Che posto è Salò
Quasi tutti la associano al fascismo, ma oggi è una cittadina turistica come altre sul lago di Garda, dove alcuni vorrebbero superare lo stereotipo
di Laura Fasani
Per chi vive in provincia di Brescia Salò è un bel posto che d’estate si riempie di turisti stranieri. Tutto il resto d’Italia associa più facilmente il nome “Salò” al fascismo, e in particolare alla “Repubblica di Salò”, come venne chiamata a un certo punto la Repubblica Sociale Italiana (RSI), il regime fascista controllato dalla Germania nazista che governò l’Italia settentrionale dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943, durante la Seconda guerra mondiale.
È un’associazione che però alcuni residenti di Salò vogliono superare. Per questa ragione domenica pomeriggio c’è stata una manifestazione in piazza Vittoria, a fianco della sede del comune sul lungolago del Garda: l’ha organizzata un gruppo di ventenni del posto nato spontaneamente un mese e mezzo fa, che per il presidio ha scelto uno slogan piuttosto eloquente, «Non fare di tutta Salò un fascio». La data del 27 ottobre non è casuale: è il giorno prima dell’anniversario della marcia su Roma, avvenuta il 28 ottobre del 1922 e ricordata come l’inizio della presa del potere fascista in Italia.
Ogni anno a Salò il 28 ottobre un gruppo di nostalgici organizza una cena commemorativa in un ristorante del paese. Negli anni passati uscirono anche video e fotografie di quello che avveniva durante la cena, con i partecipanti che facevano saluti fascisti e usavano altre simbologie associate a quel periodo: fecero un po’ di scalpore, ma non hanno mai impedito che la cena si ripetesse negli anni successivi. «Tutti lo sanno, ma non se ne parla», dice Lorenzo Pozzan, 23 anni, uno degli organizzatori della manifestazione, che è stata un evento inusuale per il paese e aveva l’obiettivo di prendere le distanze sia dai nostalgici che da un’idea riduttiva di Salò appiattita sul suo passato. In paese non si parlava di fascismo e antifascismo così apertamente da un pezzo.
Salò è un comune di diecimila abitanti oggi conosciuto in Lombardia e all'estero soprattutto per essere una meta turistica. Con il suo golfo è uno dei posti più noti e suggestivi del lago di Garda. Si trova a mezz’ora di macchina da Brescia, ma è facilmente raggiungibile sia da Verona in poco più di un'ora che da Milano, che è distante 120 chilometri. Si sviluppa tra il monte San Bartolomeo e il lago, sulla costa ovest del Garda: è il primo comune della cosiddetta Riviera dei Limoni (si chiama così perché a lungo la coltivazione dei limoni ha caratterizzato la costa e alcune limonaie d’epoca sono ancora visitabili), che proseguendo verso nord comprende anche Gardone Riviera, Fasano, Toscolano Maderno, Gargnano, Tignale e Limone.
Chi vive a Salò ne parla come di un paese tranquillo, ricco e con tutti i servizi di base. L’unica nota davvero dolente per gli abitanti è il traffico sulla Gardesana Occidentale, la strada statale che collega tutti i paesi del lato ovest del lago di Garda, spesso intasata durante i weekend e d’estate. Per il resto, una delle priorità dell'amministrazione comunale è trovare un equilibrio tra la città pensata per i turisti e quella per i residenti.
Andrea Maggioni è il titolare dello storico bar Italia sul lungolago ed è anche coordinatore di Confesercenti della Lombardia orientale per il lago di Garda. Dice che a Salò, a differenza di altri comuni gardesani vicini, non ci sono molti alberghi e questo fa sì che le presenze, cioè i soggiorni di almeno una notte, siano inferiori rispetto ad altri paesi del lago («a stagione Salò ne fa 240mila, Limone circa due milioni»). Gli imprenditori stanno però cercando di rafforzare l’offerta, tra hotel di lusso, campeggi e residence con molti servizi interni per accontentare i gusti dei turisti tedeschi, francesi, inglesi, americani e canadesi (questi ultimi in grande aumento sul Garda bresciano negli ultimi anni). «Salò piace molto, ma non vogliamo diventare un posto che vive quattro mesi all’anno», dice Maggioni. Per questa ragione è importante, secondo lui, investire anche sulla comunità di residenti, che tiene peraltro attivi i 256 esercizi commerciali.
La storia del paese è antica: lo si vede dalla conformazione medievale del borgo e poi dalle tracce lasciate dalle trasformazioni urbanistiche successive, come i bassorilievi sulle facciate dei palazzi che ritraggono il leone di San Marco, simbolo della Repubblica di Venezia che qui dominò dal 1426 alla fine del Settecento. In una domenica di bel tempo le persone a passeggio per il centro del paese sono parecchie. Si fermano a fare colazione o a bere un pirlo in tarda mattinata (lo spritz da queste parti si chiama così) e a guardare le vetrine dei negozi tra le viuzze interne. Qualcuno compra prodotti tipici, altri entrano a visitare il Duomo e il MuSa, il museo civico situato alle spalle del lungolago, appena oltre la strada che delimita il centro.
