“Terrifier 3” e il fortunato periodo dell’horror
Nonostante i tentativi di "elevare" il genere, il cinema non è mai stato così pieno di tradizionali storie e saghe splatter da non dormirci la notte
Giovedì nei cinema italiani è uscito il terzo capitolo della saga horror Terrifier e ha già fatto ottimi incassi. Di Terrifier 3 tra gli appassionati del genere si parlava da qualche settimana, perché in Francia è stato vietato ai minori di 18 anni (cosa che non succedeva dal 2006) e perché quando è uscito negli Stati Uniti, l’11 ottobre, è diventato il film più visto del weekend soprattutto grazie al passaparola e al grande clamore attorno alle sue scene più splatter e nauseanti.
Terrifier 3 è un film del sottogenere slasher, cioè uno di quegli horror in cui un assassino seriale cerca di uccidere gli altri personaggi. È un susseguirsi di lunghe scene di violenza e sangue, perché Art the Clown, il serial killer mascherato della saga, uccide le sue vittime in modo molto cruento, riprendendo caratteristiche ed estetica dei vecchi b-movie, film a basso budget e pieni di violenza. Come la maggior parte dei film horror di questo tipo è pensato per un preciso tipo di pubblico, che negli ultimi anni è diventato più numeroso, visto che Terrifier 3 è costato appena 2 milioni di dollari e ne ha già incassati oltre 67.
Non è una cosa insolita. In generale i film horror – più o meno dozzinali, più o meno indipendenti – sono quelli che più facilmente permettono di ottenere grandi guadagni con piccoli investimenti, grazie alle reazioni forti che riescono a suscitare in una fascia di spettatori che è interessata per motivi diversi. Per alcuni, la qualità artistica non è un fattore importante nel gradimento di un horror, o comunque molto secondario rispetto alla paura o alla repulsione che riesce a suscitare. Per altri, l’eventuale fattura scadente del film può essere addirittura un valore aggiunto, perché da sempre l’horror è stato anche un genere di film brutti, scalcinati, ma comunque di culto perché estremi o molto inventivi.
Un esempio dell’anno scorso di commedia horror molto trash che è diventata un piccolo caso è Cocainorso, un film (vagamente ispirato a una storia vera) che ipotizza cosa succederebbe se un orso ingerisse diversi chili di cocaina. Il suo successo ha portato poi all’uscita di Cocaine Shark e Meth Gator, che riprendono lo stesso espediente narrativo.
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Casi di successo come quelli di Terrifier 3 e Cocainorso (e altri tentativi di proporre sanguinosi b-movie come è stato Immaculate – La prescelta, il film prodotto e recitato da Sydney Sweeney che è uscito quest’anno senza particolari entusiasmi), si spiegano con un momento di grande fortuna dell’horror in generale. Questo genere si è confermato quello che più di tutti riesce a portare le persone al cinema, soprattutto in anni di ripresa dopo le chiusure della pandemia e di massima diffusione delle piattaforme di streaming, quando anche i grandi colossal hanno mostrato di fare fatica. L’esperienza di partecipazione e agitazione che gli horror puntano a suscitare continua infatti a essere valorizzata e amplificata dalla visione collettiva, molto più che da quella a casa.
I grandi successi sono comunque piuttosto difficili da ottenere e prevedere: questa primavera per esempio sono usciti film come Imaginary (su una bambina e il suo orsacchiotto maledetto) e Abigail (su una bambina che viene rapita per il riscatto ma si rivela essere un piccolo mostro), che hanno fatto incassi inferiori alle aspettative, mentre in autunno ci sono stati diversi successi inaspettati. Oltre a Terrifier 3, è uscito Smile 2, che prosegue la storia di un’entità malefica che si manifesta facendo sorridere in modo inquietante le persone che possiede. Ha fatto 111 milioni di dollari di incassi (era costato 28 milioni), e ci si aspetta che possa addirittura superare il primo film: una cosa che succede raramente ai sequel.
Un’altra uscita di successo di questo autunno è stato Longlegs, un horror più ambizioso che ha superato i 110 milioni di dollari diventando il film di produzione indipendente più redditizio del 2024 e ottenendo un buon riscontro anche dalla critica.
