I dipendenti pubblici potranno chiedere la “settimana lavorativa corta”
Il rinnovo del contratto nazionale prevede la possibilità di lavorare quattro giorni invece che cinque, tra le altre cose
È stato raggiunto un accordo per il rinnovo del contratto collettivo nazionale dei dipendenti della pubblica amministrazione, tra l’ARAN, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, e alcuni sindacati dei lavoratori pubblici (esclusi però due importanti che non lo hanno firmato, cioè CGIL e UIL). Il rinnovo riguarderà solo gli enti centrali, come i ministeri, non quelli locali, come i comuni: prevede aumenti di stipendio da 121 a 194 euro lordi al mese, a seconda del livello, alcune novità sugli avanzamenti di carriera, ma soprattutto modalità più flessibili e innovative di organizzazione del lavoro, in un settore dove di solito prevale un approccio più rigido e tradizionale.
In particolare è stata inserita la possibilità per i dipendenti pubblici di chiedere la cosiddetta “settimana lavorativa corta” di quattro giorni, a parità di stipendio e di orario settimanale: è un modo di organizzare il lavoro che con diverse modalità è stato recentemente introdotto in sempre più aziende, e che sta dando soddisfazione ai dipendenti che ne beneficiano. Ma si sa ancora poco sugli impatti che avrebbe sui risultati aziendali e sull’economia, se venisse introdotto su larga scala.
Le condizioni stabilite dal nuovo accordo prevedono che i dipendenti pubblici dovranno contrattare la possibilità di ottenere la settimana corta con il proprio responsabile – dunque ufficio per ufficio – anche a seconda dei servizi che devono continuare a fornire. A livello settimanale l’orario di lavoro deve restare di 36 ore, che possono essere divise su quattro giorni invece che su cinque, con dunque 9 ore di lavoro al giorno più la pausa pranzo.
In un’intervista al Corriere il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo ha detto che la nuova modalità è anche un modo per rendere il lavoro pubblico più interessante per i lavoratori più giovani, visto che l’età media dei dipendenti pubblici è alta. Riprendendo lo slogan di una recente campagna di informazione ministeriale ha detto: «Dal posto fisso bisogna passare al posto figo, offrendo percorsi di assunzione più rapidi, più flessibilità lavorativa per un corretto equilibrio tra lavoro e vita privata, più formazione». Il rinnovo prevede anche un maggiore ricorso al lavoro da remoto e il pagamento dei buoni pasto anche quando non si lavora dall’ufficio.
Il rinnovo del contratto nazionale riguarda il triennio 2022-2024, e già tra poco dovranno partire le negoziazioni per il triennio che si apre dal 2025: come ogni contratto collettivo deve essere rinnovato ogni tre anni, anche se in Italia le negoziazioni tra aziende e sindacati vanno spesso per le lunghe ed è ormai la regola che la maggior parte dei dipendenti si ritrovi anche a lavorare con contratti scaduti da tempo.
Di settimana lavorativa corta in Italia si parla da tempo, ed è un tema che interessa spesso anche la discussione politica: in primavera sono state presentate dalle opposizioni tre proposte di legge per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di stipendio, ma al momento è molto improbabile che una di queste venga approvata, in mancanza di un accordo politico.
A prescindere da questo la settimana lavorativa corta è stata già sperimentata in diverse aziende italiane, dove in alcune è rimasto lo stesso orario settimanale e in altre si è ridotto. I risultati sembrano incoraggianti e positivi per i lavoratori interessati ma, sebbene siano ampiamente raccontati dai media, hanno ancora un valore circoscritto: le aziende in questione non sono rappresentative di tutta l’economia italiana, e gli economisti non sono sicuri di quali potrebbero essere gli effetti su produttività e occupazione in generale.
Secondo i sostenitori concentrare in meno giorni il lavoro garantisce generalmente un aumento della produttività, anche se le ore nel complesso rimangono le stesse: lavorare meno giorni potrebbe ridurre lo stress, e dunque migliorare generalmente i risultati. Nel lungo termine un aumento della produttività dovrebbe far aumentare a sua volta l’efficienza dei processi aziendali: quindi la settimana corta converrebbe anche ai datori di lavoro. Al momento non ci sono abbastanza evidenze su questo, quello che si sa con certezza è che la settimana corta ha conseguenze positive sulla qualità della vita dei dipendenti, che generalmente sono soddisfatti dal migliore bilanciamento tra vita privata e lavorativa.