Il disastroso “Giorno delle buone notizie” di un sito brasiliano
Più di vent'anni fa "iG" decise di pubblicare solo buone notizie per una giornata intera, ma andò malissimo: era l'11 settembre del 2001
di Rodolfo Toè
Nel 2001 un importante sito di notizie brasiliano, iG, provò ad accantonare le notizie negative per una giornata intera e riportare solamente quelle positive, per cercare di proporre un’immagine più positiva del Brasile e attirare nuovi lettori. L’esperimento faceva parte di una più ampia strategia di marketing che in pochi mesi aveva permesso a iG di diventare uno dei siti di notizie più popolari del paese, partendo da zero. Praticamente da subito, però, l’idea non si rivelò azzeccata. I giornalisti della redazione di iG dovettero abbandonare il piano poche ore dopo avere iniziato a metterlo in pratica. Quel giorno infatti era l’11 settembre del 2001.
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Per capire la storia di iG, e di quel piano, va fatto un passo indietro. Alla fine degli anni Novanta e all’inizio degli anni Duemila l’uso di internet stava crescendo molto tra la popolazione brasiliana, e anche i siti di notizie online cominciavano a diventare popolari. Nel 2000 il numero di persone che usavano internet passò da 6,7 a 10 milioni. Anche il numero di siti registrati aumentò di molto: erano 68mila nel 1998, crebbero a 149mila nel 1999 e 174mila nel 2000, secondo dati del governo.
All’epoca le persone si connettevano a internet utilizzando la linea telefonica, e il costo dipendeva dal tempo del collegamento. Accedere a internet era quindi piuttosto costoso, rispetto a oggi: in Brasile, però, oltre al costo dell’utilizzo della linea telefonica ogni utente doveva pagare anche un apposito servizio di abbonamento.
Nel gennaio del 2000 in Brasile venne lanciato iG — acronimo che all’inizio significava “Internet Gratis” (oggi il nome è cambiato in “Internet Group”) — che divenne rapidamente popolare basandosi su una strategia piuttosto semplice: iG era un sito di notizie e, al tempo stesso, un internet service provider. Era di proprietà di due compagnie telefoniche che non richiedevano ai propri utenti il pagamento del costo fisso per accedere al sito, e che guadagnavano solamente grazie al tempo che gli utenti passavano connessi a internet.
Molte persone scelsero iG come proprio internet provider, dal momento che era più economico, e così facendo iniziarono anche a leggere il sito di notizie, uno dei primi a essere completamente digitali nel paese. Questa strategia permise a iG di aumentare molto velocemente il volume del proprio traffico: partendo da zero, in pochi mesi diventò uno dei siti più letti del paese.
Il modello economico di iG si basava sul fare in modo che i lettori rimanessero connessi il maggior tempo possibile. In un momento in cui i motori di ricerca e i social network non esistevano, i visitatori arrivavano lì semplicemente digitando l’indirizzo della homepage. Era quindi necessario che fosse aggiornata il più spesso possibile. La sezione più popolare si chiamava (e si chiama ancora) Último Segundo (Ultimo Secondo) e pubblicava moltissime notizie brevi, al ritmo di una notizia al minuto: in un anno la redazione passò da 18 a 120 giornalisti.
C’era però anche un altro modo che i responsabili della sezione marketing di iG avevano trovato per aumentare il numero di visitatori: promuovere giornate tematiche. Per esempio, una giornata con cui iG si sarebbe impegnato a distribuire cibo a persone in difficoltà economiche; oppure una giornata «senza gerundio» — durante la quale nessun testo pubblicato sul sito avrebbe contenuto verbi coniugati con il modo gerundio.
È in questo contesto che i responsabili del marketing di iG ebbero l’idea di lanciare il «Giorno delle buone notizie»: per 24 ore, il sito di iG avrebbe pubblicato unicamente buone notizie, ignorando quelle negative.
