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  • Venerdì 25 ottobre 2024

Correre 6,7 chilometri all’ora, ogni ora, fino a quando si è gli unici a farlo

È il principio alla base delle Backyard Ultra, le ultramaratone da cortile: ci sono appena stati i Mondiali a squadre, vinti in 110 ore con più di 730 chilometri percorsi

di Gabriele Gargantini

Alcuni membri della squadra indiana ai Mondiali di Backyard Ultra di questi giorni (dal gruppo Facebook “India Backyard Ultra”)
Alcuni membri della squadra indiana ai Mondiali di Backyard Ultra di questi giorni (dal gruppo Facebook “India Backyard Ultra”)
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Si definisce ultramaratona ogni corsa a piedi che va oltre-la-maratona, che si corre su una distanza di 42 chilometri e 195 metri. Spesso gare di questa lunghezza si corrono su sentieri di montagna, nei cosiddetti eventi di “ultra trail”, che hanno in genere migliaia di metri di dislivello. In molti casi le ultramaratone si corrono su distanze standard – i 100 chilometri, le 100 miglia, o anche i 330 chilometri – oppure “a tempo”: ci sono per esempio gare di 6, 12 o 24 ore (in cui i migliori riescono a correre più di 300 chilometri). Mentre le gare ultra trail prevedono l’attraversamento di grandi ambienti naturali, la maggior parte di queste gare “a tempo” si corre su circuiti di pochi chilometri da ripetere uguali giro dopo giro.

In questo variegato panorama di gare, negli ultimi anni si sono affermate le Backyard Ultra, gare in cui l’obiettivo è percorrere – correndo o in parte camminando – 6,7 chilometri ogni ora, senza limiti di tempo o di distanza. Vince chi fa un giro più degli altri, chi riesce a correre un’ora in più. Le Backyard Ultra sono state inventate una decina di anni fa da Gary Cantrell, un barbuto settantenne del Tennessee che si fa chiamare Lazarus Lake e che unisce un forte tabagismo a un’antica e profonda passione per la corsa e le ultramaratone.

Negli ultimi giorni ci sono stati i Mondiali a squadre di Backyard Ultra, organizzati in giro per il mondo con 60 gare in simultanea da altrettanti paesi, tutte partite quando in Italia erano le 14 di sabato e finite ognuna quando non c’erano più atleti in gara. In tutto hanno gareggiato quasi mille persone, che insieme hanno completato più di 25mila giri da 6,7 chilometri, per un totale di quasi 170mila chilometri, pari a più di quattro volte l’equatore. L’ultima gara è finita in Belgio nelle prime ore di giovedì, quando gli ultimi tre atleti in gara hanno scelto di fermarsi, dopo aver fatto 110 giri (più di 730 chilometri) in 110 ore.

Nato nel 1954 in Texas, dove il padre militare si era trasferito per lavoro, Gary Cantrell si appassionò alla corsa negli anni Settanta, quando si diffuse la moda del “jogging” come pratica sportiva. Nel 1974 corse la prima di molte maratone e nel 1979 organizzò e corse la prima di molte ultramaratone, la Strolling Jim, dal nome di un cavallo da corsa. Cantrell, che prese parte anche a una 24 ore e a un tentativo di attraversare di corsa il Tennessee, iniziò a preferire l’organizzazione alla partecipazione in prima persona. Nel 1986 organizzò la prima Barkley Marathons, una gara difficilissima e oggi famosissima nel mondo del trail running, contraddistinta da regole bizzarre e peculiari tradizioni.

In pensione dal 2011, Cantrell vive con la moglie in una tenuta con molto terreno attorno a Bell Buckle, in Tennessee. Ha smesso di correre, ma continua a camminare parecchio: nel 2018 ha attraversato a piedi gli Stati Uniti in 126 giorni da est a ovest, dal Newport del Rhode Island al Newport dell’Oregon.

Oltre a siti e riviste di corsa e di ultrarunning, di lui si sono interessati anche il New York Times e il Guardian, in un articolo intitolato “In salita non fumo”. Ci sono diverse versioni – nessuna mai davvero confermata dal diretto interessato, che si diverte ad alimentare la sua stessa leggenda – sul perché iniziò a farsi chiamare prima Lazarus Lake e poi solo Laz.

Laz è stato descritto come «una contraddizione», come un genio e una sorta di “padre nobile” della ultrarunning. Lui si descrive come «un vecchio hillbilly del Tennessee», un campagnolo che vive nei boschi: un’immagine in linea con la sua lunga barba e le sue camicie di flanella. Il Guardian lo ha definito «un intellettuale amante della natura, con cui si può parlare di tutto, dal football agli effetti della tecnologia sul mondo del lavoro». Secondo lui, da direttore e ideatore di corse a piedi, il suo scopo principale è «aiutare le persone a trovare la grandezza in loro stesse».