Per sfruttare il potenziale del largo pubblico di appassionati che va a vedere gli horror al cinema, insomma, le case di produzione e distribuzione specializzate hanno cominciato a puntare sulla quantità, investendo in tanti film da piccoli budget per aumentare le probabilità che almeno uno diventi un caso in grado di ripagare tutti gli altri.
Negli ultimi anni questo ha portato a un grosso aumento del numero di nuove uscite di film horror. L’Hollywood Reporter ha parlato di “horror fatigue”, cioè di eccessiva quantità di film horror che provoca stanchezza, e ha fatto l’esempio di come siano cambiate le cose tra l’uscita di Smile nel 2022 e quella del sequel qualche settimana fa. Smile 2, scrive, è arrivato in «un panorama molto diverso, dove il mercato è sempre più saturo e fa suonare i campanelli d’allarme sia delle grandi case di produzione che di quelle indipendenti». Il 2022, forse non a caso, fu anche l’anno in cui dopo 11 anni riprese la saga di Scream, una delle più celebri del genere slasher e del genere horror in generale, di cui è uscito un altro film nel 2023 e ne è previsto un altro nel 2027.
Solo nel 2024 i film horror di distribuzione internazionale sono stati, secondo Vulture, 28: «di gran lunga il numero più grande mai raggiunto a questo punto dell’anno». Oltre una decina è già stata annunciata per il 2025: tra questi ci sono per esempio il sequel di M3GAN (uscito nel 2022 con buoni incassi) e film originali come Companion, prodotto dalla stessa casa di produzione che nel 2022 ebbe un buon riscontro con Barbarian. E uscirà anche l’undicesimo capitolo della saga di Saw, una delle più longeve dell’horror contemporaneo, che iniziò vent’anni fa ed è considerata da molti quella che inaugurò il filone della “pornografia della tortura” in cui rientra pienamente Terrifier.
Marc Weinstock, il presidente del dipartimento marketing di Paramount, che oltre a Smile 2 quest’anno ha fatto uscire anche A Quiet Place: Giorno 1, il prequel del film horror A Quiet Place del 2018, ha detto a Vulture che «i film horror stanno passando un momento difficile. Ne esce uno ogni settimana. C’è così tanto horror là fuori che il pubblico è sazio».
Il grande momento degli horror tradizionali è parallelo a quello di un altro sottogenere che è diventato di particolare successo negli ultimi dieci anni: quello dei cosiddetti “elevated horror”, cioè gli horror d’autore o horror sofisticati. Sono i film horror nei quali, almeno nelle intenzioni, la componente paurosa è bilanciata da quella artistica: in cui rientrano per esempio quelli di Ari Aster, come Hereditary o Midsommar, e The Substance di Coralie Fargeat, un body horror presentato a Cannes e uscito da poco in Italia. Il successo di questo sottogenere però parte dalle stesse premesse, e cioè dal fatto che negli anni gli spettatori disposti ad andare al cinema per vedere film horror sono rimasti una certezza per l’industria cinematografica. Gli elevated horror nacquero proprio perché alcuni registi interessati a fare cinema d’autore furono portati a mascherare i propri film da film dell’orrore per farseli finanziare più facilmente.
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Il cinema horror ebbe una crescita importante a partire dal 2007, col primo film del franchise Paranormal Activity. Nacquero nuove case di produzione specializzate (la Blumhouse per esempio) e per tutto lo scorso decennio gli horror furono l’unica categoria a incassare anche molti soldi senza bisogno di essere legati a un franchise, cioè senza essere adattamenti, prequel, sequel e via dicendo.
Anche nell’horror, però, si tende spesso ad andare in quella direzione e per buoni motivi. Jason Blum, capo della Blumhouse (la cui ultima uscita è il remake del film danese Speak No Evil) ha spiegato a Vulture che il paradosso è che nel settore c’è una grande ricerca di storie originali, ma «il pubblico non vuole storie originali. Vogliono film dell’orrore che conoscono» ed è molto difficile trascinarli a vedere film nuovi rispetto a prequel e sequel di altri film già apprezzati. Allo stesso tempo, spiega, ogni franchise di successo inizia da una storia originale: «noi non abbiamo fatto sequel quest’anno, solo storie originali, e penso che questo ci abbia penalizzato».