In quegli anni il Brasile aveva grossi problemi di violenza e di criminalità. Nel 2002 raggiunse uno dei tassi di omicidio più alti al mondo. L’iniziativa del “Giorno delle buone notizie”, ha spiegato anni dopo Leandro Colon, che lavorava a Último Segundo, «era una strategia di promozione che voleva rispondere all’aumento di notizie negative» che arrivavano dal paese in quel periodo, e che erano «soprattutto legate a un senso di insicurezza collettiva».
La redazione non prese bene l’iniziativa. L’idea non piacque per niente a Leão Serva, che all’epoca era il caporedattore del sito, e che aveva lavorato per molti anni come corrispondente di guerra. Come riassunto dal podcast Radio Ambulante, la sua opinione era molto semplice: «good news is no news», le buone notizie non sono notizie.
Anche i giornalisti che lavoravano insieme a Serva si dissero contrari. Carina Martins, che lavorava come redattrice e rispondeva direttamente a Serva, ha raccontato a Radio Novelo che lei era contraria all’idea fin dall’inizio: «il giornalismo deve essere opposizione. Altrimenti è semplicemente pubblicità».
Di fronte alle insistenze e alla posizione irremovibile dei responsabili del marketing di iG, Serva — anche per cercare di convincere i propri colleghi — pose due condizioni: la prima era che nel “Giorno delle buone notizie” il sito avesse un pulsante che permettesse ai lettori di leggere anche le brutte notizie, se lo desideravano. La seconda era che ai giornalisti della redazione venisse lasciato un po’ di tempo — Serva chiese un mese — per mettere insieme abbastanza storie positive per riempire il sito per 24 ore: difficilmente un singolo giorno sarebbe stato sufficiente.
Le notizie scelte avrebbero riguardato per lo più statistiche incoraggianti per l’economia, innovazioni mediche, ma anche storie di beneficenza e donazioni da parte di aziende private.
«Una di queste storie riguardava un tizio di Taboão da Serra che aveva una grande collezione di VHS e aveva deciso di creare un cineclub in casa sua per i bambini del quartiere. Era una storia molto tenera», ha ricordato Martins, aggiungendo: «per quanto potessimo pensare che non era una buona idea fare il giorno delle buone notizie, non ci saremmo mai aspettati che potesse essere una trovata tanto disastrosa».
Dopo diverse settimane di lavoro preparatorio, la redazione di iG era pronta. La data scelta, come detto, era l’11 settembre del 2001.
Poco prima della mezzanotte e dell’inizio ufficiale del Giorno delle buone notizie, Serva ricevette una telefonata di Diego Toledo, il redattore che copriva il turno di notte di Último Segundo: c’era una notizia molto importante — ma brutta. Era stato ucciso Antonio da Costa Santos, il sindaco di Campinas, una città di 2 milioni di abitanti vicino a San Paolo. Da Costa Santos, noto soprattutto come Toninho, era un politico del Partito dei Lavoratori (PT) — lo stesso dell’attuale presidente Luiz Inácio Lula da Silva — che stava diventando molto popolare.
In condizioni normali, Serva e la redazione di Último Segundo avrebbero dedicato alla morte di Toninho il titolo principale sulla homepage del sito e diversi approfondimenti durante il giorno: le redazioni di tutti i principali giornali brasiliani stavano seguendo il caso e alcune si stavano preparando anche a dislocare temporaneamente parte della redazione a Campinas, per seguire meglio gli avvenimenti.
Colon ricorda di aver telefonato a Serva e di avergli chiesto se non fosse il caso di annullare il “Giorno delle buone notizie” per dedicarsi alla copertura dell’omicidio di Toninho. Serva decise che il “Giorno delle buone notizie” non sarebbe stato annullato, e disse di pubblicare la notizia nella sezione delle ‘Brutte notizie’, che era stata aggiunta alla homepage del sito in un punto un po’ nascosto: all’estrema destra della pagina.
La mattina seguente, i giornalisti di Último Segundo erano in redazione come sempre, anche se non avevano molto da fare. La maggior parte delle notizie da pubblicare era già stata preparata: il ritmo di lavoro, quindi, era più lento del solito.
