Alle elezioni in Georgia la questione europea ha oscurato tutto il resto
Dietro allo scontro tra il governo vicino alla Russia e l'opposizione europeista ci sono molte altre questioni, spesso dimenticate
di Davide Maria De Luca e Leonardo Delfanti
Per consentire l’accesso al piccolo museo privato dedicato alla guerra del 2008 che Lia Chlachdize ha creato nello scantinato della sua abitazione, gli agenti della polizia georgiana controllano i passaporti e la procedura di autorizzazione richiede diverse telefonate ai loro superiori. Tra i poliziotti c’è un certo nervosismo, in vista delle elezioni di sabato.
Il museo di Chlachdize si trova a poche decine di metri dal confine tra la Georgia e la regione separatista dell’Ossezia del Sud, repubblica semiautonoma che formalmente appartiene alla Georgia, ma che grazie al sostegno della Russia si governa di fatto in maniera indipendente. In Ossezia del Sud la Georgia ha combattuto due guerre: una negli anni Novanta, subito dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica, e una nel 2008, quando la Russia, in sostegno ai separatisti dell’Ossezia, invase la Georgia.
Fino al 2008 Chlachdize viveva oltre il confine fortificato, in Ossezia, ma ha perso la sua casa durante il conflitto, quando molti georgiani furono espulsi dalla regione. Il museo, dove ha raccolto qualche oggetto militare e poche fotografie, è il suo personale santuario per preservare la memoria del conflitto e della sua esperienza: Chlachdize ha perso la sua casa dopo la guerra nel 2008 e, prima ancora, suo marito nella guerra degli anni Novanta.
Dato Jebosashvili, un veterano della guerra del 2008, riconosce alcune delle fotografie appese alle pareti e mormora un paio di nomi: «Beridze, Shatberashvili», commilitoni caduti in combattimento. «La guerra è stata breve – dice, parlando della guerra del 2008 – Cinque giorni, ma in quel breve periodo sono successe così tante cose. Per alcuni, quelle giornate sono durate un’eternità. Ogni secondo è stato dolore».
Alle elezioni di sabato 26 ottobre Jebosashvili e Chlachdize voteranno per l’opposizione pro-europea. La Georgia è governata da 12 anni da Sogno Georgiano, un partito populista guidato dall’oligarca Bidzina Ivanishvili, la cui maggioranza, secondo i sondaggi, è in bilico dopo una lunga permanenza al potere. «Voglio che la Georgia entri nell’Unione Europea», dice Chlachdize, indicando la bandiera europea che ha appeso nel suo giardino, sopra una pianta di rose. «Questo governo se ne deve andare il prima possibile».
In Occidente le elezioni in Georgia sono state presentate quasi esclusivamente come un grande referendum sull’Europa: da un lato Sogno Georgiano, filorusso e con tendenze autoritarie, che sta riportando il paese nell’orbita della Russia, e dall’altro un’opposizione che chiede maggiore integrazione con l’Europa e con l’Occidente. La questione europea è certamente uno dei temi fondamentali delle elezioni, e una delle ragioni delle grandi proteste che si sono tenute nel paese nel corso dell’anno. Non è tuttavia l’unica.
A pochi chilometri dalla casa di Chlachdize si trova Gori, quinta città della Georgia, dove Sogno Georgiano ha grandi consensi. Gori è il luogo dove è nato il leader sovietico Josip Stalin, la cui eredità ha contribuito a mantenere la città un centro privilegiato per il reclutamento nelle forze di sicurezza e l’ha resa tenacemente leale verso i governi, qualunque essi siano.
Durante la guerra del 2008, Gori fu prima bombardata e poi occupata per un mese dall’esercito russo. Il conflitto aggravò una crisi migratoria che ha spopolato la città, facendole perdere in tre decenni quasi un terzo dei suoi 70mila abitanti. Oggi i giovani lasciano Gori per cercare fortuna nella capitale Tbilisi o in Europa – spesso nel settore delle organizzazioni non governative finanziate dall’Occidente, uno dei pochi sbocchi professionali per i giovani istruiti – mentre tra gli anziani è ancora diffusa la nostalgia per l’Unione Sovietica, legata al culto di Stalin. Ogni anno, nel giorno del suo compleanno, un gruppo di manifestanti si raduna nella piazza omonima, di fronte al museo che gli è stato dedicato e chiede di ripristinare la sua statua, abbattuta nel 2010. Gori, con le sue divisioni e contraddizioni, rappresenta piuttosto bene la condizione in cui la Georgia arriva a queste elezioni.
