Cos’altro c’è nel rapporto del Consiglio d’Europa sull’Italia
Si è parlato molto del razzismo nella polizia e delle reazioni, poco delle osservazioni del governo italiano fatte prima della pubblicazione
Le discussioni sul rapporto sull’Italia pubblicato dalla Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI), organo del Consiglio d’Europa, si sono concentrate quasi solo sul passaggio in cui si parla di un diffuso razzismo nelle forze dell’ordine italiane, e sulle reazioni stizzite o stupite delle più alte cariche dello Stato, dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni al presidente della Repubblica. Nel dibattito è quindi passato in secondo piano non solo il fatto che il rapporto parla di molto altro, ma anche che tra l’ECRI e il governo italiano c’era stato uno scambio sul contenuto del rapporto prima della pubblicazione. Il governo aveva avuto modo di leggerlo, e di chiedere alcune modifiche.
Dove le modifiche non erano state accettate, come era avvenuto appunto per il tema delle forze dell’ordine, aveva ottenuto di aggiungere alcune osservazioni, in cui il governo non nega la presenza di razzismo o di pratiche come la profilazione razziale. Dice semplicemente che nelle forze di polizia è in corso una formazione per raccogliere con più efficienza i dati sui fermi e le perquisizioni, visto che il rapporto fa notare come ci sia scarsa consapevolezza sulle dimensioni del fenomeno.
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Inoltre il rapporto dell’ECRI contiene molte altre informazioni, per esempio sulla gestione dei migranti e sul rispetto dell’indipendenza della magistratura, anche queste piuttosto ignorate dal dibattito.
Il Consiglio d’Europa è un organo indipendente dall’Unione Europea che si occupa di democrazia e diritti umani. I rapporti dell’ECRI non hanno natura giuridica né dirette ripercussioni sull’Italia: sono più che altro analisi, basate su vari tipi di fonti più che su indagini o prove testimoniali. Tuttavia i rapporti sui vari paesi, pubblicati con cadenza regolare, permettono di farsi un’idea della situazione all’interno del paese su diritti, parità di genere, integrazione e su alcuni temi specifici, tra cui le forze dell’ordine. Il rapporto è lungo quasi 50 pagine e si può leggere qui in italiano.
Uno dei temi più discussi e analizzati nel rapporto riguarda per esempio i migranti e le loro condizioni di vita in Italia. Le preoccupazioni maggiori, scrive l’ECRI, riguardano i migranti irregolari, il fatto che moltissimi di loro vivono per strada o comunque in insediamenti informali e non sicuri e, soprattutto, la loro esposizione allo sfruttamento del lavoro nell’agricoltura e nel lavoro domestico. A questo proposito il rapporto dell’ECRI dice che l’Italia non ha ancora adottato misure sufficienti a tutelare i migranti che eventualmente scelgano di denunciare i casi di sfruttamento: al momento chi lo fa è molto esposto ad abusi e violenze compiute come atto di ritorsione.
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Un’altra questione riguarda gli attacchi, da parte di politici ed esponenti del governo, alle organizzazioni che si occupano di migranti, come le ong che li soccorrono in mare. Non solo: il rapporto parla anche delle critiche, definite «indebite», nei confronti dei giudici che volta per volta decidono su casi legati all’immigrazione: «L’atmosfera creata dai discorsi politici sul tema della migrazione mette in pericolo le attività delle ong che forniscono sostegno ai migranti e mina l’indipendenza della magistratura quando si occupa di casi di immigrazione», scrive l’ECRI.
Sempre sui migranti, l’ECRI parla di molte criticità relative all’integrazione, all’accesso a servizi pubblici come sanità e istruzione e alle complicazioni nell’ottenimento della cittadinanza, tra le altre cose. Il fatto che la gestione di molti servizi sia affidata soprattutto a regioni e comuni, dice il rapporto, alimenta una situazione molto disomogenea sull’integrazione, e per questo l’ECRI raccomanda l’introduzione di meccanismi di coordinamento più solidi e centralizzati per gestire l’integrazione.
L’ECRI cita per esempio il caso di alcune scuole italiane che, in violazione delle regole, subordinano l’iscrizione dei bambini alla presentazione di una “prova di residenza” di cui i genitori dei bambini non sono necessariamente in possesso, per esempio se sono richiedenti asilo: l’accesso alla scuola dell’obbligo dovrebbe invece essere garantito a tutti i bambini, indipendentemente dal loro status giuridico.
Per quanto riguarda la discriminazione razziale, l’ECRI ha criticato il modo in cui in Italia è gestito l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR), un organo del governo che esiste dal 2003 e che si occupa di contrasto al razzismo. L’ECRI ha indicato una serie di progressi permessi dall’esistenza dell’UNAR, ma ha criticato il fatto che sia un organo del governo, gestito da una persona nominata dal governo e dunque non indipendente rispetto al potere politico. Per questo l’ECRI ha suggerito la creazione di un organo indipendente per monitorare la discriminazione razziale in Italia, lasciando all’UNAR più che altro il compito di elaborare volta per volta politiche e linee guida per risolvere i problemi.
Sempre sulle discriminazioni, una parte importante del rapporto è dedicata al tono del dibattito pubblico e politico italiano: l’ECRI scrive che il discorso pubblico italiano è «diventato sempre più xenofobo ed i discorsi politici hanno assunto toni divisivi e antagonistici, in particolare nei confronti di rifugiati, richiedenti asilo e migranti». A questo proposito cita, senza farne direttamente il nome, alcuni commenti sulle persone straniere fatti da Matteo Salvini quando era ministro dell’Interno, per esempio sui Rom o sulle detenute madri, e le dichiarazioni razziste e omofobe contenute nel libro Il mondo al contrario del generale Roberto Vannacci.
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L’ECRI parla anche di come nelle scuole italiane manchi ancora una diffusa educazione all’uguaglianza, al rispetto degli orientamenti sessuali e alle questioni di genere: il rapporto accoglie positivamente l’introduzione dell’educazione civica a scuola, ma dice che su altri temi le scuole si limitano ancora a iniziative sporadiche, e in gran parte contestate, criticate ed etichettate come “diffusione dell’ideologia di genere” a scuola.
Il rapporto dell’ECRI dice che l’Italia ha fatto alcuni passi avanti sul rispetto della comunità LGBTQ+, per esempio con la legge sulle unioni civili del 2016, ma ci sono ancora persistenti discriminazioni sia nei luoghi di lavoro che nell’accesso ai servizi pubblici. Il rapporto cita per esempio il caso delle persone trans: dice che negli ospedali italiani l’informazione su come gestire casi di questo tipo è ancora scarsa, e definisce la procedura per la transizione di genere «inutilmente complicata, lunga ed eccessivamente medicalizzata».
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