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  • Martedì 5 novembre 2024

La fuga di notizie che sta mettendo in imbarazzo Netanyahu

Sembra che una persona vicina al primo ministro israeliano abbia passato informazioni d'intelligence manipolate ad alcuni giornali per rafforzare la sua immagine pubblica

Foto del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu all'Assemblea generale delle Nazioni Unite ((AP Photo/Richard Drew)
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu all'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York a settembre (AP Photo/Richard Drew)
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Cinque persone sono state arrestate in Israele con l’accusa di avere passato alla stampa straniera senza autorizzazione alcune notizie custodite in una banca dati dell’intelligence militare, e di averlo fatto per avvantaggiare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Del caso si sta parlando moltissimo in Israele.

Le informazioni su questo caso sono ancora poche e frammentarie; peraltro derivano soltanto da alcune carte giudiziarie diffuse venerdì grazie a una sentenza di un tribunale israeliano, che ha desecretato il procedimento.

Stando a quello che sappiamo, le notizie passate alla stampa erano state ricavate da alcuni documenti di Hamas di cui i servizi segreti israeliani erano entrati in possesso durante l’invasione della Striscia di Gaza. Le notizie sono state pubblicate all’inizio di settembre su due testate europee, il Jewish Chronicle di Londra e la Bild tedesca, secondo l’accusa con l’obiettivo di rafforzare la popolarità di Netanyahu. Gli articoli davano l’impressione che alcune decisioni di Netanyahu fossero fondate su informazioni d’intelligence importanti, proprio mentre il primo ministro veniva contestato con un’intensità senza precedenti da un grosso pezzo dell’opinione pubblica israeliana, che gli rimproverava di non fare abbastanza per salvare gli ostaggi rapiti da Hamas durante l’attentato terroristico del 7 ottobre 2023.

Uno degli investigatori ha detto ieri alla rete televisiva Channel 12 che queste fughe di notizie hanno messo a rischio le vite dei soldati e anche quella degli ostaggi israeliani. Secondo questa fonte, il fatto stesso che queste notizie siano trapelate alla stampa ha permesso ad Hamas di capire come avessero fatto i servizi segreti israeliani a ottenerle. Inoltre, secondo il tribunale israeliano che ha ordinato gli arresti delle persone coinvolte, quelle informazioni d’intelligence non sono state presentate al pubblico nella loro forma originale, ma sono state manipolate e arricchite con parti inventate per renderle ancora più favorevoli a Netanyahu. 

Tra i cinque arrestati c’è Eli Feldstein, uno dei portavoce dell’ufficio del primo ministro israeliano. Feldstein in passato ha lavorato anche come collaboratore del ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, uno dei principali leader dell’estrema destra religiosa e nazionalista. Gli altri quattro arrestati sono soldati che appartenevano, secondo la stampa israeliana, a un’unità dell’esercito che avrebbe il compito di prevenire le fughe di notizie. All’inizio le indagini erano state affidate a loro: poi sono state trasferite allo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno di Israele. 

Tra il ministro estremista Ben Gvir e il direttore dello Shin Bet, Ronen Bar, è in corso da mesi uno scontro duro e pubblico. Bar sostiene che le dichiarazioni e le posizioni estremiste di Ben Gvir sui prigionieri palestinesi e sui coloni stiano creando problemi enormi per Israele dal punto di vista legale.

In che modo Netanyahu sarebbe stato aiutato da queste notizie?
Il 4 settembre il primo ministro israeliano aveva spiegato in una conferenza stampa che tenere le truppe israeliane a presidiare il corridoio Philadelphi, cioè la striscia sottile di territorio di confine che separa l’Egitto dalla Striscia, era necessario per impedire a Hamas di trasferire gli ostaggi nel deserto egiziano del Sinai e da lì fino all’Iran oppure allo Yemen, dove sarebbero stati praticamente impossibili da recuperare.

In quei giorni la presenza fissa delle truppe israeliane in quell’area era piuttosto controversa: Hamas pose come requisito per proseguire i negoziati per liberare gli ostaggi il fatto che l’esercito israeliano lasciasse il corridoio Philadelphi.

