Chi e cosa c’è in ballo alle elezioni in Liguria
Oltre alla presidenza della regione, ovviamente: protagonisti, locali e non solo, di una competizione che sembrava scontata e invece non lo è
Domenica e lunedì si terranno le elezioni regionali in Liguria, convocate in anticipo dopo le dimissioni del presidente Giovanni Toti, esponente del centrodestra, coinvolto in un’inchiesta della procura di Genova nella quale era accusato di corruzione. I candidati sono nove, ma la competizione vera è tra l’ex ministro del Partito Democratico Andrea Orlando e il sindaco di Genova Marco Bucci.
Intorno a queste elezioni si è andata alimentando una polemica che è andata ben oltre le sole questioni locali, e come sempre accade da un lato e dall’altro si proverà a interpretare il risultato in chiave nazionale, strumentalizzandolo in maniera più o meno palese, anche in virtù del fatto che quelle liguri sono le prime di tre elezioni regionali ravvicinate. Il 17 e il 18 novembre si voterà infatti anche in Umbria e in Emilia-Romagna.
Difficilmente, in realtà, l’esito delle elezioni liguri avrà grosse ripercussioni sulla tenuta del governo e delle coalizioni. Ma indubbiamente il risultato influenzerà anche la politica nazionale, contribuirà un po’ a rafforzare o a indebolire questo o quel leader, suggerirà ai partiti di seguire certe tattiche o certe altre. Per questo, oltre a coinvolgere direttamente i candidati e gli esponenti politici liguri più importanti, le elezioni tirano in ballo indirettamente anche i protagonisti della politica nazionale, da Giorgia Meloni a Elly Schlein.
Andrea Orlando
Orlando è spezzino di nascita, ha un padre napoletano e una madre fiorentina. Esordì nelle giovanili del PCI ligure. È stato cinque volte deputato e tre volte ministro, ed è da almeno dieci anni uno dei dirigenti più importanti del PD, di cui è stato anche portavoce e vicesegretario, nonché capo della più strutturata corrente della sinistra interna. Si porta un po’ dietro lo stigma del grigio funzionario di partito, e su questo tema insistono molto i sostenitori di Bucci: lo accusano di aver sempre pensato alla politica romana, di non essersi mai interessato granché alla sua terra, di essersi candidato alle elezioni del 2018 per la Camera nel collegio elettorale di Reggio-Emilia. Durante un’intervista, nelle fasi finali della campagna elettorale, ha parlato delle «cinque province» della Liguria, che però di province ne ha quattro, e questo ha contribuito ad alimentare la retorica di chi lo considera un po’ estraneo alla vita locale.
Lui questa accusa ha provato a ribaltarla, mostrando il prestigio delle sue relazioni politiche anche a livello internazionale, e ottenendo così gli endorsement ufficiali della vicepresidente spagnola Yolanda Diaz, dell’ex presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz e dell’ex commissario europeo al Lavoro Nicolas Schmit.
A questa candidatura Orlando pensava da mesi, fin dai tempi non sospetti in cui nulla lasciava presagire la fine anticipata del mandato di Giovanni Toti. Quando, durante le feste natalizie, pubblicò su Facebook alcune foto con le luminarie montate fuori da casa sua (installazione di cui andava molto fiero), alla Camera ci fu chi gli fece notare che era un modo per esaltare la sua «dimora proletaria», un modo per mostrarsi vicino al popolo, e insomma un espediente elettorale. Lui negò. Ma quando Schlein gli offrì la candidatura da capolista nella circoscrizione Nord-Ovest per le elezioni europee di maggio, e lui rifiutò, a quel punto fu chiaro che stava pensando davvero alla Liguria.
All’epoca la vittoria del centrosinistra sembrava scontata per via delle vicende giudiziarie costate le dimissioni a Toti, e alcuni colleghi del PD dissero malevolmente che non a caso si era candidato sapendo di poter facilmente trionfare, altrimenti non ci avrebbe provato. Ora che il confronto con Bucci si è fatto aspro, e che l’esito delle elezioni è più incerto di come appariva, per Orlando questa è di fatto la prima occasione per misurare in modo diretto il suo consenso popolare, in tanti anni di carriera. A suo sostegno c’è una coalizione assai litigiosa: sulle sue liste si sono infatti scaricate le tensioni nazionali tra i leader del cosiddetto «campo largo», e alla fine il veto strumentale posto da Giuseppe Conte su Matteo Renzi lo ha portato a dover rinunciare ad alcuni candidati di Italia Viva che potevano dargli un po’ di copertura al centro e coi settori imprenditoriali della regione.
