Ma WhatsApp come guadagna?

Periodicamente circolano bufale sul fatto che a breve smetterà di essere gratuito per gli utenti, ma non ha intenzione di farlo

(Cottonbro Studio/Pexels)
(Cottonbro Studio/Pexels)

Da quando WhatsApp ha cominciato a diffondersi in Italia, nel 2009, periodicamente circolano bufale e catene di sant’Antonio secondo cui l’app di messaggistica sarebbe in procinto di diventare a pagamento. A volte questi messaggi dicono che da un momento all’altro WhatsApp comincerà a costare un euro al mese, oppure che diventerà a pagamento per le persone che non messaggiano con almeno una decina di contatti al giorno, al punto che WhatsApp anni fa ha dedicato una pagina del proprio blog per smentirli.

Quasi sempre, queste catene hanno il solo scopo di essere inoltrate a migliaia di persone, senza particolari secondi fini. Il fatto che continuino ad attecchire, però, mostra che per tantissime persone non è ancora molto chiaro come faccia WhatsApp a essere gratis e in che modo si sostenga.

Prima di essere acquistata da Meta – che all’epoca si chiamava Facebook – per 16 miliardi di dollari nel 2014, WhatsApp era effettivamente un servizio a pagamento. In alcuni paesi veniva chiesto agli utenti di pagare un euro al momento del download, in altri era gratis per il primo anno e poi costava un euro all’anno. Al momento dell’acquisto, l’azienda guadagnava così circa 700 milioni l’anno. Dopo l’acquisto, però, Meta decise di renderla completamente gratuita e di continuare ad accordarsi con le società di telecomunicazioni di vari paesi in modo che il traffico di dati generato dai messaggi su WhatsApp fosse escluso dal conteggio degli utenti. Nell’arco di pochi anni diventò l’app di messaggistica più utilizzata al mondo, e oggi in moltissimi paesi è utilizzata anche per prenotare servizi, ricevere comunicazioni governative o mediche, fare acquisti e informarsi.

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Per essere così diffusa, però, WhatsApp non fa effettivamente tantissimi soldi: secondo le stime di Business of Apps, sito specializzato nello studio dei modelli di business nel settore delle app, nel 2023 le sue entrate sono state pari a 1,28 miliardi di dollari. Meta, l’azienda a cui appartengono anche Facebook e Instagram, nello stesso anno ha fatturato 134 miliardi di dollari: questo vuol dire che l’anno scorso Whatsapp ha contribuito a poco meno dell’1 per cento dei ricavi annuali di Meta.

Un miliardo e 280 milioni di dollari, però, sono comunque tanti soldi per un servizio gratuito. Una larghissima parte proviene da WhatsApp Business, app che permette ad aziende, liberi professionisti e istituzioni di qualsiasi tipo (dagli estetisti alle banche, dalle compagnie aeree alle aziende di trasporto pubblico locale ai medici di famiglia) di comunicare con la propria clientela.

WhatsApp Business è stato introdotto nel 2018, e l’app in sé è gratis: tantissime piccole aziende pagano però per le funzionalità extra messe a disposizione per gli abbonati al programma WhatsApp Business Premium, il cui costo varia molto da paese a paese. In India, il paese con il maggior numero di utenti che usano WhatsApp, costa circa 250 rupie, ovvero 2,76 euro circa, al mese. Negli Stati Uniti costa 5 dollari (4,60 euro) al mese. In Italia la versione Premium è ancora in fase di test.

All’abbonamento premium si aggiunge un ulteriore servizio, Business Platform, che è un software di messaggistica pensato per essere facilmente integrato nei sistemi informatici preesistenti delle grandi aziende, e molto più personalizzabile della semplice app WhatsApp Business. Il costo di Business Platform dipende molto dal modo in cui la singola azienda decide di usarlo: Meta mette a disposizione una pagina per permettere di calcolare in anticipo quanto potrebbe venire a costare a una società che ne faccia uso.

In una recente intervista con BBC News, il vicepresidente della sezione “business messaging” di Meta Nikila Srinivasan ha detto che, nella loro intenzione, nei prossimi anni gli utenti di WhatsApp riusciranno a svolgere molte più pratiche quotidiane restando all’interno dell’app. Già ora, per esempio, ha fatto una collaborazione con la città indiana di Bangalore per permettere a chiunque di comprare un biglietto dell’autobus su WhatsApp, e compagnie come Kenya Airways affidano gran parte delle proprie interazioni con i clienti (per esempio quelli che vogliono cambiare il proprio volo dopo aver perso una coincidenza) a una chat automatizzata su WhatsApp. L’idea quindi sarebbe di cominciare a guadagnare di più da accordi di questo tipo, con amministrazioni e aziende.

«Che tu voglia prenotare un biglietto, pianificare la restituzione di un prodotto, effettuare un pagamento, dovresti essere capace di farlo senza mai lasciare la conversazione. E poi tornare tranquillamente al resto delle conversazioni con le persone della tua vita», ha detto Srinivasan.

Per il momento comunque l’azienda non sembra intenzionata a inserire pubblicità di qualche tipo all’interno dell’app.

Quello di trovare un modo per sostenere economicamente il proprio prodotto senza chiedere agli utenti di pagare, comunque, è un problema a cui devono far fronte anche le altre app di messaggistica. Signal, considerata la più sicura tra quelle a disposizione al pubblico, è gestita da un’organizzazione non profit e si mantiene esclusivamente sulle donazioni di piccoli e grandi sostenitori: nel 2018, per esempio, ha ricevuto 50 milioni di dollari da Brian Acton, uno dei fondatori di WhatsApp. Discord ha un modello “freemium”: scaricarla e usarla è gratis, ma varie funzionalità sono a pagamento. E Telegram è stata a lungo finanziata con i soldi che il suo fondatore, Pavel Durov, guadagnava con altre attività imprenditoriali: soltanto negli ultimi due anni ha cominciato a guadagnare grazie alle pubblicità, a microtransazioni e a un sistema di abbonamento “premium” per gli utenti che vogliono utilizzare funzionalità aggiuntive.

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