A Napoli friggitorie e pizzerie non si arrendono ai divieti
I tentativi del comune di limitarle hanno avuto scarsi risultati e molti imprenditori si stanno preparando al 2026, quando cesserà il blocco introdotto lo scorso anno
Nell’annunciare la chiusura di Tattoo Records, uno storico negozio di dischi di Napoli, il proprietario Enzo Pone ha detto di sentirsi «braccato dai tavolini delle pizzerie, dei panini e degli spritz che si sono incollati» al negozio. Tattoo Records era in piazzetta Nilo, vicino a piazza San Domenico Maggiore e Spaccanapoli, una delle strade più note del centro. Negli ultimi anni le piazze e le strade strette di questa zona si sono riempite di pizzerie, bar e friggitorie. Lo scorso anno il comune di Napoli ha introdotto un divieto per limitarne la diffusione, ma finora i risultati del provvedimento sono stati piuttosto scarsi per via di alcuni stratagemmi dei commercianti che potrebbero avere effetti soprattutto dal 2026, quando il divieto cesserà.
Il gran numero di pizzerie e friggitorie è una conseguenza della crescita del turismo in città. Fino all’inizio degli anni Dieci Napoli era considerata un punto di passaggio per chi era diretto a Pompei o sulla Costiera amalfitana, soprattutto turisti americani e orientali. Con la riqualificazione del centro portata avanti dal 2015 dall’allora sindaco Luigi De Magistris e l’aumento dei collegamenti con l’estero grazie allo sviluppo dei voli low cost verso l’aeroporto di Capodichino, molte più persone iniziarono a fermarsi in città per più giorni. Aprirono i primi b&b, una tipologia di accoglienza turistica ora prevalente: secondo i dati più recenti gli affitti brevi sono quasi 11mila. Il 90 per cento di questi alloggi si trova nel centro storico, in particolare nei Quartieri Spagnoli e al quartiere Sanità, le zone con la più alta densità abitativa della città.
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Nel 2023 a Napoli ci sono state poco più di 13 milioni di presenze turistiche, un record destinato a essere superato nel 2024 e ancora di più nel 2025 quando sono attesi circa 18 milioni di turisti per via del Giubileo. Come per i b&b, anche quello dei ristoranti e del cibo da asporto è un mercato difficile da controllare per il comune, che non ha molte possibilità di intervenire. Il risultato è che nel centro storico di Napoli le pizzerie e le friggitorie hanno preso il posto di qualsiasi altro tipo di attività commerciale. «Piazzetta Nilo negli ultimi anni è diventata una realtà non tanto facile da vivere professionalmente per chi tende a vendere un prodotto diverso da una pizza o un cuoppo puzzolente di pesce scongelato male», ha scritto il proprietario di Tattoo Records.
Dal 2019 al 2022, secondo i dati del comune, nelle strade del centro i locali sono aumentati del 10 per cento ogni anno, mentre nel 2023 si stima che la crescita sia stata ancora maggiore, anche se non ci sono dati precisi. Gli affitti per gli spazi commerciali sono aumentati di conseguenza, fino a raggiungere i 160 euro mensili al metro quadro nelle zone più centrali.
Anche per questo nel luglio dello scorso anno il comune ha introdotto un divieto temporaneo di tre anni (fino al 2026) per l’apertura di nuove pizzerie e friggitorie, oltre a un divieto per l’ampliamento di quelle esistenti. Il blocco vale nelle strade principali del centro, un’area di 1,2 chilometri quadrati. Il sindaco Gaetano Manfredi ha detto che l’obiettivo è evitare una “concorrenza selvaggia” tra attività legate al cibo e quelle di tipo artigianale e commerciale. Tuttavia nel primo anno gli effetti di questo provvedimento sono stati piuttosto limitati: c’è stato un calo del 4% di locali a fronte della notevole crescita degli anni precedenti.
L’impatto trascurabile sul mercato si spiega almeno in parte col fatto che lo scorso anno, prima che entrasse in vigore il divieto, alcuni imprenditori si sono affrettati a presentare in comune la segnalazione di inizio attività, un documento indispensabile per aprire un locale. Lo hanno fatto entro la fine di settembre del 2023, cioè entro il termine fissato dall’amministrazione in vista del divieto. I due mesi di tempo concessi erano stati pensati per salvaguardare gli investimenti già avviati. Diversi imprenditori hanno quindi anticipato i tempi presentando le certificazioni in vista di aperture avvenute poi nell’ultimo anno, cosa che in parte ha vanificato il divieto.
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Ma a preoccupare il comune di Napoli è un’altra cosa che stanno facendo alcuni imprenditori della ristorazione. Negli ultimi mesi molti spazi commerciali del centro sono stati presi in affitto con la prospettiva di lasciarli vuoti fino al 2026, quando scadrà il divieto imposto dal comune. Tra due anni tutti questi negozi ora vuoti diventeranno ristoranti e friggitorie.
È successo allo stesso Tattoo Records, i cui spazi sono stati presi in affitto dal proprietario della confinante Pizzeria dell’Angelo. In un’intervista a Repubblica Napoli Antonio Elefante, proprietario della pizzeria, ha spiegato che non voleva lasciarsi sfuggire l’occasione: «Vogliamo ampliarci: lo so che non posso fino al 2026, ma ho pensato che nel frattempo Tattoo poteva acquisirlo un negozio diverso – che ne so, di fiori: quello sì che poteva aprire subito – e noi avremmo perso l’occasione». Secondo Elefante, vale comunque la pena pagare l’affitto a vuoto per due anni: «Inizio a prelevare, poi si vede: fa parte del lavoro di un imprenditore».
Repubblica la definisce una “guerra di posizionamento”, a cui stanno partecipando anche altri nomi noti della ristorazione napoletana. Anche l’agenzia immobiliare Tecnocasa, che gestisce molti spazi commerciali del centro, ha confermato altri casi di affitti “silenti” in vista della scadenza del divieto nel 2026.
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La scorsa settimana il sindaco Gaetano Manfredi ha spiegato che il comune non può andare avanti di divieto in divieto (anche a causa di possibili ricorsi) e ha chiesto al governo più poteri per introdurre vincoli permanenti. Nonostante le pressanti richieste fatte dai sindaci negli ultimi anni, infatti, la programmazione turistica e commerciale è responsabilità del governo. Vale per i negozi come per i b&b, che non possono essere limitati dai comuni. Secondo Manfredi affidare più poteri ai comuni potrebbe aiutare a raggiungere un compromesso migliore tra la libertà di impresa e la salvaguardia degli equilibri sociali e culturali delle città.
Il comune sta comunque già lavorando a nuove contromisure. Alla fine di giugno la giunta ha approvato delle linee di indirizzo per un nuovo piano del commercio: in particolare ha introdotto una serie di requisiti che i locali devono rispettare per poter avere l’autorizzazione. A seconda delle zone della città i criteri sono più o meno rigorosi. Saranno assegnati punti sulla base di alcune caratteristiche come dimensione degli spazi, numero di posti a sedere, assenza di barriere architettoniche, insonorizzazione, risparmio energetico, disponibilità di parcheggi, utilizzo di prodotti biodegradabili, aree destinate ai bambini, assenza di slot machine e videopoker, e molto altro. In questo modo il comune cerca di favorire il ritorno di altri negozi senza dover introdurre ulteriori divieti.