84 risposte sulle elezioni americane

Tutte – ma veramente tutte – le cose che può essere utile sapere prima del 5 novembre

di Francesco Costa

Il pubblico di un comizio di Donald Trump in Wisconsin, il 30 ottobre 2024. (Chip Somodevilla/Getty Images)
Il pubblico di un comizio di Donald Trump in Wisconsin, il 30 ottobre 2024. (Chip Somodevilla/Getty Images)

Quello che segue è un lungo estratto dalla newsletter settimanale di Da Costa a Costa, l’ultima prima delle elezioni presidenziali statunitensi. Puoi iscriverti a Da Costa a Costa gratuitamente qui per riceverla ogni sabato. Qui c’è il canale YouTube, dove il 5 novembre dalle 22:30 la redazione del Post seguirà e racconterà in diretta lo scrutinio e il risultato elettorale.

La settimana scorsa su Instagram ho scritto: fatemi tutte le domande che volete sulle elezioni americane. Ne sono arrivate oltre 800 in meno di 24 ore. Tante si somigliavano. Le ho accorpate e ora rispondo a tutte: chiudiamo con una newsletterona in cui parliamo di tutto. Tante domande mi chiedono analisi, opinioni, pareri. Non ho voluto sottrarmi, ma non penso di avere la verità in tasca. Usate quanto segue come inizio di altri approfondimenti se volete, o per avere un punto di vista magari diverso dal vostro ma informato e in buona fede. Le domande non sono in ordine di importanza. Via!

1. La vicenda Porto Rico può essere la famosa “sorpresa di ottobre”?
La vicenda Porto Rico è stata la storia principale della settimana e in realtà è avvenuta al Madison Square Garden di New York, dove il comitato Trump ha organizzato un’iniziativa per dare una prova di forza e un famoso comico di destra, prima ancora che Trump salisse sul palco, ha pronunciato una gran quantità di battute aggressive e razziste contro gli immigrati, i neri e contro Porto Rico, definita tra le altre cose “isola galleggiante di spazzatura”.

Il video di quel segmento è arrivato ovunque, raggiungendo anche chi normalmente non segue la politica. Il comitato Trump ha cercato di dissociarsi ma non ha una grande reputazione di intolleranza per gli insulti. Nelle ore successive decine di celebrities portoricane si sono schierate per Harris, compresa la mega-star Bad Bunny, forse l’endorsement più ambito di questa campagna.

Porto Rico è un territorio non incorporato degli Stati Uniti: i suoi residenti sono americani come tutti gli altri ma lo stato non partecipa alle elezioni presidenziali. Solo che i due terzi della popolazione di Porto Rico risiedono negli Stati Uniti, quindi possono votare. Sono sei milioni. Quasi mezzo milione in Pennsylvania. Un milione in Florida. Potrebbe essere una october surprise.

2. E Biden che ha detto che la vera «spazzatura» sono i sostenitori di Trump?
Ma potrebbe anche non esserlo. Poche ore dopo quest’incidente il presidente Biden ha detto che la vera spazzatura sono i sostenitori di Trump. Poi ha cercato di correggersi dicendo che la definizione era rivolta alle cose razziste che dicono alcuni di quei sostenitori. Non è stato molto convincente.

Sembra che da settimane la Casa Bianca chieda al comitato Harris: quando facciamo una cosa di campagna elettorale insieme? E dal comitato Harris rispondano: presto, vi facciamo sapere noi. E poi non gli facciano sapere mai. Harris si è dissociata rapidamente dalle parole di Biden.

3. Pensi che questi ultimi giorni possano incidere sul risultato finale?
Possono essere giorni molto importanti. La grande polarizzazione del voto rende improbabili spostamenti di massa, ma le cose che succedono negli ultimi giorni sono quelle di cui si parla mentre le persone votano: le conseguenze sono immediate, i candidati hanno meno tempo per rimediare agli errori e cambiare argomento. E con un risultato equilibrato, anche un piccolo gruppo di persone che cambiano idea e decidono di restare a casa (o di votare) può essere decisivo. Clinton perse nel 2016 a causa degli ultimi giorni di campagna.

4. Perché il primo martedì di novembre?
È una lunga storia, risale a quando il martedì era effettivamente il giorno più comodo per tutti, ma può essere anche il secondo martedì di novembre (è tutto spiegato nel link).

5. Cosa dicono i sondaggi?
In sostanza dicono che sono pari. Ma un vantaggio di un punto o di mezzo punto percentuale, in sondaggi che hanno quattro o cinque punti di margine di errore, non ha significato: rischia di illuderci di vantaggi o svantaggi che non esistono. Può darsi che ci aspetti l’elezione più equilibrata di sempre. Ma esiste anche la possibilità che i sondaggisti temano di passare per quelli che non hanno capito niente e abbiano smussato lo smussabile: se non ti dico chi vince, non posso sbagliare. Non sarei stupito se alla fine dovessimo vedere uno scarto di due o tre punti a vantaggio di uno dei due, magari maturato in questi ultimi giorni.

Dalla newsletter di Nate Silver.

6. Dobbiamo aspettarci che sottovalutino Trump come in passato?
Discorso interessante, parliamone. È vero che nel 2016 e nel 2020 i sondaggi hanno sottostimato Trump, peraltro si sono sbagliati molto più nel 2020 che nel 2016. Per questo motivo, nel 2024 si sta usando un metodo mai usato prima. Per parlarne però dobbiamo fare un passo indietro.