In genere la Barkley Marathons e altre gare organizzate da Laz (come quella in cui i partecipanti vengono lasciati in un punto a sorpresa e devono da lì trovare da soli la strada verso l’arrivo) sono accomunate dall’essere estreme ed eccentriche. Buffe o parecchio inconsuete nelle premesse e però difficilissime da finire. Come dice Laz, «è facile creare gare impossibili, ed è facile creare gare per tutti. La cosa difficile è trovare quel punto in cui l’impossibile è soltanto vicinissimo».

Le Backyard Ultra sono diverse: noiose e monotone, si basano sulla ripetizione di qualcosa che quasi chiunque può fare. Che giro dopo giro diventa però qualcosa per certi versi perfino più estremo delle ultramaratone più estreme, alla ricerca di un limite che – come dimostra il recente record mondiale – è ancora tutto da scoprire. Si parte con qualcosa che possono fare quasi tutti, almeno per una manciata di giri, e si arriva a una quasi completa privazione del sonno, alle allucinazioni visive, a una forma di sfinimento fisico e mentale difficile da replicare.

Qualcuno si riposa, ma nel migliore dei casi solo per pochi minuti (dal gruppo Facebook “India Backyard Ultra”)

Laz organizzò la prima di queste corse nel 2011 e la chiamò Big Dog’s Backyard Ultra. Big Dog in omaggio al suo cane; Backyard perché la corsa si tenne effettivamente attorno alla sua casa in Tennessee (“backyard” vuol dire “cortile” o “giardino sul retro”); Ultra perché sebbene il metodo fosse inusuale, l’obiettivo era comunque di andare oltre le maratone. La distanza del percorso – 4,167 miglia (6,7 chilometri) – fu scelta perché, se moltiplicata per le 24 ore di una giornata, faceva proprio 100 miglia.

Le regole, scritte da Laz, sono le stesse fin dall’inizio. Stabiliscono la distanza e spiegano che prima che inizi una nuova ora tutti i partecipanti devono fasi trovare sulla linea di partenza, all’interno di un’area che nel gergo delle Backyard Ultra si chiama Corral, “recinto”. Ogni nuovo giro parte un’ora esatta dopo il precedente, e chi non c’è alla partenza è squalificato. Non si può partire più tardi degli altri, né prima.

Si può invece, ed è qui che sta l’aspetto strategico delle Backyard Ultra, scegliere a che ritmo correre il proprio giro: andare veloce, così da impiegarci una trentina di minuti e averne altrettanti per riposare; oppure andare piano, fare meno fatica, ma avere meno tempo tra un arrivo e una ripartenza dal Corral. In genere, scelgono tutti una via di mezzo, cercando di correre tra i 45 e i 50 minuti. I partecipanti non possono essere aiutati lungo il percorso, ma è concessa assistenza tra un giro e l’altro. Attorno al Corral, nelle gare di Backyard Ultra si vedono sedie o perfino tende allestite da chi punta a correre ore, magari giorni: posti in cui fare base tra un giro e l’altro.

Secondo le regole di Laz, alle Backyard Ultra non esiste secondo: vince chi fa un giro in più del penultimo rimasto in gara. E non è possibile continuare a fare giri in solitaria. Se si gareggia in 10 e 9 persone si fermano dopo un giro, il vincitore – fosse anche il migliore al mondo – correrebbe solo due giri. Nelle Backyard Ultra, il penultimo rimasto in gara è quindi importante tanto quanto il vincitore, perché è colui (o colei) che permette di far crescere il numero di giri. Nel gergo creato da Laz, si parla di “assist” per definire l’impegno di chi, pur perdendo, ha consentito a un vincitore di accumulare qualche giro in più.

La prima Big Dog’s Backyard Ultra fu vinta con 18 giri, nella seconda si superarono le 24 ore, e negli ultimi due anni 10 persone sono riuscite a completare più di 100 giri: lo si può vedere sul sito gestito da Laz e da sua moglie, ricco di fogli di calcolo e classifiche, e con una sorta di blog scritto da Laz. Oltre che nei risultati migliori, il movimento delle Backyard Ultra cresce anche in profondità: più di tremila persone hanno fatto almeno 24 giri e, soprattutto durante la pandemia, la popolarità delle Backyard Ultra è cresciuta parecchio.

Il movimento è cresciuto perché Laz permette che, a patto di rispettare alcune semplici regole, chiunque vuole possa organizzare una Backyard Ultra in giro per il mondo. Stime recenti fatte dal sito di ultrarunning iRunFar parlano di oltre 400 gare, per un totale di alcune decine di migliaia di partecipanti. In Italia al momento ci sono due gare associate al mondo Backyard Ultra: L’ultimo sopravvissuto, dove a Castellaneta, in Puglia, ha gareggiato la squadra italiana, e L’immortale di Monselice, in Veneto, dove questo weekend si sta svolgendo l’ultima gara italiana della stagione. Per il 2025 è in preparazione la Backyard Ultra Livata, nel Lazio.

Le tante gare in giro per il mondo sono alla base di un sistema di risultati e punteggi che permette di qualificarsi ai Mondiali. Quelli individuali si svolgono negli anni dispari in Tennessee, sul circuito della Big Dog’s Backyard Ultra; i Mondiali a squadre finiti da poco sono invece diffusi.

