Otto degli undici giudici della Corte Suprema messicana si sono dimessi
Per protestare contro l'importante riforma della giustizia voluta dall'ex presidente López Obrador
In Messico otto degli 11 giudici della Corte Suprema, fra cui la presidente Norma Piña, hanno presentato le loro dimissioni per protestare contro la riforma della giustizia voluta dall’ex presidente Andrés Manuel López Obrador ed entrata in vigore a settembre. Per uno dei giudici, le dimissioni avranno effetto a novembre, in contemporanea con la fine del suo mandato, mentre per gli altri sette dal prossimo agosto.
La riforma, molto contestata, rende elettive le cariche di tutti i giudici, inclusi quindi quelli della Corte Suprema, che prima erano nominati dal Senato: a giugno del 2025 circa metà delle 7.000 cariche giudiziarie sarà sottoposta a elezioni, le restanti nel 2027. Gli otto giudici della Corte Suprema hanno detto che preferiscono dimettersi piuttosto che partecipare alla campagna elettorale.
La riforma è uno dei cambiamenti più rilevanti al sistema giudiziario messicano degli ultimi decenni. È stata approvata dopo che i rapporti fra l’ex presidente López Obrador e la magistratura, specialmente la Corte Suprema, erano già deteriorati da tempo: nell’ultimo anno la Corte aveva infatti impedito l’attuazione di diverse proposte del presidente.
López Obrador e la nuova presidente Claudia Sheinbaum, sua alleata e anche lei membro del partito Morena, sostengono che la legge risolverà i grossi problemi di corruzione presenti nella magistratura e obbligherà i giudici a rispondere al popolo. I sindacati e le associazioni di categoria, così come alcuni esperti di diritto, ritengono che la riforma potrebbe invece avere effetti molto negativi: passare a un sistema elettivo – in cui i giudici devono candidarsi e fare campagna elettorale, in un paese con gravi problemi di corruzione – potrebbe avere l’effetto di politicizzare la magistratura e renderla più dipendente dal governo.
La riforma è stata molto contestata dai giudici e dai lavoratori dei tribunali, che hanno organizzato grandi scioperi, a cui si era unita anche la Corte Suprema. Anche gli ambasciatori di Canada e Stati Uniti in Messico l’hanno criticata: lo statunitense Ken Salazar l’ha definita «un rischio per la democrazia».
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La legge è stata già oggetto di 500 ricorsi legali da parte di giudici federali e altri critici, alcuni dei quali affermano che viola la Costituzione. La settimana prossima proprio la Corte Suprema valuterà una risoluzione che, se approvata, manterrà l’elezione popolare dei giudici del suo organo, ma giudicherà incostituzionale sottoporre a elezione le migliaia di giudici federali e locali.
Se approvata, la misura entrerebbe in teoria automaticamente in vigore, ma molti esponenti del partito di Claudia Sheinbaum hanno già detto che non la seguiranno e hanno accusato i giudici di opporsi solo per evitare di perdere i propri privilegi. Anche in seguito alle dimissioni di questa settimana Sheinbaum ha insinuato che i giudici avrebbero deciso di farlo ora per evitare di perdere i propri benefici pensionistici.