Quando si fa un sondaggio, si intervista un campione di persone rappresentativo del gruppo più grande di cui si vogliono indagare le intenzioni. Quindi si cerca di avere nel campione la stessa percentuale di uomini, donne, laureati, bianchi, neri, ricchi, poveri, etc, che si ritrova nella popolazione reale. Il problema dei sondaggi elettorali è che non bisogna indagare le intenzioni della popolazione reale ma solo quelle di chi andrà a votare. E come facciamo a saperlo?

Glielo chiediamo, certo. Ma questo è il punto in cui i sondaggi diventano un po’ un’arte, e si fanno scelte e ipotesi che determinano il grosso degli errori. Nel 2016 e nel 2020 la costruzione di questi campioni non ha funzionato. Il motivo non è che chi vota Trump non lo dice ma che chi vota Trump, quando sente che dall’altra parte del telefono c’è un sondaggista, riattacca più spesso di un elettore progressista.

Per evitare lo stesso errore da quest’anno la gran parte degli istituti, costruendo il campione, alle informazioni anagrafiche aggiunge un altro criterio: chiede alle persone che rispondono se hanno votato nel 2020 e per chi. In questo modo il campione 2024 dell’Ohio, per esempio, dove Trump nel 2020 vinse col 53 per cento, dovrà contenere anche il 53 per cento di persone che nel 2020 votarono Trump, e il 45 che votò Biden, etc.

Quali sono i problemi? L’elettorato di alcuni stati è cambiato moltissimo dal 2020 a oggi, per via di forti migrazioni interne. E poi: è dimostrato che un numero minoritario ma significativo di persone… non ricorda per chi ha votato. Oppure lo ha rimosso o non vuole dirlo perché se n’è pentito. Infine, non ci sono usi precedenti di questo metodo alle presidenziali: navighiamo a vista. Magari funziona! Magari no.

7. Con chi sta Wall Street?
Come sempre, con tutti. Ma c’è un sentimento generale contraddittorio: tutti sanno che per gli affari sarebbe meglio Trump, che promette deregolamentazioni e soprattutto un mostruoso taglio delle tasse sugli americani più ricchi. Ma temono anche che possa causare uno o più cataclismi e danneggiare l’economia. Per approfondire.

8. Come votano storicamente gli italoamericani?
Gli italoamericani sono uno dei gruppi in cui si vede un più forte divario di genere: gli uomini sono molto Repubblicani, le donne sono più per i Democratici. Ma complessivamente è un segmento sbilanciato a destra, soprattutto dalle seconde generazioni in poi. Chi vive nelle grandi città ed è immigrato nel paese invece tende a preferire il Partito Democratico.

9. Come cambierà l’America con Trump?
Questa è troppo lunga per una newsletter così lunga: politica estera, commercio, tasse, investimenti, ricerca, lavoro, diritti, aborto, cultura, ogni punto meriterebbe grandi discussioni. Oltre a Google, ci aiuta il precedente del 2016.

Credo che avremmo un’America più tetra, divisa e nervosa, con ogni probabilità anche più violenta; una maggiore instabilità politica ed economica, con il probabile ritorno dell’inflazione; una politica estera cinica e facile da corrompere e aggirare, per quanto capace di produrre occasionalmente risultati grazie alla sua imprevedibilità; un’ulteriore radicalizzazione di tutto, dagli insulti razzisti al politicamente corretto; l’inizio di un inferno quotidiano per i gruppi più a rischio come le donne, le persone transessuali, i musulmani, gli immigrati irregolari. L’America, elettrificata.

Ma gli anni di Trump sono stati anche gli anni col numero record di donne e persone non bianche impegnate in politica. L’economia è cresciuta mentre scendevano le emissioni inquinanti e i vaccini contro il Covid salvavano il mondo. Che non finirà, insomma, nemmeno con una vittoria di Trump.

10. Cosa cambierà per gli immigrati legali e chi cerca un visto?
Non lo so, ma difficilmente le cose cambierebbero in meglio. Il mio visto prima durava cinque anni e poi Trump ha stabilito che dovevo rinnovarlo ogni nove mesi e Biden che andava bene così.

11. E sul clima?
Gli Stati Uniti smetterebbero di fare da perno diplomatico dell’intera conversazione e anche di spingere la comunità internazionale a fare di più, com’è avvenuto soprattutto dalla conferenza di Copenhagen in poi, e soprattutto a Parigi. Nel mondo si rafforzerebbero le posizioni scettiche sia tra le persone che in politica e questo avrebbe delle conseguenze. Di certo salterebbero tanti degli attuali impegni per costringere le persone a cambiare l’auto o la cucina o le lampadine entro un certo momento. Ma la transizione proseguirebbe perché è comunque trainata dalla forza della realtà, quindi dalle persone e dal mercato: ci sono grandi investimenti privati, c’è la ricerca, ci sono le scelte di consumo di ognuno di noi e le loro grandi conseguenze.

12. Il Partito Democratico in caso di sconfitta si sposterà a destra o a sinistra?
Se Harris perderà sarà per l’inflazione e l’immigrazione, cioè le due grandi questioni su cui Biden ha dato più retta alla sinistra: giganteschi investimenti a debito e fine della repressione dell’immigrazione irregolare. Potete immaginare quale lezione ne trarrà il partito. Se poi Harris dovesse perdere in Pennsylvania, sarà dura dar torto a chi sostiene che avrebbe dovuto scegliere Josh Shapiro come vice. Ma non è detto che la base voglia spostarsi nella stessa direzione, anzi. Saranno anni di grande conflittualità interna.

13. E quello Repubblicano, dovesse perdere?
Come sopra. Un pezzo di classe dirigente vorrà tornare quanto meno a un tipo di leadership più stabile e pragmatico, e in parte lo farà inevitabilmente una volta rimosso Trump dall’equazione: nessuno è disinibito come lui, e i politici di destra radicale che non si chiamano Trump perdono quasi sempre. Ma su questo ci aiuta invece la lezione del 2008: la base del partito potrebbe slittare ancora più verso destra, incendiata dal vedere una donna nera alla Casa Bianca.

