Anche per il tribunale di Catania l’Egitto non è un “paese sicuro”

Un altro giudice ha ignorato l'orientamento del governo sulla gestione dei richiedenti asilo

L'hotspot di Pozzallo, in provincia di Ragusa
(ANSA/FRANCESCO RUTA)
L'hotspot di Pozzallo, in provincia di Ragusa (ANSA/FRANCESCO RUTA)
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Lunedì il tribunale di Catania ha emesso una sentenza con cui non convalida il trattenimento di un migrante egiziano disposto il 2 novembre scorso dalla questura di Ragusa. La sentenza, firmata dal presidente della sezione specializzata nella Protezione internazionale Massimo Escher, riguarda un caso specifico ma ha una valenza politica più ampia: di fatto è la prima con cui un tribunale sceglie di non applicare il discusso decreto-legge con cui il 21 ottobre scorso il Consiglio dei ministri era intervenuto per cercare di rendere operativi i centri per i migranti costruiti in Albania.

La decisione del tribunale di Catania è soltanto l’ultima di un filone giuridico che prosegue ormai da mesi: in estrema sintesi, quando i tribunali italiani hanno dovuto decidere se convalidare o meno il trattenimento di un richiedente asilo la cui richiesta è stata esaminata con la cosiddetta “procedura accelerata”, cioè quelli che provengono da un paese cosiddetto “sicuro”, hanno sempre deciso di non convalidare il trattenimento.

Questo indirizzo è stato rafforzato da una sentenza del 4 ottobre della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il principale tribunale dell’Unione, che ha deciso che per essere considerato “sicuro” un paese deve esserlo per tutte le persone che ci vivono e in tutto il suo territorio. Per effetto della sentenza della Corte tutte le persone che provengono da un paese che l’Italia considera “sicuro” ma che non lo è secondo i criteri specificati dalla Corte non possono essere trattenute, né nei centri italiani né nei centri albanesi.

Il governo aveva provato a dare maggiore valore politico-istituzionale alla propria lista di paesi sicuri inserendola in un decreto-legge, che però per qualsiasi tribunale è una norma di rango inferiore rispetto a una sentenza della Corte di Giustizia. Già il 18 ottobre scorso un tribunale non aveva convalidato il trattenimento di 12 migranti provenienti da Egitto e Bangladesh, trasferiti dal governo italiano in Albania: proprio perché, sulla base della sentenza della Corte di Giustizia europea, non era possibile considerare quei due paesi come sicuri, dal momento che non era garantito il rispetto dei diritti fondamentali sulla totalità del loro territorio.

A quel punto il governo italiano, dopo aver criticato aspramente la decisione dei giudici romani, aveva approvato in tutta fretta il decreto-legge di cui sopra. Nella sentenza emessa oggi il tribunale di Catania ha deciso di ignorarlo, stabilendo che proprio in virtù della sentenza della Corte di Giustizia europea del 4 ottobre scorso spetta al giudice stabilire caso per caso se il paese da cui proviene la persona migrante oggetto del provvedimento sia sicuro oppure no. E siccome secondo il giudice di Catania l’interpretazione della sentenza della Corte di Giustizia europea è chiara e inequivocabile, l’Egitto può essere considerato un paese non sicuro e dunque il trattenimento del migrante egiziano (nel centro di Pozzallo, in provincia di Ragusa, la cui funzione è analoga a quelli albanesi) non può essere convalidata.

La sentenza del tribunale di Catania, ripercorrendo lo sviluppo delle normative europee di riferimento sul diritto di asilo, dice che il decreto del governo che ha qualificato l’Egitto come paese sicuro «non esime il giudice dall’obbligo della compatibilità di tale designazione con il diritto dell’Unione Europea, obbligo affermato in modo chiaro e senza riserve dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza del 4 ottobre 2024».

Nella sentenza il giudice Escher rivendica il dovere di stabilire se il paese da cui proviene la persona richiedente asilo sia sicuro, e di farlo sulla base degli strumenti che ha a disposizione a prescindere dall’elenco dei “paesi sicuri” del governo. Nel caso specifico, per stabilire se l’Egitto possa considerarsi un “paese sicuro” in tutto il suo territorio e per tutte le persone che ci abitano, Escher ha preso a riferimento un documento elaborato dallo stesso governo italiano: sono le “schede paese” del ministero degli Esteri, cioè descrizioni puntuali della situazione dello stato di diritto nella lista dei “paesi sicuri” del governo.

Per il giudice, l’Egitto non può ritenersi tale sotto vari aspetti: «in ordine al diritto alla vita», «in ordine alle restrizioni alla libertà personale e alla libertà di parola e di stampa», «in ordine al diritto a un equo processo» e «alla libertà di religione», e poi per quel che riguarda «donne e minori» e i diritti LGBTQ+, nonché «in ordine all’esistenza di tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante» e «in ordine alla protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti».