei più grandi e conosciuti database di articoli scientifici. Hanno cercato in oltre 32 milioni di titoli e abstract di articoli pubblicati tra il 1970 e il 2023 quindici errori di ortografia considerati comuni sulla base della loro esperienza di statistici. Oltre a reserach e risk ration hanno cercato occorrenze di confident interval (anziché confidence interval, “intervallo di confidenza”), odd ratio (anziché odds ratio, “rapporto di probabilità”), kaplan meir (anziché kaplan meier, una funzione di analisi statistica) e altri refusi.

Undici refusi tra i quindici cercati dall’autore e dell’autrice dell’analisi sono aumentati nel tempo, e nella maggior parte dei casi di molto. In generale da 0,1 refusi ogni 10mila abstract nel 1970 si è passati a 8,7 nel 2023. La quantità di refusi nel complesso è relativamente bassa, hanno scritto Barnett e White, aggiungendo però che l’analisi è limitata soltanto ad alcuni errori e che la stessa tendenza è probabilmente presente anche per altri refusi non presi in considerazione.

Anche se alcuni studi suggeriscono che possa condizionare il livello di affidabilità percepita nelle pubblicazioni online in ambito medico, la presenza di uno o più errori di ortografia non è necessariamente indicativa della qualità dell’articolo. È tuttavia significativo il fatto che alcuni dei refusi cercati da Barnett e White siano facilmente individuabili ed eliminabili con i normali strumenti di correzione ortografica integrati nei più comuni editor di testo.

Altri refusi, quelli formati da parole sbagliate ma esistenti, come per esempio pubic health (anziché public health, “sanità pubblica”), sfuggono invece ai correttori automatici. Per individuarli serve quindi una lettura attenta: un passaggio necessario per articoli la cui pubblicazione richiede di solito l’approvazione di più persone, non soltanto di chi li ha scritti.

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Barnett e White non hanno dato un’interpretazione univoca dei risultati della loro analisi, ma hanno proposto qualche chiave di lettura. Una delle loro ipotesi è che l’aumento dei refusi abbia principalmente a che fare con la tendenza a pubblicare molti articoli nel minor tempo possibile per avere maggiori probabilità di successo in ambito accademico. È un problema noto della ricerca scientifica, discusso da anni e spesso descritto sinteticamente dall’aforisma publish or perish, “pubblica o muori”. «Non penso che oggi sarei considerato abbastanza produttivo», disse nel 2013 a proposito di questa evoluzione della cultura accademica il fisico inglese Peter Higgs, vincitore del premio Nobel per i suoi studi degli anni Sessanta sulle particelle subatomiche.

La pressione a pubblicare di più, secondo Barnett e White, potrebbe essere all’origine dell’aumento della quantità di refusi nella misura in cui può indurre autori e autrici degli articoli scientifici a essere più sbrigativi e meno attenti nella compilazione. Per la stessa ragione le persone responsabili della revisione degli articoli potrebbero essere meno rigorose nei controlli rispetto a un tempo. Parti del normale processo di pubblicazione, tra cui la lettura attenta della bozza da parte di revisori incaricati, potrebbero essere percepite in generale come troppo lunghe e quindi incompatibili con gli attuali ritmi di pubblicazione.

Secondo il ricercatore statunitense Adam J. Case, insegnante di psicologia alla Texas A&M University a College Station, le responsabilità maggiori non sono degli autori e delle autrici degli articoli ma piuttosto degli editori delle riviste che li pubblicano, e che in molti casi ricevono fondi pubblici. «Paghiamo letteralmente migliaia di dollari agli editori per pubblicare articoli. Gli errori di ortografia non sono colpa nostra, sono colpa loro. Forse dovrebbero attingere un po’ ai loro margini di profitto e assumere buoni correttori di bozze», ha scritto Case commentando l’analisi, condivisa dal blog Retraction Watch, che si occupa di ritrattazioni di articoli scientifici.

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Una spiegazione alternativa ipotizzata da Barnett e White è che l’aumento dei refusi sia correlato a un’estensione della platea di ricercatori e ricercatrici di paesi non anglofoni. Secondo loro questa eventualità avrebbe peraltro ripercussioni positive per tutto il mondo accademico, perché renderebbe più eterogeneo e attrezzato l’insieme di autori e autrici di articoli scientifici.

Non è chiaro infine quale possa essere il ruolo degli strumenti di intelligenza artificiale nella possibile limitazione o, al contrario, proliferazione degli errori, sia allo stato attuale che in prospettiva. Utilizzarli potrebbe da un lato contribuire a migliorare la scrittura delle persone non anglofone, riducendo i loro errori di ortografia. Dall’altro lato, secondo Barnett e White, è possibile che altri strumenti di intelligenza artificiale assecondino le tendenze attuali ad accelerare i processi di scrittura, aumentando se non il rischio di refusi quello di produrre testi vaghi e non originali.