14. Come cambierà l’America in caso di vittoria di Harris?
Altra domanda complicata e impossibile da esaurire. Certamente ci sarebbe molta continuità con l’amministrazione Biden, la cui popolarità è stata affossata dalla fragilità del presidente pur potendo vantare grandi risultati su molti fronti. Le sarebbe richiesta una svolta su Israele e potrebbe anche arrivare, così come sull’Ucraina: l’attesa delle elezioni ha bloccato situazioni e discussioni che potrebbero muoversi. La giudice Sotomayor potrebbe dimettersi e dare modo a Harris di scegliere qualcuno più giovane. Infine, la cosa più importante: scopriremo come reagirà l’America con una donna presidente.

15. Cosa succederà a TikTok?
La legge che obbliga ByteDance a chiudere il servizio o venderlo a società americane è stata approvata e sta già dispiegando i suoi effetti, ma il nuovo presidente potrà decidere se rimandare la scadenza (e in ultima istanza probabilmente farla deragliare) oppure lasciare che le cose procedano. I ricorsi porteranno il caso davanti alla Corte Suprema.

16. Se Harris avesse avuto più tempo da candidata avremmo sondaggi diversi?
Tutto è possibile. Sicuramente non avrebbe riempito il suo comitato elettorale con le persone di Biden e avrebbe avuto più libertà di movimento. Ma l’opinione maggioritaria è che Harris abbia beneficiato della breve durata della sua campagna, soprattutto grazie alla forza della fiammata iniziale.

17. Se Harris si sbilanciasse un po’ più contro Israele avrebbe conseguenze negative sui suoi consensi?
La maggioranza degli americani vuole che la guerra finisca e pensa che Israele sia andata oltre il tollerabile. Quindi no, non credo. Ma la questione Gaza non è tra le priorità degli elettori, neanche fra i giovani, e lei vuole soprattutto che non diventi il tema della campagna. Più in generale, il punto non sono tanto le posizioni che assumi, quando sei presidente: il punto sono i risultati che ottieni. La politica è il gioco di cambiare la realtà, non quello di dichiarare. Biden ha provato a far dimettere Netanyahu e non ci è riuscito. Ha provato ad arrivare a un cessate il fuoco e non ci è riuscito. Fosse riuscito a ottenere entrambe le cose, oggi ne avremmo un giudizio diverso. Cosa riuscirà a ottenere Harris? Questa mi sembra la domanda interessante.

18. A seconda di chi vince, quali sono le ripercussioni su Gaza?
Kamala Harris continuerà a cercare un cessate il fuoco e un cambio di governo in Israele: non è detto che ci riesca, come dicevamo. Il sostegno militare proseguirebbe ma si potrebbe parlare di condizioni sul loro uso, come accade d’altra parte trimestralmente con l’Ucraina. Donald Trump, invece, ha detto che Israele «può fare quello che vuole» e che Netanyahu «dovrebbe finire il lavoro».

19. Perché gli arabi musulmani sono così pro-Trump?
Non certo per le posizioni di Trump, quindi, che peraltro usa la parola «palestinese» come un insulto e ha fatto di una legge che si chiama letteralmente muslim ban un simbolo della sua politica. C’è sicuramente l’intenzione di punire l’amministrazione Biden per questo anno di guerra a Gaza. Ma c’è anche un avvicinamento cominciato parecchio prima della guerra e fondato su questioni molto più interne: l’evoluzione della sinistra americana sui diritti LGBT+ e sul politicamente corretto, insieme alla battaglia campale per la libertà di scelta sull’aborto e al doloroso dibattito sulle transizioni di genere, da anni portavano i musulmani verso il Partito Repubblicano.

20. Se vince Trump è un problema per noi italiani e europei? Chi ci conviene che vinca?
Discorso ampio, provo ad affrontare solo due aspetti, forse i più importanti. Non penso sia scontato che una presidenza Trump tagli immediatamente le armi per l’Ucraina, ma di certo all’Europa verrebbe chiesto di fare molto di più: e in malo modo. Magari sarà la volta che ci svegliamo ma vedete voi quanto sperarci. Inoltre, la sola prospettiva dei dazi promessi da Trump dovrebbe terrorizzare un paese come il nostro, la cui economia si fonda sulle esportazioni. Gli Stati Uniti sono il nostro secondo partner commerciale. E il primo, la Germania, se la passa molto male.

21. Cosa succederà in Ucraina?
Abbiamo visto abbastanza per dare per scontato che anche Vladimir Putin si auguri una vittoria di Trump. Ma come dicevo, non darei per scontato che Trump tagli subito gli aiuti all’Ucraina, anche se ne comprendo il timore. Le pressioni degli alleati sugli Stati Uniti sarebbero fortissime e Trump non accetta mai volentieri l’etichetta dello sconfitto, che non potrebbe evitare se la Russia sfondasse la resistenza ucraina. Non gli serve questo guaio e l’uomo è imprevedibile e tutt’altro che pacifista, malgrado la propaganda: bombardò la Siria dopo l’uso delle armi chimiche del regime di Assad, tirò un missile in testa al temutissimo generale iraniano Suleimani, gettò su Afghanistan e Yemen più bombe di Obama e Bush. Di certo diventerebbero più forti le voci di chi vorrebbe un negoziato, anche in Europa. E ovviamente in Italia, al governo.

22. La Russia, la Cina e Iran stanno cercando di influenzare le elezioni?
Indubbiamente e lo abbiamo già visto. Poi lo spionaggio esiste dappertutto e sembra attraversare un’epoca d’oro. L’Iran poi sembra voglia proprio ammazzare Trump.

