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  • Lunedì 21 ottobre 2024

I tanti problemi della rete elettrica a Cuba

Vanno avanti da tempo e hanno causato il blackout di questi giorni: le centrali sono vecchie e maltenute, e il governo non riesce a reperire abbastanza petrolio

Una casa all'Avana (AP Photo/Ramon Espinosa)
Una casa all'Avana (AP Photo/Ramon Espinosa)
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Dallo scorso venerdì pomeriggio l’isola di Cuba è senza corrente elettrica, a causa di due blackout generali che hanno causato interruzioni e problemi soprattutto nella parte occidentale dell’isola, quella della capitale L’Avana. Negli ultimi anni blackout parziali, anche di molte ore, sono stati ricorrenti a Cuba, tanto da essere considerati quasi la norma. Un’interruzione così estesa e prolungata della corrente però non succedeva da tempo, ed è dovuta a ragioni strutturali che potrebbero non risolversi rapidamente, nonostante le parziali rassicurazioni offerte dal governo.

I problemi alla rete elettrica sono uno dei tanti aspetti dell’enorme crisi di Cuba, la più grave dal 1959, quando ci fu la rivoluzione con cui Fidel Castro instaurò un regime comunista sull’isola. La crisi va avanti ormai da alcuni anni e rende difficile il reperimento di cibo, materiale edile e beni di prima necessità. Anche la rete idrica è inefficiente, con prolungate e ricorrenti interruzioni della fornitura d’acqua in varie zone del paese.

La crisi della rete elettrica è provocata da diversi fattori: un numero insufficiente di centrali elettriche e il cattivo stato di quelle presenti, tutte molto vecchie e maltenute; varie difficoltà nel reperire il petrolio necessario per farle funzionare e un aumento della domanda di elettricità da parte della popolazione. Sono problemi strutturali a cui il governo cubano sta dando risposte insoddisfacenti: negli ultimi anni, per esempio, ha definito un piano per costruire 31 centrali alimentate da energia solare, ma ci sarà bisogno di almeno uno o due anni perché le prime inizino a funzionare.

La rete elettrica cubana si basa principalmente su otto grandi centrali termoelettriche, che furono costruite oltre cinquant’anni fa e che non vengono sottoposte a una vera manutenzione da almeno 15 anni. Gli unici interventi che vengono praticati sono quelli per risolvere i guasti ricorrenti, ma si tratta di soluzioni di emergenza, insufficienti e spesso temporanee. Al momento sette delle otto centrali sono interessate da “lavori di ripristino”, complicati dalla cronica assenza di fondi.

Il blackout all’Avana e un ristorante con un generatore proprio (Nick Kaiser/dpa)

Come ha raccontato il New York Times, negli anni Settanta il regime comunista definì un progetto per costruire una centrale nucleare sull’isola: Fidel Castro mandò il suo primo figlio, Fidel Castro Díaz-Balart, a studiare fisica nucleare a Mosca, in Russia. Tornato a Cuba, a partire dal 1980 guidò il piano per la costruzione di una centrale a Juragua, nella provincia di Cienfuegos, sulla costa meridionale dell’isola: avrebbe dovuto fornire il 20 per cento del fabbisogno energetico dell’isola. In oltre un decennio di lavori fu costruita la struttura esterna di un primo reattore, ma l’opera fu poi abbandonata nel 1992, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, che era il principale partner dell’operazione. Negli anni seguenti ci sono stati vari tentativi di riprendere i lavori, con soci esteri privati, che però non hanno mai superato le fasi “esplorative”.

Già dal 2006 Cuba iniziò ad avere problemi di blackout e produzione insufficiente di energia. Allora Fidel Castro definì le centrali termoelettriche dell’isola «preistoriche» e decise di importare un gran numero di grossi generatori alimentati a diesel e benzina, che rifornivano i piccoli centri e le zone rurali. La rete attuale si basa per una parte consistente su questi generatori, che dipendono dalla fornitura di petrolio.