Il risultato è molto incerto. I sondaggi mostrano che il governo potrebbe ottenere fino al 40 per cento dei voti, sufficiente per raggiungere la maggioranza qualora qualche partito d’opposizione non riuscisse a superare la soglia di sbarramento, fissata al 5 per cento. Il sostegno al governo è particolarmente forte nelle aree rurali del paese, dove la povertà è più alta rispetto ai centri urbani e il voto è spesso influenzato dalle reti di clientela locali. Anche in caso di vittoria, sarà probabilmente di misura. I consensi di Sogno Georgiano sono in declino ormai da tempo. Dopo aver vinto le elezioni del 2012 con oltre il 50 per cento dei voti, il partito ha deluso le aspettative, fallendo nel mantenere le promesse di crescita economica, investimenti, democratizzazione e risoluzione dei conflitti con le due regioni separatiste, l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia. Soprattutto, Sogno Georgiano ha spostato la Georgia su posizioni molto vicine alla Russia di Vladimir Putin, e questo ha creato scontento in una parte ampia della popolazione.
L’opposizione è sicura di vincere. «Siamo di fronte a una scelta geopolitica. Dobbiamo vincere e vinceremo», dice Zurab Japaridze, leader del partito libertario Girchi, che fa parte di una delle principali coalizioni dell’opposizione. «L’80 per cento dei georgiani sostiene l’adesione all’Unione Europea, il 70 per cento quella alla NATO. È un’illusione pensare che possiamo rimanere neutrali».
Il problema, però, è che l’opposizione appare frammentata e non gode di un sostegno molto superiore a quello di Sogno Georgiano.
Alle elezioni i georgiani potranno scegliere tra quattro principali coalizioni di opposizione, che si sono riunite attorno alla leadership della presidente della Repubblica, Salome Zourabichvili, un’ex diplomatica francese di origine georgiana, eletta con Sogno Georgiano cinque anni fa ma divenuta una delle principali oppositrici del governo. Come lei, molti leader dell’opposizione provengono da Sogno Georgiano. Altri appartengono al Movimento Nazionale Unito, il partito dell’ex presidente Mikheil Saakashvili, a sua volta un ex alleato di Ivanishvili, il miliardario alla guida del partito di governo.
«Governo, opposizione. Sono tutti la stessa gente», dice Nona Zandarashvili, capo infermiera di una clinica nel centro di Tbilisi e presidente del sindacato Rete della Solidarietà. Con trent’anni di carriera alle spalle, Zandarashvili è una testimone diretta delle enormi difficoltà che la Georgia ha vissuto dall’indipendenza a oggi. Nel 1991, subito dopo la proclamazione dell’indipendenza, nel suo ospedale non c’erano né elettricità né stipendi.
Zandarashvili racconta come i decenni successivi furono pieni di difficoltà, senza diritti per i lavoratori e senza cure decenti per i pazienti. «Nella sanità la priorità è il business», dice. Per arrivare a uno stipendio di 1.500 lari, circa 500 euro, un infermiere ha bisogno di tre lavori. La legislazione non prevede alcuna tutela per i dipendenti, e i proprietari degli ospedali cambiano di continuo i contratti, alternando criteri fissi e legati alla produttività a seconda di quali consentono di pagare stipendi più bassi. Zandarashvili dice che una volta le è stato proposto un contratto che prevedeva, in caso di dimissioni, il divieto di lavorare come infermiera per cinque anni. Molti infermieri lasciano il paese e spesso trovano lavoro in Grecia e in Italia come assistenti domiciliari. Gli ospedali sono costretti ad assumere studenti di medicina, che emigrano non appena terminano gli studi.
«In campagna elettorale nessuno tocca questi argomenti. Si parla solo di scegliere tra Bidzina o Misha», dice riferendosi al finanziatore di Sogno Georgiano e all’ex presidente Saakashvili. Per Zandarashvili, il dibattito sull’Europa rischia di essere un modo per non affrontare i problemi del paese. «Dicono che arriverà l’Europa e staremo finalmente bene. Ma serve che l’Europa ci sgridi per pagarci buoni stipendi? Serve che l’Europa ce lo chieda per darci contratti decenti? Ci dicono che dobbiamo avere paura della Russia, ma con l’URSS almeno avevamo uno stipendio e le vacanze. Serve l’Europa per darmi le vacanze?».
Nato come partito di orientamento socialdemocratico, Sogno Georgiano ha portato avanti politiche economiche pro-business non molto diverse da quelle dei suoi predecessori e oggi proposte dall’opposizione. Al momento è impegnato soprattutto a respingere l’accusa di essere molto vicino alla Russia – molti, a Tbilisi, concordano: il partito non è al servizio di Mosca, ma degli interessi del suo miliardario fondatore, che tuttavia ha accumulato la sua fortuna proprio in Russia. Dal partito ricordano che sono stati loro, nel 2018, a introdurre nella Costituzione la volontà di entrare nella NATO e nell’Unione Europea.