23. Per chi tifa la Cina?
«Xi Jinping mi rispetta e sa che sono completamente pazzo», ha detto Trump qualche giorno fa. La teoria del pazzo è una vera dottrina di politica estera e di tanto in tanto porta risultati. La Cina preferisce stabilità. Ma come l’amministrazione Biden ha accentuato la competizione aggressiva con la Cina sdoganata da Trump, l’amministrazione che verrà farà lo stesso con il lavoro impostato da Biden. I presidenti si muovono e scelgono dentro la cornice della loro fase storica.

24. Cosa pensano i candidati delle criptovalute?
Poche cose, volubili e confuse. Ma amichevoli: esplicitamente quelle di Trump, che nel suo primo mandato era stato invece molto scettico, implicitamente quelle di Harris. Perché è un’industria ricchissima e questa è la prima elezione su cui ha investito davvero.

25. Cosa potranno recriminarsi in termini di campagna i due candidati?
Questione interessante, perché Harris non ha fatto veri grandi errori strategici. Forse la volta che ha detto in tv che non vede differenze tra lei e Biden. Ma dall’altra parte c’è uno che deve difendersi dall’accusa di non essere Hitler. Dovesse perdere, Harris potrà dire di aver compiuto comunque una rimonta strepitosa, e di aver fatto il massimo in tutti i momenti importanti, dalla convention al dibattito, nonostante fosse penalizzata dall’eredità di Biden. Diranno che non avrebbe dovuto scegliere Walz, il cui valore aggiunto si è sgonfiato presto. E che ha pagato le posizioni radicali adottate nella campagna del 2019.

Quanto a Trump, perde o vince in quanto Trump: se vincerà, avrà avuto ragione su tutto; se perderà, avrà avuto torto su tutto. Ma ci sono stati almeno tre grossi errori gratuiti nella sua campagna. La scelta di J.D. Vance, che non è privo di talento, ha creato problemi in un momento cruciale. Costruire l’intera convention su Biden, quando un suo ritiro era già possibile se non probabile, è stato un errore da dilettanti. Come cadere nelle trappole tese da Harris durante il dibattito, e in generale non aver capito che l’America del 2024 non è quella del 2016.

26. Possibili nomine interessanti di entrambi?
Liz Cheney alla Difesa sarebbe forse troppo, ma sarà interessante vedere come Harris ricompenserà il mondo Repubblicano che l’ha sostenuta. Adam Kinzinger me lo aspetto. Forse anche Jeff Flake. Pete Buttigieg avrà un incarico importante agli esteri. In caso di amministrazione Repubblicana, alcuni ex rivali di Trump hanno trascorso abbastanza tempo in Purgatorio e potrebbero avere incarichi importanti: Marco Rubio, per dirne uno. Mike Pompeo ritornerà in qualche veste. Ma sarà pieno di fedelissimi di Trump.

27. Quale è stato l’evento positivo e negativo più impattante sui due candidati?
I primi venti giorni di Harris da candidata sono stati un capolavoro di gestione di crisi e di comunicazione politica che sarà studiato negli anni a venire. Ma dopo la convention c’è stato un mese di grande staticità e poche idee, per avversione al rischio e forse per il conforto della rimonta, e Trump si è ripreso la scena. Harris ha avuto il vantaggio di un entusiasmo grande e sentito, frutto anche del sollievo portato dalla sostituzione di Biden: la felicità dei resuscitati. Ma non ha mai avuto il tempo di mettere in piedi un’operazione politica completamente sua.

Trump ha affrontato l’attentato con un coraggio e una prontezza che nessuno di noi sa se avrebbe avuto al suo posto, un istante dopo essersi preso un proiettile in faccia. È stato un momento oggettivamente potentissimo che gli ha dato l’occasione unica di andare oltre se stesso, riscrivere la sua storia e completare una (piccola!) evoluzione del suo personaggio politico. E poi l’ha sprecata.

È stato incredibile osservarlo in diretta mentre distruggeva questa opportunità, in quel discorso finale della convention di Milwaukee che continuava a interrompere per divagare, provocare, insultare. Personalmente, quelle due ore a osservarlo a dieci metri da me sono il ricordo più forte che conserverò di questa campagna, tra le cose a cui ho avuto la fortuna di assistere dal vivo.

La foto più discussa di Donald Trump (78) dopo l’attentato a un comizio a Butler, Pennsylvania, 13 luglio (AP Photo/Evan Vucci)

28. Cosa sarà dei processi di Trump in entrambi i casi?
In breve: se Trump dovesse vincere, tutto o quasi tutto sarà cancellato o almeno sospeso. Se dovesse perdere, ripartirà tutto e forse anche con gli interessi. Qui un riepilogo.

29. Che fine hanno fatto i vice? Non se ne sente più parlare.
Non mi avete creduto quando vi avevo detto che non contano granché? Ci fanno parlare molto e possono piegare la storia di qualche settimana, che in campagna elettorale non è una cosa da poco. Ma le persone votano per il presidente.

30. Che tipo di First Lady sarà Melania? Più o meno incisiva del primo mandato?
Una First Lady che vedremo pochissimo? La prima First Lady a divorziare dal presidente nel corso del suo mandato, una volta acquisito il risultato? In campagna elettorale si è vista poco, e delle sue rare apparizioni non c’è molto da ricordare. I due sono raccontati come sempre più lontani. Però sono solo ipotesi.

