Il governo ha inserito la lista di “paesi sicuri” in un decreto-legge
È un modo per darle maggiore valore istituzionale e cercare così di mantenere operativi i centri per migranti in Albania, ma non è chiaro se basterà
Il Consiglio dei ministri italiano ha approvato un decreto-legge che contiene una lista dei paesi di origine cosiddetti “sicuri” per le persone migranti, cioè ritenuti dal governo così sicuri che le richieste di asilo avanzate dai loro cittadini vengono analizzate attraverso una procedura accelerata, mentre il richiedente asilo si trova in uno stato di detenzione. Il testo del decreto non è ancora disponibile, e non è stato distribuito ai giornalisti presenti.
Questa lista di 19 paesi è molto simile a quella approvata in primavera con un decreto interministeriale. Ma approvandola tramite decreto-legge, cioè una norma che ha maggiore valore politico e istituzionale, il governo di Giorgia Meloni cercherà di mantenere attivi i centri per migranti appena aperti in Albania, da cui alcuni giorni fa i primi 12 richiedenti asilo sono stati rilasciati e portati in Italia per via di una sentenza del tribunale di Roma che ruotava attorno proprio alla lista dei “paesi sicuri”.
La sentenza del tribunale di Roma aveva provocato pesantissime critiche da parte del governo, che ha accusato un pezzo della magistratura di voler sabotare la propria azione politica. Il tribunale di Roma però aveva ordinato di rilasciare i 12 richiedenti asilo sulla base di una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, stabilendo che aveva preminenza sulla norma italiana. Proprio per questa ragione non è chiaro se il nuovo decreto cambierà le cose, e se quindi il governo riuscirà a rendere operativi i centri realizzati in Albania investendo decine di milioni di euro.
Il tribunale di Roma doveva esprimersi sui decreti di trattenimento dei 12 migranti portati nei discussi centri per richiedenti asilo in Albania costruiti dal governo italiano. Secondo un protocollo firmato fra il governo italiano e quello albanese, nei centri in Albania devono essere portati i migranti soccorsi dalle autorità italiane nel Mediterraneo centrale, a patto che siano “non vulnerabili” e soprattutto provenienti da un “paese di origine sicuro”.
Quest’ultima è una dicitura prevista da una direttiva europea del 2013 secondo cui i paesi europei possono esaminare con una procedura accelerata, e più superficiale, le persone che provengono da paesi in cui in estrema sintesi non ci sono ragioni fondate da cui scappare. Dall’anno scorso il governo italiano prevede che i richiedenti asilo incanalati nella procedura accelerata, quindi provenienti da “paesi di origine sicuri” vadano detenuti durante l’esame della loro richiesta di asilo.
Una sentenza del 4 ottobre scorso della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il principale tribunale dell’Unione, aveva stabilito però che possono essere considerati «paesi d’origine sicuri» solo quelli in cui il rispetto dei diritti umani e della sicurezza di tutti gli individui sia riconosciuto «in maniera generale e uniforme» su tutto il territorio nazionale e per tutte le persone.
Secondo questa sentenza i paesi da cui provenivano i 12 migranti, ossia Egitto e Bangladesh, così come altri paesi nella lista del governo, non potevano essere considerati sicuri: era quindi impossibile trattenere queste persone in Albania, così come lasciare che le loro richieste d’asilo venissero analizzate attraverso una procedura accelerata. In entrambi i paesi infatti gli attivisti politici di opposizione vengono spesso perseguitati, e ci sono leggi molto severe contro chi appartiene alla comunità LGBTQ+.
Col decreto di lunedì il governo ha voluto dare una maggiore legittimità politica e istituzionale alla lista dei “paesi di origine sicuri”: di solito il governo la approva con un decreto ministeriale. Il fatto che sia contenuta in un decreto-legge dovrebbe in teoria darle maggiore valore davanti a un tribunale. Nella conferenza stampa successiva all’approvazione il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha detto che il decreto «ci consente di offrire ai giudici di tutta Italia […] un parametro che sia l’applicazione di una legge al netto di qualche ondivaga interpretazione».
In sostanza il governo sta suggerendo ai giudici di dare maggiore rilevanza al decreto-legge appena approvato, invece di adeguarsi alla sentenza della Corte di Giustizia, ma al momento non ci sono certezze.
Diversi esperti di diritto già da giorni dubitano di un’operazione del genere, dato che la sentenza della Corte di Giustizia è molto chiara: i paesi di origine sicuri devono essere sicuri in tutto il loro territorio e per tutte le persone che ci vivono. Prima della sentenza della Corte comunque diversi tribunali avevano già messo in discussione la concezione di paese “sicuro” del governo, basandosi proprio sulla direttiva europea del 2013 che per la prima volta formulò questa definizione, estremamente circoscritta.
Un’altra spiegazione data durante la conferenza stampa che potrebbe generare dei dubbi è quella relativa al criterio con cui sono stati mantenuti solo 19 dei 22 paesi definiti “sicuri” lo scorso maggio: rispetto a quella lista, il governo ha eliminato tre paesi (Camerun, Colombia e Nigeria) perché, come spiegato dal ministro Piantedosi, «presentavano in alcune parti del territorio qualche problema che non li faceva considerare complessivamente e totalmente sicuri», come invece richiesto dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
La sentenza della Corte tuttavia non si riferisce solo a zone geografiche, ma anche a paesi che, per esempio, hanno leggi che di fatto legalizzano la persecuzione di specifiche categorie di persone, come i dissidenti politici o le persone appartenenti alla comunità LGBT+, cose che avvengono in diversi paesi ancora presenti nell’elenco fra cui Bangladesh, Egitto, ma anche Tunisia.