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  • Martedì 29 ottobre 2024

Anche la Germania nazista era per molti un “paese sicuro”, dice il tribunale di Bologna

Secondo i giudici è un paradosso che spiegherebbe cosa non va nelle motivazioni con cui il governo vuole respingere i richiedenti asilo provenienti da certi paesi

Una nave della Guardia costiera lascia il porto di Shengjin, in Albania, per tornare in Italia, 19 ottobre 2024 (AP Photo/ Vlasov Sulaj)
Una nave della Guardia costiera lascia il porto di Shengjin, in Albania, per tornare in Italia, 19 ottobre 2024 (AP Photo/ Vlasov Sulaj)

Il tribunale di Bologna ha chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di esprimersi sulla legittimità del decreto-legge sui “paesi sicuri” approvato una settimana fa dal governo italiano: i giudici dovevano valutare il ricorso di un richiedente asilo proveniente dal Bangladesh, la cui richiesta era stata respinta dalla commissione territoriale poiché proveniente da un paese appartenente alla lista di quelli considerati “sicuri” dal decreto.

– Leggi anche: La sentenza europea che ha causato il rilascio dei migranti in Albania

Ma la questione è controversa proprio per via di una sentenza europea che contraddice la definizione che dà il governo di “paese sicuro”. La sentenza riguardava un altro caso, ma stabiliva il principio secondo cui un paese, per essere definito “sicuro”, deve esserlo in tutto il suo territorio in modo omogeneo, e per tutte le persone che ci vivono. Sulla base di questo principio i giudici del tribunale di Roma, il 18 ottobre, non avevano convalidato il trattenimento dei 12 migranti portati nei centri in Albania costruiti dal governo, visto che provenivano da Egitto e Bangladesh, due paesi in cui i politici di opposizione e le comunità LGBTQ+ vengono spesso perseguitati. Il governo era poi intervenuto con il decreto, e ora i giudici del tribunale di Bologna hanno rinviato il caso che dovevano esaminare alla Corte, per chiarire ulteriormente la questione.

Nella richiesta, citata dal Corriere della Sera, hanno scritto:

Si potrebbe dire, paradossalmente, che la Germania sotto il regime nazista era un paese estremamente sicuro per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca: fatti salvi gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici, le persone di etnia rom ed altri gruppi minoritari, oltre 60 milioni di tedeschi vantavano una condizione di sicurezza invidiabile. Lo stesso può dirsi dell’Italia sotto il regime fascista. Se si dovesse ritenere sicuro un Paese quando la sicurezza è garantita alla generalità della popolazione, la nozione giuridica di Paese di origine sicuro si potrebbe applicare a pressoché tutti i Paesi del mondo, e sarebbe, dunque, una nozione priva di qualsiasi consistenza giuridica.

Il tribunale tra le altre cose chiede alla Corte europea se il decreto-legge debba essere applicato, visto che le norme europee prevalgono su quelle nazionali, e scrive che «il sistema della protezione internazionale è, per sua natura, sistema giuridico di garanzia per le minoranze esposte a rischi provenienti da agenti persecutori». Chiede quindi di chiarire «se la presenza di forme persecutorie» nei confronti di minoranze etniche o religiose, donne esposte a violenza di genere oppure a persone della comunità LGBTQ+, per esempio, escluda la designazione come paese sicuro e, di conseguenza, se sia dovere dei giudici disapplicare le disposizioni della legge ordinaria.

Nel caso dei migranti in Albania, il tribunale di Roma aveva stabilito che Egitto e Bangladesh non potessero essere ritenuti sicuri, generando animate proteste nel governo contro la magistratura. Nel decreto-legge è stata quindi inserita una lista di “paesi sicuri” simile a un’altra già approvata a maggio, nel tentativo di aggirare la sentenza europea e mantenere attivi i centri in Albania. In quei centri l’Italia può portare solamente persone provenienti da paesi “sicuri”, le cui richieste di asilo vengono analizzate attraverso una procedura accelerata e mentre il richiedente si trova in uno stato di detenzione.

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