31. Quanto impatta sul voto e in che modo che Kamala sia una donna?
Altra domanda per cui servirebbe la palla di vetro. Ci sono persone che non voteranno per Harris in quanto donna. E certamente la sua strada è più in salita perché è una donna: il margine di errore si riduce. Ma ci sono anche donne presidenti elette con successo da decenni e in ogni parte del mondo – persino in Italia. Se Harris dovesse davvero perdere voti tra i giovani maschi afroamericani, si farà una discussione delicata. Ma anche la sua eventuale vittoria non dovrebbe rimuovere lo scandalo che una donna presidente arrivi soltanto adesso.

32. Quanto può influire il fatto che Obama abbia sostenuto Harris così fortemente?
Obama fu capace di vincere in posti come il North Carolina o l’Indiana, senza contare Iowa, Florida e Ohio – questi per due volte. Non è uno qualsiasi. E nessuno sa fare questa cosa meglio di lui, quindi sicuramente conta: attira, mobilita, carica, spiega, ispira. Smuove. Quantificare è impossibile.

33. E Bernie Sanders?
Molto meno, nonostante la solita passione e grande lealtà e serietà politica. Il movimento che ha contribuito a creare ormai cammina con le sue gambe, mentre i suoi interlocutori politici attraversano un momento difficile. La questione mediorientale lo ha messo in difficoltà e in campagna elettorale non si è visto molto. Cosa che non si può dire della sua più chiara erede.

34. Come se l’è cavata AOC in questa campagna? Cosa farà dopo?
È stata una dei protagonisti della campagna di Harris mostrando la maturità e la forza di chi non si accontenta di restare minoritario. Senza rinnegare niente delle sue idee, ha messo la sua credibilità e il suo evidente talento al servizio della causa di Harris e più di una volta si è presa la scena: il discorso alla convention, il rant contro Jill Stein, la partita di Madden con Tim Walz. Ne ha guadagnato statura e consensi nel partito, presto passerà all’incasso: sempre a proposito di quel discorso sulla politica come mezzo per fare le cose. Ma solo lei conosce quale sarà il prossimo passo.

35. Jill Stein, la candidata dei Verdi, può essere un reale problema per Harris sottraendole voti preziosi?
Nel caso di un risultato equilibrato ogni voto può essere decisivo, quindi un buon risultato dei Verdi potrebbe far male a Harris. Ma fermarsi qui sarebbe superficiale. Le persone che votano per i Verdi sono persone che hanno scelto convintamente di non votare Harris: non è detto che la sceglierebbero se Stein non fosse tra i candidati. E l’intera operazione Stein è talmente vuota – Ocasio-Cortez su questo è stata perfetta – e costruita esplicitamente sul desiderio di far perdere Harris che ha limitato molto la sua forza attrattiva.

Inoltre, la campagna Stein è apertamente sostenuta dai Repubblicani che hanno dato una mano con i soldi e la burocrazia. Trump ha ringraziato Stein personalmente e in pubblico. Ha avuto il sostegno dall’ex capo del Ku Klux Klan. Lei si è detta pronta a graziare Trump. Potevano giocarsela meglio.

36. Ma in tutto ciò, Robert Kennedy Jr. che fine ha fatto?
Per fortuna non ci sono altre storie che coinvolgano lui e qualche animale. Trump promette di coinvolgerlo nella sua amministrazione, forse addirittura al dipartimento della Salute oppure all’Agricoltura.

37. Perché tanti americani votano Trump?
Ecco la risposta breve. Pensa al politico che detesti di più. Chiamiamolo… no, non chiamiamolo se no mi fa causa qualcuno. Quello che ti fa arrabbiare ogni volta che lo ascolti e col quale non sei d’accordo mai: lui. L’avversario. Ora chiediti, in tutta onestà: esiste uno scenario per cui, in una situazione binaria come un ballottaggio per il sindaco, il candidato del partito a te più vicino possa essere così terribile da farti votare addirittura per il suo avversario, cioè quello che detesti di più e con cui non sei d’accordo mai? Tante persone votano Trump semplicemente perché hanno idee conservatrici e di destra, come capita che accada in ogni paese del mondo. Trump è quello che offre oggi la destra americana. Il fatto che lo votino non implica che sottoscrivano tutto. La risposta lunga è qui.

38. Che ruolo avrà Elon Musk?
Ambisce a fare il presidente ombra di un Trump affaticato e impegnato a tempo pieno dalla vendetta sui suoi nemici. Per proteggere i suoi business ma credo anche perché pensi di essere molto bravo.

39. Ma la sua lotteria è legale o no?
C’è una causa in corso in Pennsylvania. Probabilmente lo scopriremo quando sarà troppo tardi.

40. Perché i Democratici non vogliono che si voti solo se si ha un documento?
Perché in tanti stati americani non esiste un documento d’identità obbligatorio – come da noi la carta d’identità – e richiederlo per votare implica allontanare dai seggi chi non ha una patente o un passaporto, cioè le persone più povere. È una tecnica usata a lungo per marginalizzare le minoranze etniche. L’identità degli elettori viene verificata in altri modi e i problemi sono rarissimi. Ma è vero che le cose stanno cambiando.

Le leggi che richiedono un documento per votare sono popolari e i Repubblicani dopo il 2020 stanno insistendo moltissimo su questo tema mentre i Democratici non sempre hanno voglia di fare resistenza. Anche perché elezione dopo elezione gli elettori delle minoranze battono ogni record di partecipazione, dimostrandosi resilienti e coinvolti, mentre i Repubblicani si affidano sempre di più alla ricerca di elettori ai margini della politica e della società e guadagnano voti proprio in quella fascia della popolazione povera e senza documenti. Mi aspetto una piccola svolta su questo tema.

