Sull’immigrazione il governo della Polonia non è cambiato molto
Il primo ministro liberale Donald Tusk, eletto l'anno scorso tra grandi entusiasmi, ha adottato le stesse politiche dei suoi predecessori di estrema destra
Un anno fa Donald Tusk vinse le elezioni in Polonia promettendo una netta discontinuità con Diritto e Giustizia (PiS), il partito sovranista che governava il paese in modo semi-autoritario dal 2015. A dicembre divenne primo ministro, sostenuto da una coalizione europeista. Da allora Tusk si è molto impegnato per «ripristinare lo stato di diritto»: su alcune cose, per esempio depoliticizzare i media pubblici, ha avuto successo; su altre finora ha fallito, su tutte ripristinare il diritto all’aborto praticamente cancellato da Diritto e Giustizia. Sulle politiche per l’immigrazione, invece, il governo di Tusk non si è distanziato da quello precedente: anzi, le ha ulteriormente inasprite.
La scorsa settimana, giovedì, si è riunito il Consiglio Europeo, l’organo di cui fanno parte i 27 capi di Stato o di governo dei paesi membri dell’Unione. Tusk ci è arrivato cercando sostegno per la sua recente decisione di sospendere temporaneamente la possibilità di chiedere asilo politico in Polonia per le persone migranti che arrivano attraverso la Bielorussia, e l’ha ottenuto. Il comunicato conclusivo della riunione ha espresso solidarietà alla Polonia e ha aggiunto che «situazioni eccezionali richiedono misure appropriate». Tusk aveva sostenuto che i richiedenti asilo che passano da quella frontiera vengono sfruttati e spinti dalla Russia e dalla Bielorussia per destabilizzare i paesi dell’Unione.
Sempre giovedì Tusk ha partecipato a un incontro informale, precedente a quello ufficiale, dei capi di alcuni dei governi più politicamente ostili alle persone migranti: tra loro, la presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, e i primi ministri Viktor Orbán (Ungheria), Mette Frederiksen (Danimarca) e Dick Schoof (Paesi Bassi). È stata una cosa piuttosto sorprendente perché Tusk in passato si era scontrato con diversi di questi leader, specialmente con Orbán. All’incontro ha partecipato anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che negli ultimi giorni ha mostrato – come del resto vari stati membri – interesse per la creazione di centri per migranti sul modello di quelli appena aperti dall’Italia in Albania.
Giovedì inoltre il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski ha incontrato a Roma quello italiano, Antonio Tajani. I due ministri hanno detto che bisogna tenere «sotto controllo» i confini esterni dell’Area Schengen (la zona di libera circolazione di cui fanno parte quasi tutti i paesi dell’Unione, oltre a Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera). Il precedente governo polacco di Diritto e Giustizia era uno stretto alleato politico di Meloni, di cui condivide il gruppo al Parlamento Europeo (ECR): anche con il nuovo governo è rimasta una certa sintonia sulle idee per gestire i flussi migratori, nonostante Tusk guidi un partito più moderato (Piattaforma Civica), di centrodestra.
La sospensione delle richieste d’asilo non è l’unico provvedimento con cui Tusk ha preso posizioni più conservatrici: di destra, più che di centro.
Tusk è stato criticato dalle associazioni per la tutela dei diritti umani, che temono che le sue dichiarazioni – anche lui ha parlato di «riprendere il controllo» delle frontiere – possano «conferire una certa impunità agli abusi da parte delle guardie di confine». La decisione è stata contestata pure dai quattro ministri espressi dalla sinistra (Lewica), che la ritengono «incompatibile con la Costituzione». Anche il presidente della Repubblica Andrzej Duda, molto vicino a Diritto e Giustizia, ha detto che il piano rischia di penalizzare i dissidenti russi e bielorussi, ma il governo ha risposto che saranno esentati dalla sospensione.
Recentemente il governo ha reintrodotto il requisito di conoscere la lingua polacca per poter ottenere la Karta Polaka (“carta polacca”), un documento che non dà automaticamente diritto alla residenza né alla cittadinanza, ma consente di accedere a una serie di programmi di assistenza sociale e agevolazioni. Il documento può venire rilasciato a chi ha almeno un genitore o un nonno polacco, oppure a chi ha lavorato in Polonia per almeno tre anni.