In una rara intervista rilasciata questa settimana a uno dei canali pro-governo, Ivanishvili ha assicurato che, dopo il voto, l’Unione Europea troverà un modo di lavorare con il suo governo. Ma Ivanishvili ha rivendicato anche la sua posizione sulla Russia, che ritiene un paese troppo vicino e troppo grande per rischiare di provocarlo. La Georgia, con appena 3,7 milioni di abitanti, deve rimanere neutrale, sostiene, e trovare il modo di sfruttare la sua posizione geografica a metà tra Oriente e Occidente.
La propaganda del partito è martellante su questo punto. La capitale, Tbilisi, è tappezzata di manifesti che mostrano città ucraine ridotte in macerie affiancate a idilliaci paesaggi georgiani, con la scritta «Scegliete la pace, non la guerra». Nello scontro sempre più teso con l’Europa, dopo che il governo ha approvato una legge che obbliga le ONG che ricevono fondi stranieri a iscriversi in uno speciale registro, i leader del partito hanno iniziato a riferirsi alle istituzioni europee e all’opposizione come al «partito globale della guerra».
Il governo punta molto anche sulla questione dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, le due regioni rese di fatto indipendenti e finite sotto l’influenza della Russia dopo il 2008. Ivanishvili sostiene che se la Georgia si avvicinerà alla Russia sarà possibile ripristinare l’integrità territoriale del paese, un’idea che il governo russo appare ben disposto a incoraggiare, per il momento. Nel suo ultimo comizio a Gori, dove la questione territoriale è particolarmente sentita, Ivanishvili ha detto che i georgiani devono chiedere perdono alle loro minoranze per riunificare il paese.
«Il perdono è importantissimo per risolvere i conflitti, ma deve essere accompagnato da atti concreti, altrimenti è soltanto populismo», dice Mamuka Kuparadze, regista e, come si definisce lui stesso, orgoglioso appartenente al mondo delle organizzazioni non governative. Secondo Kuparadze, il governo di Sogno Georgiano si è comportato come tutti i suoi predecessori: è arrivato al potere con grandi promesse di pace e compromesso, ma quando ha capito che si trattava di un processo lungo e difficile, ha abbandonato questa strada e, al di là delle parole in campagna elettorale, non ha compiuto atti concreti.
Kuparadze ha opinioni non sempre condivise dagli altri esponenti del settore non governativo dove, come in molti altri Paesi ex sovietici, è spesso diffusa una forma più o meno intensa di nazionalismo liberale. «Abbiamo combattuto tre guerre con le nostre minoranze e dietro tutti e tre i conflitti ci sono stati dei nostri errori». Kuparadze si riferisce alle due guerre che la Georgia ha combattuto negli anni Novanta, una contro l’Ossezia del Sud e una contro l’Abkhazia, e alla guerra del 2008.
Con il suo lavoro, che porta avanti tramite documentari e un dialogo costante con i suoi colleghi abkhazi e osseti, Kuparadze vuole dimostrare che i conflitti si possono risolvere pacificamente. «Finché Putin sarà al potere, una soluzione sarà impossibile, ma nel frattempo possiamo portare dalla nostra parte i popoli dell’Ossezia e dell’Abkhazia, dimostrare loro che possiamo offrirgli più della Russia», dice.
Oggi Kuparadze si oppone al governo e alle sue leggi che, accusa, hanno perseguitato l’intera categoria delle organizzazioni non governative: «Ci additano come il male assoluto». I timori di un’involuzione democratica della Georgia sono stati l’altro tema al centro della campagna elettorale, in particolare dopo i duri scontri tra polizia e manifestanti seguiti all’approvazione della nuova legge sulle ONG.
Il governo di Sogno Georgiano è stato accusato di minacciare i giornalisti, di aver fatto arresti arbitrari e di aver utilizzato le risorse pubbliche per la propria campagna elettorale. Due giorni prima delle elezioni il ministro dell’Interno ha convocato una conferenza stampa per ricordare, minacciosamente, che la polizia si è dotata di nuovi cannoni ad acqua e armi automatiche. Nel frattempo, i leader di governo hanno promesso di mettere fuori legge alcune formazioni dell’opposizione, citando misure simili adottate in Moldavia e Ucraina contro partiti accusati di essere filorussi.
Per i georgiani non è di niente di nuovo. «Il problema della Georgia è che i governi partono democratici e poi si perdono», dice Kuparadze. Dal governo di Eduard Shevardnadze negli anni Novanta a quello successivo di Saakashvili, terminato tra violenze e torture degli oppositori, i partiti in Georgia arrivano al potere facendo grandi promesse democratiche per poi trasformarsi in regimi autoritari.
Ma questa volta le cose potrebbero andare diversamente, dice Kuparadze. Per la prima volta, alle elezioni partecipano coalizioni di forze di opposizione: non ci sarà un unico leader carismatico e onnipotente, ma un gruppo eterogeneo che dovrà venire a compromessi e questo, dice, potrebbe essere un bene.