Martins, che era la responsabile della redazione quella mattina, ha ricordato che aveva appena iniziato a lavorare e «ne aveva già piene le scatole»: «avevamo riportato la morte di Toninho come una nota a pié di pagina, e intanto scrivevamo di qualche tizio che stava distribuendo gelato gratis da qualche altra parte, sembrava uno scherzo». La maggior parte dei giornalisti presenti seguiva le notizie alla televisione, che era sempre accesa, senza venire meno alla consegna di occuparsi solo di buone notizie: «avevamo questo accordo tra di noi, e anche se per il resto del mondo quello era un giorno come un altro, noi lo avremmo mantenuto», ha spiegato Martins.
Qualche ora dopo, però, cambiò tutto. Poco prima delle dieci del mattino la televisione cominciò a trasmettere le immagini di un aereo che si schiantava contro una delle due torri del World Trade Center, a New York. Martins avvisò immediatamente Serva: nemmeno a quel punto, però, si decise di abbandonare il “Giorno delle buone notizie”. Serva inizialmente pensò che si trattasse di un incidente e che la notizia non fosse, tutto sommato, così importante: «pensai: ‘che sfortuna’», ha raccontato, spiegando che disse anche a Martins «di non chiamarmi più per avvisarmi di ogni nuova brutta notizia».
I lettori ma anche molti dipendenti di iG intanto avevano iniziato a lamentarsi del fatto che uno dei principali giornali del paese si stesse rifiutando di seguire in modo adeguato i principali eventi della giornata. Quando un secondo aereo, diciassette minuti più tardi, si schiantò contro la seconda torre del World Trade Center, fu chiaro che non si trattava di un semplice incidente, ma di un attentato.
A quel punto Martins decise da sola di abbandonare il “Giorno delle buone notizie”: cambiò la prima pagina di iG, e iniziò a scrivere di quello che stava succedendo a New York.
Serva, che poi si rese conto della dimensione dell’attacco, disse che quello di Corina Martins era stato «l’atto di insubordinazione più efficiente della storia del giornalismo». Serva e la redazione di Último Segundo pubblicarono un editoriale per scusarsi e per chiarire le decisioni della redazione: «nel testo ci scusavamo e spiegavamo che avevamo provato a pubblicare soltanto buone notizie per un giorno, ma che la storia non ce lo aveva permesso», ha ricordato Serva.
A quel punto il “Giorno delle buone notizie” terminò. A distanza di qualche decennio, l’episodio è rimasto piuttosto famoso in Brasile: ancora oggi, ha detto il giornalista brasiliano Vitor Hugo Brandalise, «i giornalisti che lavoravano a iG in quel momento sono rimasti in contatto e quando si ritrovano parlano del “Giorno delle buone notizie” e continuano a farsi la stessa domanda di allora: le buone notizie sono davvero notizie?».
Martins è rimasta convinta che se una notizia è positiva per tutti, e non dà fastidio a nessuno, di fatto non è davvero una notizia.
Serva, che negli anni è diventato anche professore di etica del giornalismo alla scuola superiore di Propaganda e Marketing di San Paolo, ha un’opinione un po’ più articolata e spesso ne discute con i propri studenti: non pensa più che le notizie buone non siano notizie e sostiene anzi che la tendenza del giornalismo sia quella di «massimizzare le brutte notizie»; che quindi questo possa produrre effetti negativi, perché può spingere le persone a credere che il mondo in cui vivono sia più pericoloso di quanto non lo sia in realtà. L’effetto finale, sostiene Serva, è che questo approccio spinga a votare per politici populisti come Donald Trump, Jair Bolsonaro in Brasile o Javier Milei: «le buone notizie sono sicuramente delle notizie, e bisogna dar loro maggiore spazio nei media», ha spiegato Serva. Nonostante questo, oggi non proverebbe più «a fare una cosa come il “Giorno delle buone notizie”».