Israele non vuole far tornare i palestinesi nel nord della Striscia di Gaza
Sta sistematicamente distruggendo gli edifici civili e impedendo il ritorno delle persone evacuate
Questa settimana un importante funzionario dell’esercito israeliano ha ammesso per la prima volta che Israele non intende far ritornare i civili palestinesi nel nord della Striscia di Gaza, dove da un mese è in corso una violenta operazione militare. Questa dichiarazione conferma i sospetti che Israele stia rimuovendo forzatamente tutti i civili dalla parte più settentrionale della Striscia, e che intenda prendere il pieno controllo militare del territorio o perfino annetterlo, come hanno sostenuto alcune fonti israeliane citate dal giornale Haaretz.
L’esercito israeliano ha cominciato un massiccio attacco nel nord della Striscia di Gaza quasi un mese fa, sostenendo che nuove operazioni fossero necessarie perché nell’area Hamas aveva ricostituito parte delle proprie forze militari. L’attacco sta interessando tutta la parte a nord della città di Gaza (che non è coinvolta), e soprattutto il campo profughi di Jabalia e le vicine località di Beit Hanoun e Beit Lahia.
Quest’ultima operazione militare israeliana è stata durissima, e ha colpito un territorio già devastato da oltre un anno di guerra. L’esercito israeliano, tra le altre cose, ha interrotto completamente tutte le consegne di cibo e di aiuti umanitari nell’area, e ha messo sotto assedio gli ultimi tre ospedali ancora attivi, il Kamal Adwan, l’ospedale di al Awda e l’ospedale indonesiano. Alcuni medici sentiti da Associated Press hanno raccontato che gli attacchi di queste ultime settimane sono stati i peggiori dall’inizio della guerra.
All’inizio dell’operazione Israele aveva ordinato a tutta la popolazione civile di abbandonare l’area e di spostarsi a sud: secondo stime dell’ONU, fino a un mese fa nell’area si trovavano circa 400 mila persone. Ordini di questo tipo sono abbastanza frequenti: quando l’esercito israeliano attacca una certa parte della Striscia, ordina ai civili di spostarsi altrove. A volte fornisce dei piani di evacuazione in zone che definisce “sicure”, anche se in più di un’occasione Israele ha finito poi per bombardare quelle stesse zone, provocando stragi di civili.
Questa volta, però, l’evacuazione non sembra essere temporanea, com’è avvenuto in tutti i casi precedenti.
Martedì il brigadier generale israeliano Itzik Cohen, parlando con i giornalisti, ha detto che «non c’è intenzione di consentire ai residenti del nord della Striscia di Gaza di tornare alle proprie case». Cohen ha detto inoltre che, mentre nel sud della Striscia gli aiuti umanitari potranno entrare «regolarmente», nel nord rimangono completamente bloccati, anche perché «non è rimasto più nessun civile».
In realtà non è chiaro quanti dei 400 mila civili stimati nella regione siano davvero fuggiti: moltissime persone sono certamente scappate, ma è probabile che un buon numero sia rimasto. L’esercito sostiene che soltanto poche migliaia di persone (tra mille e tremila a Beit Lahia e un migliaio a Jabalia) rimangano ancora nei centri principali della regione.
Soprattutto nel nord della Striscia di Gaza, sembra che Israele stia sistematicamente distruggendo gli edifici e le infrastrutture civili per rendere impossibile ai palestinesi il ritorno nell’area.
Negli scorsi giorni alcuni giornalisti di Haaretz e di altri media locali sono potuti entrare nel nord della Striscia accompagnati dall’esercito israeliano, e hanno raccontato che l’esercito sta portando avanti in tutta la zona da Jabalia al confine nord un’attività di «distruzione di massa delle case e delle infrastrutture, alcune delle quali non sembrano essere coinvolte nei combattimenti. Questi sono cambiamenti praticamente irreversibili, che i palestinesi impiegheranno anni a sistemare, se mai ci riusciranno».
Sempre secondo i giornalisti di Haaretz, «ad al Attar e Beit Lahia non c’è più nemmeno una casa in cui le persone potrebbero tornare ad abitare. Sembra che l’area sia stata colpita da un disastro naturale. Non ci sono civili in mezzo alle rovine e, nel tentativo di farli andare via, di notte l’esercito spara colpi di artiglieria». L’esercito inoltre impedisce a chi vorrebbe tornare di farlo, e in ultima istanza sta portando avanti «uno sgombero del nord della Striscia per prepararsi a tenerlo per molto tempo».
Itzik Cohen, il brigadier generale che martedì ha parlato ai giornalisti, ha detto anche che Israele vuole «separare il nord della Striscia dalla città di Gaza», creando una nuova area operativa, e ha fatto capire che l’esercito intende prenderne il controllo.
Questa sembra, di fatto, la messa in atto precisa del cosiddetto “piano Eiland”, o “piano dei generali”, come viene chiamato in Israele. Questo piano prende il nome dal suo ideatore, il generale maggiore in pensione Giora Eiland, ed era stato presentato al governo israeliano lo scorso settembre da un gruppo di ufficiali dell’esercito in attività e in pensione.
Il piano prevede che l’esercito israeliano prenda il controllo del nord della Striscia di Gaza e impedisca l’accesso degli aiuti finché tutta la popolazione civile non sarà stata costretta ad andarsene. A quel punto, sempre secondo il piano, Israele dovrebbe occupare in maniera temporanea il nord, per eradicare completamente Hamas. Questo piano, come ammesso dallo stesso Eiland, prevede in maniera esplicita che Israele commetta dei crimini di guerra, come affamare la popolazione civile e costringerla a spostamenti forzati. Israele è comunque già sotto indagine per genocidio presso la Corte internazionale di giustizia e alcuni suoi ministri sono indagati per crimini di guerra dalla Corte penale internazionale.
Il governo israeliano ha sostenuto in più di un’occasione che non sta mettendo in pratica il “piano dei generali”.