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  • Martedì 22 ottobre 2024

Il governo italiano potrà rendere operativi i centri in Albania?

Secondo i suoi esponenti sì, in base a una norma europea già approvata che dovrebbe entrare in vigore nel 2026: ma è più complicata di così

di Luca Misculin

(AP Photo/Valeria Ferraro)
(AP Photo/Valeria Ferraro)
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Una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il principale tribunale dell’Unione, sta impedendo al governo italiano di rendere operativi i centri per migranti che ha fatto costruire in Albania. La sentenza ruota intorno al concetto di «paesi di origine sicuri» e al momento sembra un ostacolo piuttosto insormontabile, anche dopo che lunedì il governo ha approvato un decreto-legge per provare ad aggirarla.

Lunedì sera però, nel corso della conferenza stampa di presentazione del decreto, sia il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano sia il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi hanno detto che entro il 2026 entrerà in vigore una nuova norma europea che modificherà la gestione dei richiedenti asilo rendendo possibile e legale l’operatività dei centri in Albania. Insomma, il governo ritiene che in un modo o nell’altro i centri verranno aperti, a prescindere dal nuovo decreto, dalle decisioni che prenderanno i tribunali nelle prossime settimane e dalle discussioni in corso in questi giorni.

Ne sono convinti anche diversi esperti di migrazione. «Nessun governo si appellerà più alla questione del “paese di origine sicuro” perché ci sarà una strada comoda per aggirarla», dice per esempio Gianfranco Schiavone, esperto di diritto delle migrazioni e presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà. È ancora presto, però, per capire davvero quali conseguenze avrà la nuova norma e se permetterà di rendere operativi i centri per migranti in Albania.

Perché il governo si è incartato, in breve
Il cosiddetto “decreto Cutro” approvato dal governo di Giorgia Meloni nel marzo del 2023 (dopo un grave naufragio di migranti al largo di Steccato di Cutro, in Calabria, nel quale morirono 94 persone), prevede che i richiedenti asilo provenienti da «paesi di origine sicuri» possano essere detenuti appena mettono piede in territorio italiano e incanalati verso una «procedura accelerata», cioè sommaria, di esame della loro richiesta di asilo. Il governo intende portare nei centri in Albania una parte dei migranti soccorsi in mare e provenienti da «paesi di origine sicuri», le cui richieste saranno esaminate con «procedura accelerata»: l’obiettivo è tenere lontane dal territorio italiano persone che probabilmente non avranno diritto a rimanerci.

“Paesi di origine sicuri” è una definizione precisa prevista da una direttiva europea del 2013: indica paesi la cui situazione interna non giustifica la fuga e la richiesta di asilo in altri paesi. Ciascun governo può presentare una lista di «paesi di origine sicuri» a cui fare riferimento: fino a lunedì la lista dell’Italia ne conteneva 22 ed era contenuta in un decreto interministeriale.

Una sentenza del 4 ottobre della Corte di Giustizia dell’Unione Europea prevede però che un paese possa essere definito «sicuro» soltanto se lo è in tutto il suo territorio e per tutte le persone che ci vivono. Di conseguenza, la sentenza implica che in Italia soltanto le persone che provengono da paesi interamente sicuri possano essere detenuti e incanalati nella «procedura accelerata».

I primi 12 richiedenti asilo soccorsi in mare e portati in Albania provenivano da Egitto e Bangladesh: due paesi che non possono essere definiti “sicuri” secondo i criteri stabiliti dalla Corte, perché sono posti estremamente ostili per alcune minoranze e per gli oppositori politici. Per questo il tribunale di Roma non ha convalidato la richiesta di detenzione nei centri in Albania presentata dalle autorità italiane (per la legge italiana la detenzione di ogni persona va convalidata da un giudice), e ha ordinato il rilascio dei 12 migranti.

Lunedì il governo ha approvato una nuova lista di «paesi di origine sicuri» tramite decreto-legge, cercando così di darle maggiore rango legislativo e forza politica: ma la sentenza della Corte è così chiara sulla definizione di «paese di origine sicuro» che difficilmente il nuovo decreto cambierà le cose.

Cosa cambierà, invece
Circa sei mesi fa, il 26 aprile, l’Unione Europea ha approvato in via definitiva il cosiddetto Patto sulla migrazione e l’asilo, una limitata riforma del Regolamento di Dublino, cioè la norma europea che indica come gestire i richiedenti asilo che entrano in territorio europeo. Entrerà in vigore a partire dal 12 giugno 2026, a meno che i 27 paesi membri siano pronti prima di quella data.

Il Patto sulla migrazione e l’asilo si compone di nove regolamenti e una direttiva. I regolamenti sono norme europee che gli stati membri devono applicare per intero, mentre le direttive contengono soltanto alcuni paletti e lasciano ai singoli stati ampio margine di applicazione. Il regolamento che modifica le procedure per gestire i richiedenti asilo nel momento in cui si presentano alle frontiere dell’Unione è noto come Regolamento sulla procedura d’asilo.

Questo modifica i casi in cui i richiedenti asilo vanno incanalati nella «procedura accelerata». Al momento gli stati possono decidere di incanalare verso una procedura accelerata, e quindi arrestare, una persona migrante che «proviene da un paese di origine sicuro», oppure che «ha indotto in errore le autorità presentando informazioni o documenti falsi», ha «distrutto o comunque fatto sparire un documento d’identità», «rilasciato dichiarazioni palesemente incoerenti e contraddittorie, palesemente false o evidentemente improbabili», e altre eventualità meno frequenti.

