Gli animali si riconoscono allo specchio?
Solo poche specie, incluso forse un pesce tropicale studiato da qualche anno, ma stabilirlo con certezza e capire cosa implichi è molto difficile
La capacità degli animali non umani di riconoscere la propria immagine riflessa allo specchio è oggetto di grande curiosità sia tra i proprietari di animali domestici, occasionalmente, sia nella ricerca scientifica. Da decenni gli etologi utilizzano gli specchi in esperimenti con diverse specie, per provare a capire quali siano dotate di questa capacità. Ed è generalmente condivisa, sebbene ancora discussa, l’idea che scimpanzé, elefanti, delfini e corvi siano tra i pochi animali non umani conosciuti ad averla.
A settembre un gruppo di etologi dell’Università di Osaka, in Giappone, ha pubblicato in uno studio i risultati di alcuni esperimenti con i pesci pulitori (Labroides dimidiatus), diffusi negli oceani Indiano e Pacifico. Sulla base degli esperimenti il gruppo ha concluso che questa specie non solo è in grado di riconoscersi allo specchio – ipotesi peraltro già sostenuta in un precedente studio – ma è dotata di una sofisticata forma di autocoscienza finora riscontrata soltanto negli esseri umani.
L’obiettivo dello studio era capire se i pesci pulitori, dopo essersi guardati allo specchio, fossero in grado di formare un’immagine mentale del loro corpo e prendere decisioni basate su quella rappresentazione mentale. Per scoprirlo il gruppo di ricerca ha selezionato 15 individui, sette dei quali avevano accesso a uno specchio nell’acquario (gli altri otto sono stati utilizzati come gruppo di controllo). Ha quindi osservato i loro comportamenti dopo aver mostrato nell’acquario a ciascun individuo una serie di fotografie di un pesce di un altro gruppo, ridimensionate in modo da farlo apparire in alcune foto il 10 per cento più grande e in altre il 10 per cento più piccolo rispetto all’individuo sottoposto all’esperimento.
Il gruppo di ricerca ha scoperto che i pesci che potevano osservarsi allo specchio, inserito in un punto dell’acquario, erano meno aggressivi verso i pesci più grandi o uguali a loro nelle foto, ed erano più ostili verso i pesci più piccoli. Inoltre, quando i pesci osservati nelle foto erano più grandi di loro, gli individui passavano più volte davanti allo specchio.
Gli autori dello studio hanno descritto i comportamenti dei pesci pulitori come la prima volta che un animale non umano dimostra in un esperimento di avere una rappresentazione mentale del proprio corpo, un’intenzione, un obiettivo e altri stati mentali ritenuti fondamentali per avere un’autocoscienza. Secondo l’interpretazione del gruppo di ricerca, è plausibile che i pesci abbiano controllato le dimensioni del proprio corpo guardandosi allo specchio per confrontarle con quelle degli altri, e sulla base di questo confronto decidere se attaccarli o no.
«I risultati secondo cui i pesci sono in grado di usare lo specchio come strumento possono aiutare a chiarire le somiglianze tra l’autocoscienza umana e quella degli animali non umani, e fornire indizi importanti per chiarire come si è evoluta l’autocoscienza», ha detto in un comunicato stampa diffuso dall’università il ricercatore Taiga Kobayashi, uno degli autori dello studio.
Conclusioni come quelle tratte dal gruppo di ricerca sono generalmente commentate con molta cautela, tra gli studiosi impegnati in questo particolare ambito dell’etologia. Prima di tutto perché non è detto che riconoscersi allo specchio sia di per sé una prova di autocoscienza: una parola problematica nelle scienze sociali, ma che implica generalmente forme di intelligenza piuttosto complesse. E non è nemmeno una prova di intelligenza, che nel regno animale ammette varie e molteplici declinazioni, non necessariamente subordinate rispetto alla capacità di riconoscersi di fronte a uno specchio.
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Inoltre capire se un animale non umano sia capace di riconoscersi allo specchio non è semplice: è necessario prima di tutto ideare esperimenti in grado di ridurre l’ambiguità dei risultati. Uno dei più conosciuti con gli scimpanzé, sviluppato nei primi anni Settanta dallo psicologo statunitense Gordon Gallup Jr., prevede di lasciare lo specchio a disposizione degli animali per un certo periodo di tempo, osservando e studiando le loro reazioni. Dopodiché sulla fronte o su un’altra parte del corpo dell’individuo viene disegnato un segno colorato. L’eventuale tentativo dello scimpanzé di rimuovere il segno dal suo corpo, guardandosi allo specchio, è generalmente interpretato come una prova della sua capacità di riconoscere la propria immagine riflessa.