Pochi ricordano che Salò in passato era conosciuta anche come “Magnifica Patria”, un titolo dato da Venezia, o che fu la città natale di uno dei più importanti liutai del Cinquecento considerato l'inventore del violino per come lo conosciamo oggi, cioè Gasparo Bertolotti, più noto appunto come Gasparo da Salò. Quando si parla di questo posto si tende subito a ricordare invece la Repubblica di Salò. Questo periodo storico, per quanto ricordato e importante, all’apparenza non ha lasciato strascichi in paese: in giro non si incontrano, per dire, simboli o insegne che abbiano a che fare la RSI o che la rievochino in qualche modo.
Pozzan specifica che la manifestazione di domenica, a cui hanno partecipato circa duecento persone, non è stata però una semplice protesta contro la cena dei nostalgici. «Salò ha dato un importante contributo alla Resistenza e soprattutto non è solo il suo passato: vorremmo che si sapesse anche questo, fuori da qui, e che Salò oggi è diventata qualcos'altro. Chi contesta l’antifascismo è gente che non capisce che il mondo è andato avanti».
In piazza Vittoria c’erano anche vari iscritti delle sezioni locali dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) e del circolo Arci di Salò. «A Salò non c’è un rigurgito fascista, ma è la prima volta che si parla in pubblico di certe cose», dice Caterina Cannizzaro dell’ANPI Medio Garda. Per alcuni manifestanti è vero che a Salò esiste un «substrato di destra», ma è soprattutto qualcosa di legato al passato o al modo con cui, all’occorrenza, viene rinfocolato il mito della RSI. Giancarlo Maestri, ex sindacalista, ricorda per esempio che negli anni Settanta le famiglie benestanti di destra mandavano i figli allo stesso liceo di Salò e che il paese era frequentato da personaggi come Silvio Ferrari, il giovane neofascista bresciano morto nove giorni prima della strage di piazza della Loggia a Brescia mentre trasportava, sul pianale della sua Vespa, un’ingente quantità di esplosivo.
Più di recente, prosegue Maestri, si possono citare le gite dei nostalgici al Vittoriale degli Italiani, il complesso di edifici fatto costruire tra il 1921 e il 1938 dal poeta Gabriele D’Annunzio a Gardone Riviera, sempre in provincia di Brescia, confinante con Salò. «Salò è diventato un nome simbolico, su cui si è molto insistito anche per opportunità», dice Maestri.
La RSI non ebbe una vera capitale, ma Salò e i paesi vicini del Garda ne divennero il fulcro perché qui si insediarono alcuni dei ministeri più importanti, il comando delle forze armate tedesche e lo stesso dittatore Benito Mussolini, formalmente a capo della RSI (e ancora cittadino onorario di Salò). Mussolini era appena stato liberato dai paracadutisti tedeschi dal Gran Sasso, dove era finito dopo il 25 luglio del 1943, quando venne sfiduciato e arrestato in seguito ad alcune pesanti sconfitte subìte in guerra dall'Italia e allo sbarco in Sicilia delle forze alleate, cioè Inghilterra e Stati Uniti. Fu inizialmente portato in Germania, dove incontrò alcuni gerarchi fascisti che erano scappati dall’Italia. La RSI era un’idea della Germania, che puntava così a governare i territori italiani occupati militarmente dall’esercito tedesco. La sera del 18 settembre Mussolini annunciò la nascita della RSI su Radio Monaco, parlando di uno Stato «nazionale e sociale», «cioè fascista».
Il governo della RSI era decentrato in varie città del Nord Italia: tra gli altri, il ministero delle Finanze e quello della Giustizia avevano sede a Brescia, quello dell’Economia era a Bergamo, mentre a Venezia c’era il ministero dei Lavori pubblici. Salò e il lago di Garda furono scelti come sede di ministeri e uffici strategici, oltre che per la residenza di Mussolini, perché il confine con il Terzo Reich, la Germania nazista di Adolf Hitler, era molto vicino: l’esercito nazista aveva infatti occupato la provincia di Trento, di cui fa parte Riva del Garda, un comune a nord del lago di Garda che dista meno di cinquanta chilometri da Salò e trenta chilometri da Gargnano, dove risiedeva Mussolini, a Villa Feltrinelli.