Marco Bucci
Un anno fa era considerato da tutti il candidato ideale per il «dopo-Toti». Ma all’epoca nessuno immaginava né il tracollo della giunta regionale, né soprattutto l’aggravarsi della sua malattia, un «tumore metastatico alle ghiandole linfatiche del collo» che gli lascia verosimilmente pochi anni di vita, ha raccontato lui stesso. Per questo, a quasi 65 anni, dopo una lunga esperienza da manager nel settore farmaceutico e dopo quasi due mandati da sindaco di Genova apprezzati in maniera perlopiù trasversale, la sua carriera sembrava conclusa. Per mesi i leader locali e nazionali del centrodestra hanno cercato invano un candidato solido, ma per un motivo o per l’altro tutte le ipotesi prese in considerazione sono state scartate. Finché Giorgia Meloni non lo ha chiamato e lo ha convinto, dopo una mezz’ora di chiacchierata al telefono, a vincere le resistenze di sua moglie – che lo vorrebbe a riposo – e ad accettare la candidatura.
Proprio la malattia è una delle incognite che potranno determinare, in un senso o nell’altro, il risultato delle elezioni. Da un lato c’è una diffusa empatia, una vicinanza emotiva nei confronti di un uomo che ha deciso di imbarcarsi in una sfida complicata proprio in un momento delicato della sua vita; dall’altro, specie in una città come Genova abituata a badare al sodo, c’è chi considera come un azzardo affidare la regione a un candidato che potrebbe non portare a termine il suo mandato. Secondo molti commentatori locali, a seconda di quale sentimento prevarrà, le elezioni potranno avere un esito oppure un altro. Di certo lo aiuta l’essere stato per sette anni sindaco di Genova, una città dove vive più o meno la metà del milione e mezzo di abitanti dell’intera regione.
Durante la campagna elettorale, Bucci ha mantenuto un piglio polemico, mostrando il suo carattere notoriamente ostinato. Ha rivendicato i tanti sforzi per rilanciare Genova e le zone limitrofe a livello di infrastrutture, e ha descritto Orlando ostaggio dell’ambientalismo e delle pulsioni “antisviluppiste” del M5S: «Se vince la sinistra, qui si blocca tutto» è il suo slogan ricorrente. Nella regione più anziana d’Europa, con un tasso di ultrasettantenni altissimo, ha promesso l’abbattimento delle liste d’attesa negli ospedali: è una promessa irrealistica, fatta peraltro cercando di non far notare troppo che nel frattempo il governo nazionale, che è della sua stessa parte politica, si sta inimicando medici e infermieri.
Toti, Rixi e Scajola
Bucci è una specie di solista, e in questa campagna elettorale ha badato poco alle beghe politiche che affliggono la sua coalizione. Ma ci sono comunque personaggi che possono risultare determinanti, per un verso o per l’altro, in queste elezioni.
Uno è Toti, che ha monopolizzato, solo in parte contro la sua volontà, buona parte dei dibattiti preelettorali. Orlando lo ha menzionato spesso per accusare Bucci di essere contiguo a Toti e al suo modo di governare. «Si scrive Bucci, si legge Toti», ha detto più volte Orlando. Bucci si è difeso con un po’ di imbarazzo dalle accuse di affarismo, anche se non è stato direttamente coinvolto nell’inchiesta di Genova. Ma l’atteggiamento di Toti ha sorpreso e infastidito i suoi stessi compagni di coalizione.
I dirigenti locali di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia si sono a lungo spesi per denunciare l’accanimento dei magistrati nei suoi confronti, salvo poi scoprire che lo stesso Toti aveva trovato un accordo con la procura per patteggiare una condanna. Per l’ordinamento italiano il patteggiamento non è un’ammissione di colpevolezza, anzi, ma tra gli alleati di Toti la decisione ha comunque generato malumori, anche per i tempi: Toti ha infatti definito l’accordo appena due giorni dopo l’annuncio della candidatura di Bucci, e senza condividere questa scelta con nessuno, finendo più o meno volontariamente per oscurare l’inizio della campagna elettorale. E il fatto che Toti continui a fare interviste e dichiarazioni con cadenza quotidiana complica un po’ il lavoro di Bucci, che invece vorrebbe ridimensionarne la presenza e l’influenza.
– Leggi anche: I rapporti tra Giovanni Toti e il centrodestra erano complicati da tempo
Un altro personaggio che ha avuto un ruolo non trascurabile è Edoardo Rixi, storico dirigente della Lega in Liguria. Ma è anche molto più di questo. Da viceministro dei Trasporti, è il funzionario che manda avanti la “macchina” del ministero, che risolve i problemi e che tiene d’occhio le varie pratiche, mentre Salvini, che pure sarebbe il titolare, fa più che altro il lavoro del leader di partito. Si è a lungo parlato proprio di Rixi come candidato del centrodestra alle regionali: ma un po’ per tatticismi interni alla coalizione, un po’ per rimostranze sue, un po’ per non sguarnire il ministero, alla fine l’ipotesi è stata accantonata.