41. Quanto conteranno i diversi gruppi etnici?
Le persone statunitensi di origini latinoamericane sono il 19 per cento circa della popolazione. Sono il secondo gruppo etnico del paese e sono quasi il doppio degli afroamericani. Sono anche il gruppo che cresce di più. Il 60 per cento votò per Biden. Gli afroamericani sono circa il 13 per cento della popolazione e sono la minoranza che vota di più. Nel 2020 il 92 per cento votò per Biden contro l’8 per cento per Trump. Il 6 per cento della popolazione ha origine asiatica. I bianchi sono il 58 per cento.

42. E le donne?
Potrebbero essere la vera storia di questa campagna elettorale. Ogni indicatore suggerisce che il divario elettorale di genere non abbia fatto che crescere, la mobilitazione dei gruppi femministi è fortissima e sfonda anche in luoghi improbabili, le circostanze di questa elezione e le scelte dei comitati elettorali lo hanno accentuato: un uomo contro una donna, le leadership diversissime di Walz e Pence, l’aborto al centro della scena.

43. Tra le analisi non vedo mai parlare dei nativi americani, come votano? Hanno un peso?
Quelli che vivono in città versano in condizioni non così diverse dalle altre minoranze, anche in termini di partecipazione al voto. Quelli che vivono nelle riserve, invece, sono isolatissimi. Chiunque abbia guidato in una riserva ha presente come sia fatta quella terra nel West: montagne e deserti infiniti con piccoli insediamenti separati da decine se non centinaia di chilometri. La posta funziona poco e male. Sono molto poveri. Votare è complicato.

44. Chi sono gli indecisi?
Sono tra il 6 e il 10 per cento della popolazione. Sono molto insoddisfatti di entrambe le opzioni e non sanno proprio se votare o no.

45. I giovani americani per chi votano? E gli studenti universitari?
La Gen Z – cioè le persone che hanno tra quindici e trent’anni, più o meno – voterà in larga parte per Kamala Harris. Ma non è una fascia che vota molto. Harris stravince anche tra gli studenti universitari.

46. Come eviteranno che un elettore voti prima per posta e poi in presenza?
Ogni stato ha i suoi protocolli, ognuno protocollo e livelli di sicurezza un po’ diversi dagli altri, e le schede sono contenute in una busta con un codice a barre univoco. Quando la scheda votata per posta arriva all’ufficio elettorale, i funzionari scannerizzano il codice e segnalano che quell’elettore ha votato. La busta sarà aperta e ne conterrà un’altra, anonima, con la scheda: sarà scrutinata insieme alle altre. Se l’elettore tenterà poi di votare di persona, il sistema lo segnalerà.

47. Quanto è affidabile il meccanismo di conteggio dei voti?
Per quel che ne sappiamo, affidabilissimo. Le procedure sono collaudate, i brogli reali individuati e scoperti a ogni elezione sono residuali, nessun tribunale si è mai neanche avvicinato a confermare nessuna delle teorie del complotto. Siate scettici quando vedrete video di voti truccati, schede abbandonate, etc.

48. Cosa succede se finisce 269 pari? 
Deciderebbe il Congresso. Il presidente sarebbe scelto dalla Camera, ma ogni delegazione statale avrebbe diritto a un solo voto, a prescindere dalle sue dimensioni: vuol dire che i deputati del Texas o della Florida, per esempio, dovrebbero riunirsi e decidere a maggioranza chi scegliere come presidente a nome dell’intero stato. Non è una decisione scontata: se i deputati della Georgia fossero in maggioranza Repubblicani, ma in Georgia alle presidenziali avesse vinto il candidato Democratico? In entrambi casi ci sarebbero discussioni e polemiche. I Repubblicani controllano la maggioranza delle delegazioni. I senatori sceglierebbero il presidente tra i due più votati.

49. Come funziona il voto anticipato? Chi vi ha accesso?
Negli Stati Uniti esiste la possibilità di votare prima del giorno delle elezioni. I periodi variano da stato a stato così come i criteri per avere accesso a questo servizio, che in alcuni stati richiede motivazioni speciali. Ma ce ne sono altri che inviano automaticamente a tutti gli elettori registrati le schede elettorali per votare via posta o portare la scheda votata in un ufficio elettorale prima del giorno del voto. La busta può essere anche imbucata in un ballot drop-box, urne dislocate in giro per il paese.

50. Ma le urne per il voto anticipato sono così ovunque? Sono sicure?
Le urne sono collocate in luoghi pubblici, solitamente vicino agli uffici o ai seggi elettorali. Spesso sono sorvegliate o videosorvegliate, hanno lucchetti e sistemi antincendio, come quello che ha salvato centinaia di schede delle urne che sono state incendiate in Oregon e nello stato di Washington la scorsa settimana. Queste urne nascono anche per rassicurare gli elettori, che preferiscono imbucare direttamente la scheda invece che affidarla alle poste.

51. Come andrebbero letti i dati sul voto anticipato?
Dati alla mano, la risposta più seria è che non dovremmo leggerli. Sono dati troppo frammentari, diversi e parziali, diventa come con i fondi del caffè: ognuno ci vede cosa ci vuole vedere.

 52. Cosa succede ora dove hanno incendiato le schede? Che ne sarà di quei voti?
I funzionari elettorali cercheranno tra le schede danneggiate le informazioni per contattare gli elettori e far ottenere loro una nuova scheda.

53. I problemi legati agli ultimi uragani influenzeranno il voto in modo decisivo?
Lo stato che ha subito i danni più gravi causati dall’uragano Helene è il North Carolina, dove il voto anticipato si è aperto due settimane fa. Nonostante centinaia di migliaia di persone si siano ritrovate senza corrente, in case gravemente danneggiate o inagibili, la partecipazione è stata da subito significativa. Per adesso non si vedono grosse conseguenze, ma è presto.