Nel 2018 inoltre Cuba firmò un accordo con la Turchia per la fornitura di enormi navi che funzionano come centrali elettriche mobili e galleggianti: inizialmente erano tre, nel 2022 sono diventate sette e sono ancorate nella baia dell’Avana. Anche queste sono alimentate a petrolio e gli accordi prevedevano che fosse il governo cubano a fornirlo. In questi mesi almeno alcune delle navi hanno spesso interrotto la produzione per mancanza di petrolio.

(AP Photo/Ramon Espinosa)

Cuba infatti sta faticando a importare il petrolio di cui avrebbe bisogno: il paese produce autonomamente 40mila dei 120mila barili del suo fabbisogno giornaliero, ma secondo alcuni esperti citati dal New York Times il petrolio cubano contiene una quantità alta di zolfo e metalli che possono compromettere il processo di combustione termoelettrica. Fino a pochi anni fa il resto del petrolio necessario arrivava principalmente dal Venezuela, con piccole quote da Messico e Russia.

Negli ultimi anni le importazioni dal Venezuela sono notevolmente calate: circa un decennio fa il paese inviava sull’isola 130mila barili di petrolio al giorno, a prezzi molto ridotti. Era una specie di sussidio che il Venezuela forniva a un paese politicamente vicino, in un periodo in cui la sua economia sembrava poter sostenere lo sforzo. L’attuale crisi economica del Venezuela, particolarmente grave e per certi versi simile a quella cubana, ha limitato fortemente quegli “aiuti”: al momento arrivano dal Venezuela circa 25 o 30mila barili al giorno, un terzo del necessario, in parte perché la produzione venezuelana si è ridotta, in parte perché i costi sono aumentati e solo per questa quota ammontano all’equivalente di 600 o 700 milioni di euro l’anno.

Un altro fattore che sta mettendo in difficoltà la già fragile rete elettrica cubana è l’aumento notevole della richiesta: nell’ultimo anno è molto cresciuto il numero di piccole e medie imprese sull’isola, dopo l’apertura all’iniziativa privata diventata effettiva di fatto nel 2021. Secondo il primo ministro Manuel Marrero Cruz queste imprese consumano quantità di energia elettrica elevate, tanto che i costi verranno aumentati per la categoria.

L’aumento della domanda è la ragione che il governo cubano sta citando più spesso per provare a giustificare i blackout, insieme alla difficoltà di reperire il petrolio a causa dell’embargo statunitense, perché implicano minori responsabilità (dagli anni Sessanta gli Stati Uniti impongono un duro embargo sui commerci con Cuba, che negli anni ha reso molto complicato trovare beni di consumo sull’isola).

Oltre alle aziende private, negli ultimi anni a Cuba è aumentato anche il numero di generatori e condizionatori inviati sull’isola dai tanti cubani emigrati negli Stati Uniti (più di 850mila dal 2022). Secondo i dati del Consiglio economico e commerciale tra Stati Uniti e Cuba, nel 2024 i cubani hanno importato condizionatori per un valore complessivo di 1 milione di dollari e generatori per 200mila dollari: i generatori vengono utilizzati anche per le pompe elettriche con cui spesso si sopperisce ai problemi della rete idrica, mentre i condizionatori hanno contribuito alla crescita della domanda di corrente e al sovraccarico della rete.

Infine, un’altra causa indicata dal governo per la crisi attuale sono gli effetti del passaggio dell’uragano Milton, a metà ottobre, che ha complicato ulteriormente gli approvvigionamenti di petrolio e altro carburante. Nel 2022 inoltre un enorme incendio distrusse il 40 per cento del principale centro di stoccaggio del petrolio dell’isola, a Matanzas.

A Cuba per decisione del governo tutti gli esercizi commerciali non necessari e i centri ricreativi come le discoteche sono chiusi dallo scorso sabato, mentre le attività culturali e le lezioni nelle scuole sono sospese fino almeno a lunedì. Gli ospedali stanno continuando a funzionare grazie a generatori propri, così come gli hotel più moderni. Sono stati annunciati lavori straordinari con l’obiettivo di evitare nuovi blackout generali, ma anche alcuni esponenti del governo hanno ammesso di non poterli escludere per il prossimo futuro.

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