Uno dei pochi tennisti a parlare criticamente dell’Arabia Saudita
Il norvegese Casper Ruud ha detto che «è un paese controverso», ma che si potrebbe definire allo stesso modo anche la Cina, in cui si giocano diversi importanti tornei
La scorsa settimana si è giocato in Arabia Saudita il Six Kings Slam, un torneo di tennis che non contava per il ranking ma che assegnava ai sei partecipanti un ricchissimo montepremi (1,4 milioni di euro per partecipare, 5,5 per il vincitore, Jannik Sinner). Il torneo faceva parte dell’ampio piano di investimenti nello sport portato avanti in questi anni dall’Arabia Saudita, che secondo diversi commentatori è più che altro un tentativo di migliorare l’immagine del paese, una monarchia repressiva in cui vengono compiute gravi e accertate violazioni di diritti umani e civili: si parla per questo di sportswashing.
Sei tra i migliori tennisti al mondo hanno scelto di partecipare al Six Kings Slam: oltre a Sinner c’erano Alcaraz, Djokovic, Medvedev, Nadal e Rune, e nessuno di loro ha affrontato approfonditamente il discorso sull’ingresso dell’Arabia Saudita nel tennis. Anche tra gli altri tennisti e tenniste (l’Arabia Saudita da quest’anno ospita le WTA Finals, un importante torneo tra le migliori otto tenniste della stagione) ci sono state poche critiche, e queste sono arrivate quasi sempre da ex giocatori o giocatrici: per questo negli ultimi giorni sono state molto riprese e commentate le parole del norvegese Casper Ruud, attuale numero 8 del ranking, che ne ha parlato in un’intervista data durante il torneo ATP 250 di Stoccolma della scorsa settimana.
Ruud ha raccontato di non essere stato invitato a partecipare al Six Kings Slam, ma che in passato aveva ricevuto varie offerte per giocare in Arabia Saudita e ha deciso, per il momento, di non andarci. «È un paese controverso per molti aspetti», ha detto il tennista norvegese, che però ha sottolineato come anche altri paesi in cui i tennisti vanno abitualmente a giocare siano simili sotto certi punti di vista. Come esempio ha citato la Cina, dove ogni anno si giocano alcuni tornei (i principali sono il Masters 1000 di Shanghai, recentemente vinto da Sinner, e l’ATP 500 di Pechino): «Potremmo discutere sul fatto che i diritti umani vengano rispettati in Cina, ma ci andiamo a giocare ogni stagione». Ruud ha menzionato il caso della tennista cinese Peng Shuai, che da novembre del 2021 non si era più vista in pubblico dopo che aveva raccontato di aver subìto violenze sessuali dall’ex vicepremier cinese Zhang Gaoli.
Nell’intervista Ruud ha mostrato comunque anche una certa apertura verso la politica sportiva dell’Arabia Saudita: «So che quello che sto per dire potrebbe essere considerato sportwashing, ma ho l’impressione che bin Salman, il loro leader, voglia cambiare le cose attraverso lo sport, forse per occidentalizzare il paese». Secondo Ruud, per certi versi, l’arrivo degli atleti in Arabia Saudita potrebbe portare un cambiamento positivo. In ogni caso, per quanto finora non abbia ancora giocato in Arabia Saudita, è probabile che prima o poi anche lui dovrà farci i conti, soprattutto se, come sembra, il paese riuscirà a farsi assegnare l’organizzazione di un torneo della categoria Masters 1000 (una cosa di cui si discute da tempo): «Per il momento ho deciso di non andarci, ma sembra inevitabile che [i sauditi] avranno un ruolo importante nel futuro del tennis».