54. Esiste il voto disgiunto? Quanto pesa storicamente?
Esiste, pesa sempre meno, soprattutto alle presidenziali. Diventa rilevante soprattutto quando ci sono candidati terribilmente impopolari, come sta succedendo per la candidatura a governatore del North Carolina.

55. È realistico uno scenario di battaglia legale stile 2000?
Eccome. Soprattutto in caso di risultato equilibrato e problemi o disordini con le operazioni di voto e di scrutinio. I roghi delle urne elettorali in Oregon e nello stato di Washington non promettono bene per niente.

56. Quanto è probabile un 6 gennaio se vince Harris?
Un 6 gennaio nel senso di un assalto organizzato con migliaia di persone per ribaltare l’esito del voto: no. Non c’è un vicepresidente su cui fare pressioni – sarebbe Harris stessa a certificare la propria vittoria – né un presidente che sottovaluterebbe i rischi o aspetterebbe ore per far intervenire le forze dell’ordine. Ma gli animi si scalderanno molto e in America purtroppo basta una persona per produrre moltissima violenza.

57. La democrazia americana finirà?
Non credo. Ma la democrazia non è un interruttore on/off, piuttosto una scala piena di gradini. Comunque la si pensi sulle sue idee, oggettivamente Trump ha già mostrato un disprezzo inequivocabile per il pilastro di ogni democrazia: il rispetto della volontà popolare. E l’altroieri ha detto che la sua oppositrice Liz Cheney dovrebbe essere fucilata da un plotone di esecuzione. Gli Stati Uniti rischiano di scenderne parecchi.

58. Si rischia la guerra civile? 
Quanto ci piace descrivere il mondo con le etichette, vero? Io voglio vederle le facce di quelli che pensano di dichiarare guerra – sul suo territorio! – all’esercito più forte e meglio armato della storia dell’umanità. Non si rischia la guerra civile. Si rischia la violenza. E si rischia il completo immobilismo della politica, più che un colpo di stato.

59. L’esercito potrebbe rifiutarsi di eseguire un ordine diretto del presidente?
In teoria no. In pratica è già successo e può sempre succedere. Ci sono le leggi, c’è la politica e ci sono le persone.

60. C’è qualcosa che ti saresti aspettato che non è (ancora) accaduto?
Sono anni che si parla di un archivio di fuorionda delle puntate di The Apprentice condotte da Trump, che sarebbe ricco di sue parole terribili alla grab them by the pussy. Non che ci servano altre parole terribili di Trump ma pensavo che qualcuno a un certo punto avrebbe aperto la cassaforte.

61. Perché i Democratici non ci provano davvero in Texas?
Perché competere davvero in uno stato così grande è costosissimo e i soldi non sono infiniti: vuol dire investire risorse – e tempo, e attenzione – sottraendole alla Pennsylvania, al Wisconsin o al Michigan, posti in cui si può vincere e se non si vince salta tutto; il tutto inseguendo una vittoria in Texas che non arriva da cinquant’anni e che non è necessaria per vincere. Serve che il primo passo lo facciano i Democratici del Texas, forse anche il secondo: quando e se diventerà davvero uno stato in bilico, il resto si muoverà.

Inoltre, negli ultimi anni nel sud del Texas e tra i latini, un tempo le zone più forti per i Democratici, stanno guadagnando i Repubblicani. Se i Democratici non avessero perso così tanti voti fra i latini forse la trasformazione del Texas sarebbe già avvenuta; ma hanno perso quei voti per tenersi quelli dei bianchi di sinistra e delle giovani donne, quindi forse da qualche parte dovevano mollare qualcosa comunque.

62. Quali sono i prossimi grandi cambiamenti della mappa elettorale americana?
Bella domanda. Ma credo che per i Democratici sfondare negli stati del Sud possa diventare un’impresa più semplice di tenersi quelli del Nord.

63. È possibile che i referendum sull’aborto in stati cruciali come l’Arizona possano influire sul voto?
Succede in Arizona ma anche in Nevada. Di certo i Democratici se lo augurano. E li confortano i sondaggi e i dati sulla partecipazione al voto delle donne. Ma esiste anche il voto disgiunto.

64. Quanto peserà l’intervista di Trump al Joe Rogan Experience?
I numeri di Joe Rogan farebbero gola a ogni candidato, così come il suo pubblico. Tre ore di conversazione sono anche una fonte abbondante di brevi clip per i social. Ma nessuna ha attecchito davvero. E quelle che hanno girato di più sono quelle in cui Rogan ride in faccia a Trump. Tanto rumore per nulla. Sembra che Harris non vada, almeno a oggi.

65. È una percezione errata, o gli endorsement delle star per i Democratici sono molti di più rispetto a quelli per i Repubblicani?
Non lo è, ma forse a questo punto la domanda dovrebbe essere: perché? A voi le risposte. Trump cerca di approfittarne facendo il populista, ma le celebrità fanno gola anche a lui: è solo che non ce le ha. Altrimenti non proporrebbe quelle surgelate come Hulk Hogan.

66. C’è una concreta discussione sulla possibilità di cambiare legge elettorale?
Sì, ma è limitata a docenti universitari e piccole organizzazioni di nerd della politica. Alle persone non interessa e alla politica nemmeno, anche perché bisognerebbe cambiare la Costituzione.

67. Senza la stortura del sistema dei grandi elettori, che avvantaggia i Repubblicani, vincerebbe sicuramente Harris?
Il risultato sarebbe comunque incerto ma Harris sarebbe indubbiamente favorita. Anche se questo discorso presuppone che il consenso si distribuirebbe esattamente allo stesso modo anche con una legge elettorale diversa, cosa poco credibile dal momento che i candidati cambierebbero completamente strategie e allocazione delle risorse.