Inoltre il governo ha cambiato le regole per rendere più difficile ottenere un visto, anche in seguito allo scandalo – costato molti consensi a Diritto e Giustizia – sui visti venduti da funzionari corrotti dei consolati polacchi all’estero. In uno dei casi più famosi, alcuni contadini indiani erano stati spacciati per produttori cinematografici di Bollywood.
Diritto e Giustizia resta la principale forza dell’opposizione e alle elezioni locali dello scorso aprile aveva ottenuto la maggioranza in 7 assemblee regionali su 16, risultando il partito più votato. La prima fase del mandato quadriennale di Tusk è scandita da due scadenze elettorali molto significative. Una è passata da poco: le elezioni europee dello scorso giugno, in cui Piattaforma Civica ha superato di un solo punto percentuale Diritto e Giustizia. L’altra sono le elezioni presidenziali dell’anno prossimo: per i partiti della maggioranza europeista sarebbe cruciale esprimere il presidente al posto di Diritto e Giustizia, per non esserne ancora esposti ai veti, come sta avvenendo con Duda.
Durante la campagna elettorale del 2023 il partito di Tusk aveva criticato la retorica antimigranti di Diritto e Giustizia, ma poi si è riposizionato, anche copiando agli avversari i video sui social dai toni allarmistici. I politici di Piattaforma Civica hanno accusato la destra di aver lasciato entrare nel paese, che ha quasi 38 milioni di abitanti, troppe persone migranti da Africa e Medio Oriente. Nonostante gli slogan, negli otto anni in cui Diritto e Giustizia ha governato, la Polonia è stata il paese dell’Unione che ha emesso più permessi di soggiorno (anche se la maggioranza a cittadini bielorussi e ucraini).
In sintesi il messaggio di Tusk è: loro non hanno mantenuto le promesse, noi invece stiamo contrastando davvero l’immigrazione illegale.
L’eterogeneità della sua coalizione è stato un altro limite per il governo di Tusk.
Sull’immigrazione ci sono state divisioni a sinistra, come visto. Sui diritti delle donne – uno dei temi su cui c’erano più aspettative – Tusk invece è stato ostacolato dai Popolari (PSL), il partito di ispirazione cattolica che è il più conservatore tra quelli della sua coalizione. Il governo non è riuscito a far approvare nessuna delle quattro differenti proposte di legge per liberalizzare almeno in parte l’aborto (che attualmente è permesso solo per le gravidanze che sono il risultato di uno stupro o di un incesto e per quelle che mettono in pericolo la vita della donna incinta). A fine agosto Tusk ci ha rinunciato, dicendo di non disporre di abbastanza voti nell’attuale parlamento per cambiare le cose.
Un altro disegno di legge per rendere più accessibile la “pillola del giorno dopo”, che era stato inizialmente approvato alla Camera bassa, è stato bloccato da un veto presidenziale. Per aggirarlo, Tusk ha promesso nuove direttive governative ai farmacisti. Sta infine facendo i conti con alcune resistenze istituzionali, dovute all’influenza acquisita da Diritto e Giustizia negli anni al potere. Per esempio la Corte Costituzionale, che può mettere il veto sulle leggi approvate dal parlamento, è ancora controllata da giudici vicini al precedente governo.
Nel frattempo è cominciata la campagna elettorale per le presidenziali. Diritto e Giustizia non ha ancora indicato chi candiderà, mentre è probabile che Piattaforma Civica punti sul sindaco di Varsavia, Rafał Trzaskowski. Questo clima politico, con l’inevitabile competizione tra i partiti della coalizione europeista, non faciliterà i compromessi. Tusk può comunque contare su rapporti migliori rispetto al passato con la Commissione Europea, che quest’anno ha chiuso la procedura d’infrazione aperta nei confronti del paese nel 2017 – e quindi su molti più fondi europei da spendere, in tutto circa 135 miliardi di euro.
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