Lo «squadrone della morte» di Rodrigo Duterte
L'ex presidente delle Filippine ha detto in Senato di averla creata per combattere il narcotraffico: ora la polizia aprirà un'indagine
La polizia delle Filippine indagherà sulle dichiarazioni fatte dall’ex presidente Rodrigo Duterte durante un’audizione al Senato, in cui ha ammesso di aver formato uno «squadrone della morte» (espressione usata da lui) per controllare la criminalità legata al narcotraffico. La squadra sarebbe stata attiva durante il periodo in cui era sindaco di Davao, tra il 1988 e il 2016, e poi presidente, tra il 2016 e il 2022.
L’audizione faceva parte di un’inchiesta parlamentare sulla controversa guerra al traffico di droga avviata da Duterte negli anni in cui era sindaco e poi presidente e durante la quale sono morte migliaia di persone, uccise dalla polizia e da uomini armati non identificati. Ma l’apertura dell’indagine sulle sue affermazioni è anche l’ennesimo segnale della crescente ostilità tra Duterte e l’attuale presidente del paese, Ferdinand Marcos Jr., e tra quest’ultimo e la vicepresidente Sara Duterte, figlia di Rodrigo.
Poco dopo essere stato eletto sindaco di Davao, la città più importante del sud delle Filippine, Duterte venne soprannominato il “sindaco dello squadrone della morte”, una cosa di cui più tardi, durante la campagna elettorale per la presidenza, si vantò. In quel periodo Duterte armò delle milizie civili che diventarono presto delle “squadre della morte” che si occupavano di uccidere sospetti spacciatori, tossicodipendenti e chiunque venisse considerato un pericolo per l’ordine pubblico. Come hanno raccontato nel tempo diverse inchieste giornalistiche, la guerra alla droga voluta da Duterte e proseguita anche negli anni della sua presidenza comprendeva torture, rapimenti ed esecuzioni sommarie.
Secondo i dati della polizia quella campagna provocò oltre 6mila morti, ma le associazioni per i diritti umani ritengono che il bilancio sia ben più alto: si parla di circa 30mila persone uccise durante il suo mandato da presidente. Amnesty International ha più volte affermato che gli omicidi compiuti durante la “guerra alla droga” erano di natura «deliberata e sistematica» e sembravano far parte di un «attacco organizzato dal governo contro i poveri». La violenta campagna di Duterte è anche al centro di un’indagine della Corte penale internazionale (CPI) per possibili crimini contro l’umanità.
Nel corso dell’inchiesta parlamentare che si sta svolgendo in queste settimane ci sono state diverse udienze: sono stati ascoltati anche i familiari delle persone uccise in quel periodo, alcuni funzionari pubblici, dirigenti della polizia e l’ex senatrice Leila de Lima, che nel 2016 aveva fatto partire un’indagine sulle uccisioni extragiudiziali della “guerra alla droga” ed era stata per questo rimossa dall’incarico di presidente della Commissione sui diritti umani del Senato e infine arrestata.
In questi giorni davanti ai membri della commissione del Senato per le Indagini e per la Responsabilità dei funzionari pubblici è stato convocato anche Duterte. L’ex presidente ha detto: «Avevo uno squadrone della morte. Non utilizzavo la polizia, usavo i gangster. A loro dicevo: “Uccidi questa persona, perché se non lo fai sarò io a uccidere te”». Duterte ha poi difeso le proprie scelte, aggiungendo di non avere alcuna intenzione di scusarsi o pentirsi: «Che ci crediate o no, ho agito per il mio paese. La guerra alla droga non aveva a che fare con l’uccisione delle persone, ma con la protezione degli innocenti». La portavoce della Polizia nazionale filippina (Pnp), Jean Fajardo, ha detto che i nomi menzionati durante l’audizione saranno usati come base per l’indagine.
L’indagine rappresenta però anche un ulteriore segnale dei dissidi tra il presidente filippino, Ferdinand Marcos Jr., Rodrigo Duterte e sua figlia Sara, che è la vicepresidente del paese. Presidente e vicepresidente appartengono a due importanti dinastie politiche delle Filippine. Sara è appunto la figlia di Rodrigo Duterte: prima di diventare vicepresidente era stata sindaca di Davao come il padre, carica in cui poi le è succeduto il fratello Sebastian Duterte. Ferdinand Marcos Jr. invece è figlio di Ferdinand Marcos, che governò il paese in modo autoritario dal 1965 al 1986.
Sebbene nelle Filippine presidente e vicepresidente vengano scelti in elezioni indipendenti l’una dall’altra e si ritrovino dunque non di rado su posizioni politiche differenti, al momento della loro elezione, nel 2022, Sara Duterte e Ferdinand Marcos Jr. avevano promesso pace e unità nazionale.
Subito dopo le elezioni, l’area politica di Sara Duterte aveva chiesto a Marcos di assegnare a persone a lei vicine e alleate metà degli incarichi di governo, richiesta che il presidente non aveva accettato. Uno dei primi segnali pubblici di attrito si è verificato quando a Sara Duterte è stato negato il ministero della Difesa che lei aveva espressamente detto di volere. Nel maggio del 2023, il parlamento ha poi inaspettatamente rimosso dal ruolo di presidente della Camera Gloria Macapagal Arroyo, considerata molto vicina a Sara Duterte.
Presidente e vicepresidente hanno poi avuto divergenze sui fondi da destinare ai servizi segreti del paese, sulla riforma della Costituzione, ma soprattutto sul rapporto delle Filippine con gli Stati Uniti e la Cina. Per Marcos gli Stati Uniti sono degli alleati affidabili che possono aiutarlo a contrastare le rivendicazioni territoriali e le incursioni della Cina nel mar Cinese Meridionale. Al contrario Sara Duterte, il cui padre ha spesso preso posizioni molto decise contro gli Stati Uniti, non ha mai criticato la Cina. «Mentre avrebbero potuto negoziare sulle questioni locali, sul fatto se essere pro-Cina o pro-USA, non è stato raggiunto alcun compromesso», ha affermato Ranjit Singh Rye, professore associato di scienze politiche all’Università delle Filippine.
Lo scorso giugno è arrivata la rottura: Sara Duterte si è dimessa dai suoi incarichi ministeriali, da ministra dell’Istruzione e da vicepresidente di un ente che si occupa di contrastare le insurrezioni armate nel paese. Questo conflitto ha reso anche più concreti i rischi giudiziari che Rodrigo Duterte deve affrontare a causa del periodo della “guerra alla droga”. Il nuovo presidente ha infatti deciso di portare la questione in parlamento e ha anche permesso alla Corte penale internazionale, che sta indagando su Duterte, di inviare dei funzionari nelle Filippine per condurre direttamente le indagini.
Alcuni osservatori ipotizzano che queste ultime decisioni del presidente siano un modo per indebolire la dinastia politica dei Duterte. È infatti possibile che Sara Duterte si candidi alla presidenza una volta terminato il mandato di Marcos, nel 2028, e per ora i sondaggi mostrano un ampio consenso nei suoi confronti.