68. Se Trump perde ci riprova nel 2028?
Teoricamente potrebbe, e l’uomo è notoriamente imprevedibile, ma in questi mesi è sembrato molto invecchiato e molto stanco. E se perde lo aspetta una montagna di guai. Se vince invece può fare un solo mandato: il limite è due, non importa se consecutivi o no.

69. C’è un’alternativa credibile a Trump e Harris?
Ce ne sono moltissime in ogni partito: le seconde file non mancano. Sono governatrici, deputati, senatori. Li conoscerete alla formazione del governo e alle prossime primarie.

70. Se Harris dovesse perdere, avrà comunque un futuro politico? Potrebbe ricandidarsi alla presidenza?
È sempre difficile tornare per chi ha perso un’elezione di questo livello. Un ruolo di governo in una futura amministrazione Democratica? Forse. Un ritorno alla carriera nella magistratura per puntare alla Corte Suprema? Un ritorno al Senato, ci credo poco. Ma anche una candidatura, chissà. Tutte strade molto in salita, nessuna impossibile.

71. Quali sono i nomi da tenere d’occhio per le elezioni del 2028? 
J.D. Vance, in ogni caso. Pete Buttigieg.

72. Come ricorderemo Joe Biden?
Giudicheremo meglio la sua amministrazione e peggio la sua scelta di ricandidarsi.

73. I comitati come gestiscono un periodo così lungo in cui è possibile votare anticipatamente?
È uno sforzo economico, logistico e organizzativo colossale. Ogni comitato in queste settimane ha decine di migliaia di persone a libro paga: sono enormi aziende-lampo, che vivono due anni, diventano ogni giorno più grandi e muoiono subito dopo il momento in cui hanno prodotto il massimo sforzo.

74. Per cos’altro si vota?
Si vota per rinnovare tutti i seggi della Camera e un terzo dei seggi del Senato. I Democratici hanno buone possibilità di riprendersi la maggioranza alla Camera, ma sono quasi sicuri di perdere quella al Senato. Vuol dire che il prossimo presidente potrebbe avere un Congresso diviso e limitatissimi margini di movimento, chiunque sarà. Si vota anche per molti referendum e qualche governatore, l’unico davvero in ballo è il New Hampshire.

75. La crisi degli oppioidi non è proprio mai stato un tema di campagna? Non è sentito?
Se ne parla così tanto fuori dalla politica e così poco dentro la politica, è vero. Se non per parlare delle condizioni in cui versano le strade delle grandi città. Viene trattato come un problema locale. I dati sono sempre spaventosi ma in leggero miglioramento.

76. Quanto contano i soldi a queste elezioni?
Contano ma non sono la cosa che conta di più, un po’ perché ne hanno tutti tantissimi e non c’è (quasi) niente che non possano pagare, un po’ perché non sempre vince il candidato che ha più soldi: altrimenti Trump avrebbe perso nel 2016.

77. Cosa succede ai soldi raccolti e non spesi?
Sono nella disponibilità del candidato ma solo per cause politiche: può usarle per una sua futura campagna oppure donarli al partito e ad altri candidati. Non può metterseli in tasca e deve rendicontarne l’uso.

78. Puoi approfondire il concetto di deep state? Cosa è vero e cosa no?
È vero che il governo federale americano impiega centinaia di migliaia di persone che cercano di applicare le leggi ed evitare di finire in carcere, e questo di tanto in tanto confligge con le richieste del governo che dirige i loro uffici. Con Trump è capitato spesso. Non esiste un’organizzazione segreta di Democratici infiltrati nel governo federale il cui scopo sia sabotare i progetti dei Repubblicani.

79. Cambia molto se vince uno piuttosto che l’altra?
Donald Trump ha nominato tre giudici della Corte Suprema in un solo mandato e questi hanno votato per cancellare il diritto costituzionale di interrompere una gravidanza. Comunque la pensiamo, possiamo riconoscere pacificamente che con Hillary Clinton non sarebbe accaduto. E questo è solo un esempio tra mille. Un altro: l’amministrazione Obama trovò l’accordo con l’Iran che Trump stracciò appena arrivato alla Casa Bianca. Qualche settimana fa dentro Morning ho raccontato il filo che lega quella scelta alla destabilizzazione dell’area fino alla guerra di questi mesi. Conta molto.

80. Quanti saranno i votanti effettivi negli Stati Uniti?
L’affluenza alle elezioni presidenziali è storicamente in crescita: nel 2020 ha raggiunto il 62,8 per cento, il valore più alto da un secolo. Tira aria da record anche stavolta, potrebbero votare più di 160 milioni di persone.

81. Quando sapremo un vincitore?
Capiremo che aria tira dalle due del mattino in poi. Se ci fosse un vincitore netto, potremmo vederlo già tra le cinque e le sei. Se i sondaggi hanno ragione, servirà più tempo.

82. Da che ora è utile seguire la diretta sul tuo canale per capire chi vincerà?
Dalle 22:30! Anzi, se ci siete anche qualche minuto prima. Mi è scappata un’altra sorpresa.

83. È stata una “bella” campagna elettorale?
Nessuna campagna elettorale è mai bella. Ma ci sono stati un paio di momenti da libri di storia: l’attentato e il ritiro di Biden. In una settimana. Tra poco ne arriva un altro.

84. Gli Stati Uniti possono ancora essere un esempio?
Si può essere un esempio in molti modi diversi, gli Stati Uniti lo saranno in ogni caso. Quanto al come, stiamo per scoprirlo. Ci vediamo dall’altra parte.