Secondo uno studio di Gallup molto citato, gli scimpanzé mostrano di avere questa capacità, dopo una prolungata esposizione alle loro immagini riflesse. Se hanno familiarità con l’oggetto, indipendentemente dalla loro reazione all’esperimento del segno colorato, molti scimpanzé si avvicinano agli specchi con curiosità, li usano per pulirsi i denti o il naso, o per controllare altre parti del corpo. Mostrano insomma comportamenti diversi rispetto agli individui di altre specie che di fronte allo specchio reagiscono in modo aggressivo anche molto tempo dopo la prima volta che ne vedono uno.
Nel corso degli ultimi decenni individui di diverse altre specie animali sono stati sottoposti all’esperimento dello specchio, dalle formiche ai pappagalli cenerini, e a parte gli scimpanzé in pochi hanno dimostrato di essere capaci di riconoscere sé stessi. La maggior parte degli animali ha mostrato o comportamenti inconcludenti o altri che permettevano di escludere che avessero questa capacità: risultato che ha messo in discussione l’utilità stessa del test come misura di una capacità significativa negli animali non umani.
Per dire che un animale ha superato il test serve che ispezioni allo specchio il segno che ha sul corpo senza alcun addestramento o ricompensa precedenti, in modo del tutto spontaneo, ha spiegato al sito Live Science Frans de Waal, un primatologo della Emory University di Atlanta, Georgia. E ha aggiunto che la maggior parte degli esperimenti di questo tipo nella letteratura scientifica non rispetta questa condizione.
Tra le altre specie di scimmie che hanno superato il test ci sono gli oranghi e i bonobo, mentre i risultati con i gorilla sono stati meno chiari. Anche a molti individui di specie animali che in teoria si riconoscono allo specchio capita però di fallire nel test, specialmente nel caso di individui molto giovani o anziani. Alcuni studiosi hanno inoltre ipotizzato che la presenza degli sperimentatori possa aver inibito o comunque condizionato il comportamento dei gorilla e di altri primati sottoposti al test.
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L’elefante asiatico è un’altra specie solitamente considerata capace di riconoscersi allo specchio, sulla base dei risultati di uno studio dei primi anni Duemila condotto su tre femmine dello zoo del Bronx, a New York. Le elefantesse mostrarono diverse reazioni, vedendo la loro immagine riflessa allo specchio, ma soltanto una di loro superò il test.
Secondo gli autori dello studio, tra cui lo stesso de Waal, il test dello specchio potrebbe non essere adatto allo stesso modo per tutte le specie, perché presuppone che tutti gli animali siano interessati a qualcosa di insolito che osservano sul loro corpo. E non è sempre così: a differenza dei primati, che sono irriducibili “toelettatori”, gli elefanti sono animali enormi abituati molto di più a spargersi cose sul corpo che a cercare di scrollarsele di dosso.
Gli esperimenti con il test dello specchio indicano che anche i delfini sono capaci di riconoscersi allo specchio. È un oggetto di fronte al quale mostrano in generale molto interesse e comportamenti per alcuni aspetti simili a quelli dei primati (aprire la bocca, tirare fuori la lingua, eseguire particolari movimenti).
Un’altra specie che ha superato il test è la gazza, che nel 2008 fu la prima specie non compresa nei mammiferi a riuscirci. Quando gli sperimentatori applicavano adesivi colorati sulle piume delle gazze, osservandosi allo specchio le gazze cercavano di rimuovere l’adesivo: comportamento che non avevano quando invece gli adesivi erano trasparenti. Lo studio smentì un’ipotesi all’epoca abbastanza condivisa, secondo cui la capacità di riconoscersi allo specchio derivasse dalla neocorteccia, una parte del cervello presente soltanto nei mammiferi.
Non è chiaro se la capacità di superare il test dello specchio implichi una forma di autocoscienza, o viceversa, ha detto a Live Science Ellen O’Donoghue, psicologa cognitiva della Cardiff University. In diversi studi specie considerate peraltro molto intelligenti, tra cui i pappagalli cenerini, non hanno mostrato questa capacità. Superare il test potrebbe indicare la presenza di un aspetto dell’autocoscienza, ma non altri: «C’è una tendenza a considerare la consapevolezza di sé come tutto o niente. Probabilmente non è vero. Probabilmente è più uno spettro», ha concluso O’Donoghue.