Rixi è stato però decisivo nello stoppare le ambizioni di Ilaria Cavo, la deputata genovese che Toti avrebbe voluto come candidata, e propiziare di fatto la scelta di Bucci (e secondo molti, l’atteggiamento poco conciliante di Toti nei confronti di Bucci nasce proprio da questa delusione). In Liguria, tra le altre cose, Rixi è l’uomo che gestisce i rapporti con imprenditori e industriali, che si occupa dei lavori per le infrastrutture, che tiene contatti e relazioni. E anche per questo ha deciso di candidarsi come capolista (cioè il primo nome nell’elenco dei candidati leghisti): una candidatura virtuale, visto che di certo Rixi non lascerà il ministero per andare in Consiglio regionale, ma che dal suo punto di vista serve a consolidare questo suo ruolo di “protettore” di Bucci, e soprattutto attrarre maggiori consensi al suo partito, che rischia anche in Liguria, come un po’ ovunque nel Nord e non solo, di andare molto peggio di Fratelli d’Italia.
Poi c’è Claudio Scajola, detto «l’intramontabile». È stato più volte ministro nei governi di Berlusconi, e a lungo uno dei tre o quattro dirigenti di Forza Italia più potenti. Dopo essere stato coinvolto in varie vicende giudiziarie ed essere caduto un po’ in disgrazia, si è ritirato nella sua città di origine, Imperia, la città di cui dal 2018 è tornato a essere sindaco dopo esserlo stato più volte tra gli anni Ottanta e Novanta. Da lì, nella provincia storicamente più di destra della Liguria, ha ricostruito un radicato consenso elettorale attraverso relazioni trasversali anche con esponenti del centrosinistra, tra i quali lo stesso Orlando. Suo nipote Marco, politico ormai navigato pure lui, è stato molto vicino a Toti, che lo aveva nominato assessore all’Urbanistica nell’ultima giunta; Claudio Scajola ha invece avuto rapporti più tribolati con Toti, e ha spesso polemizzato, anche in tempi recenti, coi dirigenti locali del centrodestra, spesso definendoli incompetenti e incapaci. Quanto deciderà di spendersi in favore di Bucci, o quanto invece preferirà restare a guardare senza schierarsi troppo esplicitamente al di là delle dichiarazioni ufficiali, potrà avere un peso in queste elezioni.
Schlein e Meloni
Le elezioni liguri sono importanti anche per i leader nazionali. Più di tutti, forse, per Elly Schlein. Una vittoria in Liguria le consentirebbe di sperare davvero nel cosiddetto “cappotto”, cioè nella vittoria in tutte e tre le regioni che andranno a votare in questo autunno, il che consoliderebbe il suo ruolo di leader dell’opposizione e metterebbe in discussione le sicurezze di Meloni e del suo governo. Ma soprattutto, una vittoria eviterebbe a Schlein di dover affrontare un dibattito prevedibilmente duro intorno alla gestione delle alleanze.
La sua ambizione di allargare il più possibile la coalizione progressista si è scontrata con la contrarietà di Giuseppe Conte a stare insieme a Matteo Renzi. Alla fine, il PD ligure ha ceduto al veto del M5S, escludendo i candidati di Italia Viva dalle liste a sostegno di Orlando. L’ultima volta che era successo, nelle regionali della Basilicata dell’aprile scorso, proprio l’elettorato di centro moderato è stato determinante per decretare la vittoria del centrodestra. Lo scenario non era così diverso da quello ligure, dove la senatrice renziana Raffaelle Paita, a lungo dirigente del PD locale, avrebbe portato a Orlando le sue buone relazioni con gli industriali genovesi, specie quelli legati al porto e alle infrastrutture.
Una sconfitta del centrosinistra, specie se di misura, riaprirebbe dunque il tema ormai trito e ritrito del perimetro del “campo largo”, ed è un dibattito che logora sempre un po’ Schlein. Peraltro in Liguria, che pure sarebbe la regione di Beppe Grillo, il M5S è in grande sofferenza: ha faticato addirittura a completare le liste, per carenza di candidati, e i sondaggi gli assegnano consensi piuttosto bassi.
Dall’altro lato c’è Meloni. È stata lei a convincere Bucci, e dunque a intestarsi la sua candidatura. In un momento di difficoltà per il suo governo, alle prese con la legge di bilancio, con la questione dei centri per migranti in Albania e con un nuovo caso al ministero della Cultura, sarebbe fondamentale poter rivendicare una nuova vittoria elettorale, rimarcando un apprezzamento generale per la destra che resta piuttosto alto dopo due anni dal successo delle politiche del 2022. Anche per questo ha deciso di ripetere quanto fatto alle precedenti regionali, e cioè una manifestazione unitaria dei leader della coalizione a sostegno di Bucci, per la chiusura della campagna elettorale, che si è tenuta venerdì. Come al solito, ha sovrapposto temi locali a questioni nazionali, e queste ultime alla fine hanno occupato la parte preponderante del suo comizio.