Il Regolamento sulla procedura d’asilo approvato quest’anno mantiene tutti questi casi ma ne aggiunge un altro, potenzialmente decisivo, all’articolo 42, paragrafo 1, comma J. Questo stabilisce che un migrante arrivato nell’Unione potrà essere detenuto e incanalato nella procedura accelerata anche se il tasso di accoglimento delle richieste d’asilo dei suoi connazionali nel paese in cui è arrivato è inferiore al 20 per cento.

Un esempio concreto: come detto, i 12 richiedenti asilo portati in Albania sono stati rilasciati perché provenivano da Egitto e Bangladesh, due paesi che non si possono ritenere “sicuri”. Di conseguenza nei loro confronti non si poteva applicare la procedura accelerata, e quindi il tribunale ha ordinato di rilasciarli (la procedura ordinaria di esame della richiesta d’asilo non prevede la detenzione, se non in casi eccezionali). Ma in Italia le persone provenienti da Egitto e Bangladesh ottengono asilo molto raramente: nel 2022 è stato respinto il 90 per cento delle richieste di asilo avanzate da persone egiziane, e il 78 per cento di quelle provenienti dal Bangladesh. Non sono disponibili dati più recenti.

Se i dati del 2022 fossero simili a quelli di oggi, e se il nuovo Regolamento sulla procedura d’asilo fosse già in vigore, insomma, i richiedenti asilo provenienti dall’Egitto potrebbero essere incanalati in una procedura accelerata a prescindere dal fatto che l’Egitto sia un «paese di origine sicuro» o meno, perché l’Italia accetta meno del 20 per cento delle richieste d’asilo presentate dai cittadini egiziani.

Fra l’altro almeno in Italia il ministero dell’Interno esercita da anni pressioni informali affinché le commissioni territoriali, cioè gli organi che esaminano le richieste d’asilo, respingano le richieste di alcune categorie di persone, oppure dei richiedenti provenienti da alcuni paesi. Sfruttando questa misura contenuta nel nuovo Regolamento, il governo potrebbe decidere a monte di respingere alcuni richiedenti asilo da un paese specifico per poi appoggiarsi a questa norma per respingere tutti gli altri che proverranno da quel paese, in un circolo vizioso.

Un’altra importante norma che potrebbe consentire al governo di aggirare in parte la sentenza della Corte di Giustizia è contenuta all’articolo 61, paragrafo 2 del nuovo Regolamento sulla procedura d’asilo. Nel testo si legge che un certo paese può  essere considerato «sicuro» anche se non si possono considerare sicure «determinate parti del suo territorio», o se nel paese non si possono considerare al sicuro «categorie di persone chiaramente identificabili». Di conseguenza potrebbero essere legittimamente incanalate verso la procedura accelerata anche persone che provengono da paesi non del tutto sicuri.

È una misura che sembra direttamente in contrasto con la sentenza del 4 ottobre della Corte di Giustizia, secondo cui invece un paese d’origine può essere considerato sicuro soltanto se lo è su tutto il suo territorio per ogni categoria di persona che ci vive. È possibile però che questa singola misura possa causare un ricorso del richiedente asilo, o che un giudice possa ritenere che servono maggiori approfondimenti per capire se quella persona viene davvero da una regione sicura. Sembra più probabile insomma che per aggirare l’intera questione legata al «paese di origine sicuro» si sfrutti il comma J dell’articolo 42.

Rimarranno, queste norme?
Ormai da mesi si discute della legittimità di vari punti del nuovo Regolamento, tra cui soprattutto il criterio del 20 per cento di respingimento delle domande d’asilo. Secondo Schiavone questo inserisce «una valutazione di tipo statistico» in una norma europea che in teoria dovrebbe fornire elementi certi per valutare singoli casi.

Qualche settimana fa l’avvocata Giulia Perin aveva notato sulla rivista Questione Giustizia che «ci troviamo di fronte al paradosso per cui il richiedente asilo che sia stato preceduto da quattro connazionali che abbiano chiesto protezione senza meritarla sarà soggetto a elevato rischio di detenzione e alla riduzione certa delle garanzie procedurali sulla base di un calcolo statistico che nulla ha a che fare con l’esame individualizzato della sua domanda».

In sostanza: è legale che un richiedente asilo debba seguire una procedura piuttosto che un’altra sulla base delle condizioni di chi lo ha preceduto quell’anno? Com’è possibile che una misura del genere rispetti le moltissime norme europee secondo cui ciascuna richiesta d’asilo va esaminata in base a criteri individuali, cioè alla singola condizione di ciascun richiedente asilo?

I dubbi sull’effettiva possibilità che i centri in Albania diventino operativi non sono legati soltanto a questo specifico punto del nuovo Regolamento sulla procedura d’asilo. L’intera procedura ha molti altri punti deboli dal punto di vista legale, relativi per esempio al trasporto dei migranti dal Mediterraneo centrale fino all’Albania e agli eventuali rimpatri di persone la cui richiesta d’asilo sarà rifiutata.

Più in generale «nessuno dei nuovi regolamenti ammette o prevede la possibilità che si possano avanzare richieste di asilo extraterritoriali», dice Eleonora Celoria, avvocata che si occupa di migrazione e collabora con ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione). Il nuovo Regolamento sulla procedura d’asilo si applica nel territorio dell’Unione Europea. Ma a mio parere non c’è alcuna base che consenta di qualificare come territorio dell’Unione uno stato terzo», come per esempio l’Albania, spiega Celoria.

«Le problematiche giuridiche dei centri in Albania sono moltissime e profonde, e hanno a che fare con l’effettività del rispetto dei diritti: va ancora accertato cioè se in quei posti esista il diritto d’asilo oppure soltanto una sua vaga parvenza», dice Schiavone.