Ogni squadra nazionale è composta da 15 partecipanti e il punteggio della squadra si calcola sommando il numero di giri completati da ogni membro. Nel 2020 c’erano 25 paesi, nel 2022 (quando il New York Times raccontò la gara dal peculiare punto di vista della squadra ucraina) i paesi erano 37, quest’anno sono stati 61. L’Italia è arrivata ventesima con 477 punti: il migliore, Daniele Lissoni, ha fatto 55 giri. Ha vinto il Belgio, l’unico paese a superare i mille giri, anche grazie al fatto che tre suoi atleti – Merijn Geerts, Frank Gielen e Ivo Steyaert – hanno fatto 110 giri ciascuno, nuovo record mondiale di Backyard Ultra. Hanno gareggiato per 4 giorni e 14 ore, correndo 738 chilometri a testa, per un tempo effettivo (al netto dei momenti di sosta tra un giro e l’altro) di oltre 92 ore.

I tre belgi che hanno stabilito il nuovo record del mondo, 110 ore dopo l’inizio della gara (dal gruppo Facebook “Legends Backyard Belgium”)

Chi organizza o corre Backyard Ultra racconta che la corsa è la parte più facile, e che i problemi spesso sono di testa più che di gambe. In effetti, la maggior parte delle persone si ritira tra un giro e l’altro, talvolta perché si addormenta e non si ripresenta al Corral in tempo per il giro successivo. «La parte più difficile di ogni giro» dice Laz «è quella tra la sedia e il Corral».

Nei primi giri è tutto molto facile: si corre piano, riposati, chiacchierando uno con l’altro e guardandosi attorno su un percorso sempre uguale, magari prendendo punti di riferimento per regolarsi con i tempi dei giri successivi. È però importante, fin da subito, gestire l’assunzione di calorie, il cambio d’abiti e quando e come possibile il riposo, per qualcuno persino un rapidissimo sonno di qualche minuto.

Il problema è quando si inizia ad avere dei momenti-no, perché bisogna gestirli correndo, magari con sempre meno tempo prima del Corral, perché peggio stai e più vai lento, e più vai lento e meno riposi, e meno riposi e peggio stai. Anche perché, almeno per chi punta a vincere, più si è circondati da gente che sembra star bene, e più è difficile continuare: «Le persone non si ritirano quando non ce la fanno più», dice Laz, «si ritirano quando pensano di non poter vincere».

Tutta la difficoltà nella parte mentale sta nel dover fare una gara senza sapere quando finirà: in particolare tra chi punta a fare molti giri bisogna gestire il desiderio che almeno qualcuno continui a fornire l’assist necessario a continuare e la voglia, a un certo punto, di non proseguire. In tutto ciò, come capita anche in altre gare lunghe decine di ore, la fatica e l’assenza di sonno portano anche ad avere allucinazioni di vario tipo. Intervistato dal canale YouTube Esco a Correre, Antonio Di Manno, detentore del record italiano di 79 ore, ha ricordato quando dopo la 50esima ora di una Backyard Ultra gli capitò di vedere giro dopo giro «il camper di Breaking Bad parcheggiato su un albero».

Un pasto di un partecipante belga durante la gara (dal gruppo Facebook “Legends Backyard Belgium”)

Le Backyard Ultra hanno ripreso, codificato e reso relativamente famose sfide che esistono da oltre un secolo: come quelle di chi correva un miglio all’ora ogni ora, o così come le gare lunghe giorni, spesso in stadi stracolmi, di camminata competitiva. Oltre che alla pandemia e alla fama di Laz, le Backyard Ultra si stanno diffondendo perché organizzarle è relativamente facile, e perché almeno all’inizio lo è anche correrle: bastano sette giri, in sette ore, per correre più di una maratona.

Sebbene oggettivamente più noiose e paesaggisticamente meno piacevoli di una gara trail, le Backyard Ultra sono però meno solitarie. Nelle gare di ultratrail può capitare infatti di passare ore da soli, mentre nelle Backyard Ultra niente vieta di chiacchierare e farsi compagnia correndo.

Parlando di Backyard Ultra non tutti sono d’accordo, non del tutto, su quanto abbia senso spingersi oltre alla ricerca di un limite sempre maggiore, sia mentale che fisico. Già nel 2018, nell’articolo sulle Backyard Ultra intitolato “L’agonia esistenziale di una corsa senza fine”, il sito Outside scrisse: «Le imprese di resistenza estrema tendono a diventare farsesche se stanno fuori da un contesto condiviso su ciò che è considerato degno di essere fatto».

Per il futuro delle Backyard Ultra sta tutto nel capire se e quante persone continueranno a crederci e provarci, e quanto e come la crescita internazionale possa essere sostenuta o al contrario rallentata dal fatto che nelle Backyard Ultra tutto resti ancora piuttosto artigianale, con Laz solo al comando e senza grandi sponsor o società a gestire il tutto.