Il giorno dopo la conferenza stampa di Netanyahu il Jewish Chronicle, il più antico quotidiano della comunità ebraica britannica, pubblicò un articolo in esclusiva che sosteneva, grazie a presunte fonti d’intelligence israeliane, che il leader di Hamas, Yahya Sinwar, volesse passare di nascosto attraverso il corridoio Philadelphi per andare di nascosto in Iran assieme ad altri comandanti del gruppo palestinese e agli ostaggi sopravvissuti. 

L’esclusiva fu rilanciata da testate e voci influenti della destra israeliana. La moglie di Netanyahu, Sarah, la citò durante un incontro con le famiglie degli ostaggi per dire che “non c’è alternativa per quanto riguarda il corridoio Philadelphi”: in sostanza che l’esercito israeliano dovesse continuare a presidiarlo, per scongiurare una eventuale fuga all’estero di Sinwar e degli ostaggi israeliani ancora in vita.

Secondo il Jewish Chronicle i servizi segreti israeliani erano venuti a conoscenza del piano di Sinwar grazie all’interrogatorio di un funzionario di Hamas di alto livello catturato e ad alcuni documenti trovati il 29 agosto, il giorno nel quale i soldati israeliani avevano rinvenuto in un tunnel i corpi di sei ostaggi assassinati. Conteneva anche questa frase: “Per Sinwar, il corridoio Philadelphi si è rivelato l’unica opzione disponibile per realizzare il suo piano”.

Due giorni dopo fonti militari e dei servizi segreti smentirono questa notizia ai giornali israeliani. Secondo le informazioni in loro possesso non esisteva alcun piano di Sinwar per scappare in Iran, e nessuno sapeva spiegarsi la provenienza delle rivelazioni contenute nell’articolo. Anche il portavoce delle forze armate israeliane, Daniel Hagari, disse che erano “senza fondamento”. Davanti alle smentite il Jewish Chronicle cancellò l’articolo dal suo sito e interruppe la collaborazione con il giornalista freelance che lo aveva firmato. Nel frattempo però i negoziati con Hamas per un cessate il fuoco finirono in stallo.

Il 6 settembre, il giorno dopo la pubblicazione dell’articolo sul Jewish Chronicle, il tabloid tedesco Bild pubblicò un altro articolo in esclusiva basato su presunti documenti recuperati da un computer usato da Yahya Sinwar.

Il documento illustrava, secondo la Bild, la strategia del capo di Hamas nei negoziati per la liberazione degli ostaggi, e sosteneva che raggiungere un cessate il fuoco non fosse una priorità di Hamas e che le trattative dovessero essere trascinate in lungo, anche perché avevano un effetto divisivo sull’opinione pubblica israeliana e internazionale. Il documento lasciava intendere che le proteste nelle piazze israeliane a favore della liberazione degli ostaggi fossero esattamente il risultato che Hamas voleva ottenere. È una posizione vicina a quella di Netanyahu e della coalizione di governo, secondo cui le manifestazioni di piazza degli ultimi mesi danneggiano la compattezza e la coesione del paese.

Fonti militari dissero al quotidiano Yedioth Ahronoth che un documento simile era stato davvero trovato a Gaza, ma che non rappresentava la strategia ufficiale del gruppo per affrontare i negoziati, e non era nemmeno associato a Sinwar; era soltanto una bozza messa insieme da un funzionario minore di Hamas. Aggiunsero che la parte sulla necessità di trascinare a lungo i negoziati non c’era nel documento originale.

I due articoli con le presunte informazioni esclusive pubblicati nel giro di ventiquattr’ore sembrarono strani a molti. Le indagini per capire chi fossero i responsabili delle fughe di notizie iniziarono subito, ma il giudice che sta seguendo la storia ha autorizzato la pubblicazione del nome di uno dei cinque arrestati, Eli Feldstein, soltanto domenica sera. 

La vicinanza di Feldstein al primo ministro ha fatto sospettare ad alcuni commentatori israeliani che dietro la diffusione di queste notizie ci fosse un disegno preciso di Netanyahu. Al momento questo collegamento non è contenuto nelle carte del processo, e Netanyahu ha smentito di essere coinvolto in questa storia.