A Salò la vecchia Villa Simonini (oggi Hotel Laurin) ospitava il ministero degli Esteri, mentre il palazzo della Croce Rossa quello della Propaganda (il MINCULPOP). Sempre a Salò c’erano anche il comando della Guardia nazionale repubblicana all’ex Collegio Civico (oggi sede del museo) e l’agenzia Stefani, l’agenzia stampa ufficiale del regime. Le comunicazioni principali del governo e i comunicati giornalistici venivano inviati da Salò e per questa ragione il nome di Salò divenne sinonimo del governo stesso, anche se la sede del Consiglio dei ministri era a Gargnano, a palazzo Feltrinelli. È infatti comune ancora oggi riferirsi alla RSI chiamandola semplicemente “Repubblica di Salò”. Mussolini rimase sul Garda fino al 18 aprile del 1945, quando fuggì a Milano e pochi giorni dopo fu catturato e ucciso dai partigiani insieme alla sua amante, Claretta Petacci.
Tutta la storia della RSI è raccontata in una sezione del MuSa aperta a luglio del 2023, intitolata appunto L’ultimo fascismo 1943-1945 – La Repubblica sociale italiana. Si trova all’ultimo piano del museo (che sugli altri piani racconta la storia di Salò) ed è divisa in due ambienti. Il percorso interattivo si articola tra pannelli espositivi arricchiti con cimeli, sculture, opuscoli, prime pagine di giornali, manifesti e installazioni multimediali. Oltre alla spiegazione di cosa fu la RSI, una parte dei pannelli si concentra brevemente sulla persecuzione contro gli ebrei e sulla Resistenza. Quando la sezione fu inaugurata, il presidente del MuSa Alberto Pelizzari aveva spiegato che l’obiettivo dell’esposizione era fornire ai visitatori uno «strumento di lettura storica alla portata di tutti e insieme rigoroso». L’ANPI criticò l’allestimento dicendo, fra le altre cose, che non evidenziava abbastanza il ruolo subordinato di Mussolini alla Germania. Domenica in piazza Vittoria, Caterina Cannizzaro dell'ANPI Medio Garda ha aggiunto che il fatto che esista una sezione dedicata alla RSI a Salò è problematico perché non fa che rafforzare l’associazione tra fascismo e il paese. Finora comunque la sezione sta piacendo: per il MuSa ha dato anzi un contributo decisivo all'aumento dei visitatori del museo (15.208 da fine marzo, mese di apertura del museo, a oggi contro i 13.372 nello stesso periodo dello scorso anno).
Roberto Chiarini è uno storico e presiede il Centro studi e documentazione sul periodo storico della RSI a Salò: insieme a Elena Pala e a Giuseppe Parlato ha curato la sezione sulla RSI al MuSa. Per Chiarini l’esposizione non lascia spazio ad alcun tipo di ambiguità e non incentiva l'associazione tra Salò e il fascismo, già molto presente. Dice che i luoghi di richiamo per i nostalgici sono altri, come Predappio o, per stare nei paraggi, la Piccola Caprera a Ponti sul Mincio, in provincia di Mantova. «È una pagina di storia che si lega ineluttabilmente nell’immaginario e nella riflessione storiografica a Salò. La RSI è inoltre fondamentale per capire il Novecento italiano, perché il neofascismo che poi sfociò nel terrorismo nero durante gli anni Settanta si ispirò alla RSI più che al Ventennio. Pertanto o si lascia quel periodo a nostalgici e neofascisti, o lo si affronta in modo critico e storiografico», dice. «D’altronde ancora oggi uno dice Salò e si pensa alla RSI: di cos’altro avremmo dovuto parlare?».
Il sindaco Francesco Cagnini, invece, insiste su una visione differente di Salò. Dice che il suo comune ha saputo andare oltre il fascismo seguendo lo stesso percorso del resto d’Italia dopo la Liberazione. Cagnini ha 28 anni ed è stato eletto lo scorso maggio con la lista Civica Salò prendendo il 40,47 per cento delle preferenze. La giunta guidata da Cagnini si è insediata dopo vent’anni di amministrazione di centrodestra con l’ex sindaco Giampiero Cipani.
Nel 2020 Cagnini fu uno degli unici tre consiglieri comunali che votarono a favore della revoca della cittadinanza onoraria a Mussolini. Ora Cagnini ha un’idea molto precisa di come vorrebbe vedere il suo comune nei prossimi anni. Descrive Salò come un paese «vivo e dinamico», animato da molte associazioni di volontariato e dai tanti studenti che arrivano da Valsabbia, Valtenesi e Alto Garda per frequentare il liceo Fermi e l’ITS Battisti. «Ci sono molte iniziative in estate per i turisti, che sulla sponda bresciana del Garda d’estate sono più di otto milioni, ma a Salò poniamo grande attenzione anche per la qualità di vita dei residenti: le rassegne e le iniziative culturali sono pensate per tutti e intendiamo investire molto nei luoghi di incontro pubblici per favorire le relazioni di chi vive qui».