Alle elezioni in Giappone la coalizione di governo ha perso la maggioranza
Per la politica del paese, caratterizzata storicamente da una eccezionale stabilità, si apre un periodo di forte incertezza
Alle elezioni che si sono tenute domenica in Giappone la coalizione finora al governo composta dal partito conservatore Liberal Democratico (PLD) e dal suo alleato, il piccolo partito buddista Komeito, ha perso la maggioranza al parlamento, che deteneva ininterrottamente dal 2012. Per la politica giapponese, caratterizzata da una eccezionale stabilità, si apre ora un periodo di forte incertezza.
Il PLD governava, di fatto, dalla fine della Seconda guerra mondiale, con due piccole eccezioni, nel 1993-1996 e nel 2009-2012. Secondo i primi risultati delle elezioni i Liberal Democratici, che avevano 247 seggi, ne hanno ottenuti meno di 200 e alcuni ministri che si erano candidati hanno perso nei rispettivi distretti. Insieme a Komeito, la coalizione finora al governo ha dunque ottenuto 215 seggi, meno dei 233 di cui aveva bisogno per mantenere la maggioranza assoluta. L’opposizione guidata dal Partito Costituzionale Democratico (PCD), un partito di centrosinistra il cui leader Yoshihiko Noda fu primo ministro tra il 2011 e il 2012, ha ottenuto invece almeno 148 seggi.
Le elezioni in Giappone erano state indette dal primo ministro Shigeru Ishiba il primo ottobre pochi giorni dopo essere stato nominato capo del governo in seguito alle primarie interne al PLD dopo le dimissioni del suo predecessore, Fumio Kishida. Dopo le primarie Ishiba era stato eletto segretario del PLD ed era poi diventato automaticamente primo ministro, in base alla norma per cui il leader del partito di governo è anche il leader del governo stesso. Ishiba avrebbe potuto godere di una maggioranza schiacciante in parlamento e avrebbe potuto guidare il Giappone fino alla scadenza della legislatura, alla fine del 2025. Ma per cercare di dare legittimità alla sua nuova leadership, indebolita da scandali su presunti fondi politici irregolari, aveva deciso di indire nuove elezioni, molto rapidamente. La campagna elettorale è durata meno di un mese e nelle ultime settimane i sondaggi avevano indicato che i consensi dei Liberal-Democratici erano in notevole calo.
Secondo diversi giornali il risultato delle elezioni è legato al rifiuto dei cittadini giapponesi nei confronti del PLD per gli scandali su dei presunti fondi raccolti in maniera irregolare che l’hanno coinvolto, per l’aumento dell’inflazione e in generale a un peggioramento delle condizioni di vita.
Non è chiaro che cosa succederà ora: i partiti progressisti che si oppongono al PLD sono frammentati e per ottenere un numero di seggi sufficienti per determinare un cambio di governo dovrebbero riuscire ad accordarsi tra loro. Sembra però più probabile che per arrivare alla maggioranza assoluta il PLD e Komeito riescano ad allargare la loro coalizione. Potrebbero dunque includere il Partito Democratico per il Popolo, un partito centrista che chiede un abbassamento delle tasse e che ha quasi quadruplicato i propri seggi passando da 7 a 26, oppure il Partito dell’Innovazione, una formazione populista e antisistema che ha fatto campagna elettorale soprattutto contro la corruzione politica e che ha perso dei seggi rispetto alle precedenti elezioni ottenendone comunque più di 30. In ogni caso il PLD e Komeito perderebbero la loro centralità. Non è nemmeno chiaro se Ishiba riuscirà a rimanere primo ministro.
Commentando i primi risultati, Yoshihiko Noda ha detto che se l’opposizione avesse avuto più tempo per la campagna elettorale i diversi partiti che la compongono avrebbero avuto la possibilità di coordinarsi meglio per evitare sovrapposizioni di candidati in distretti fortemente contesi e ottenere dunque risultati migliori. Noda ha anche detto che all’opposizione è stato «impedito di farlo perché il primo ministro ha deciso di sciogliere la camera bassa prima del previsto». Ha dunque aggiunto che le opposizioni hanno dovuto fare del loro meglio con il tempo che avevano a disposizione e che comunque hanno raggiunto il loro obiettivo che era impedire alla coalizione di governo di ottenere la maggioranza.