L’isola disabitata più grande del mondo
Devon Island si trova nell'Artico canadese ed è particolarmente inospitale, tanto che gli scienziati la usano per simulare l'esplorazione di Marte
Il territorio del Nunavut, nel nord del Canada, si trova quasi interamente all’interno del circolo polare artico: ha una popolazione di circa 33mila abitanti e una superficie grande quasi sei volte quella della Germania che include anche Devon Island, la più grande isola disabitata dagli umani che esista al mondo. Per via della sua conformazione geologica e del suo clima rigido e secco, infatti, in tempi recenti Devon Island è sempre risultata inospitale: al punto da essere considerata quanto di più simile a Marte esista sulla Terra, motivo per cui viene studiata dagli scienziati.
Devon Island si trova circa 3.500 chilometri a nord di Toronto, a ovest della baia di Baffin, che separa il Canada dalla Groenlandia. Ha una forma che ricorda vagamente quella di una balena che alza la coda e una superficie di 55mila chilometri quadrati, più di Sicilia e Sardegna messe insieme. Il suo territorio è caratterizzato da diverse catene montuose che arrivano fino a 1.920 metri di altitudine e circa un terzo è ricoperto di ghiaccio, mentre il resto è spoglio e brullo.
Le temperature sono estremamente rigide, le precipitazioni scarse e i venti gelidi: nella breve stagione calda si arriva raramente ai 10 °C e in quella fredda si può scendere fino a -50. Anche la vegetazione è poca, e ci sono giusto qualche bue muschiato e alcune specie di uccelli e piccoli mammiferi. Come ha scritto di recente National Geographic, non è che gli esseri umani non abbiano provato a viverci: sono però secoli che non riescono a farlo, proprio per le durissime condizioni del posto.
Devon Island fu scoperta dagli esploratori inglesi William Baffin e Robert Bylot nel 1616. Due secoli dopo l’ammiraglio inglese William Edward Parry mappò la sua costa meridionale e le diede il nome di North Devon, in onore della contea nel sud-ovest dell’Inghilterra.
L’isola fu abitata per un breve periodo tra il 1852 e il 1853, nell’ambito delle missioni di ricerca della “spedizione perduta di Franklin”, quella delle navi Erebus e Terror partite nel 1845 dall’Inghilterra per trovare il cosiddetto “passaggio a nord-ovest” e mai tornate. L’ultima squadra di ricerca si stabilì nella zona di Port Refuge, nel sud dell’isola, dove erano stati trovati alcuni resti di ciò che c’era a bordo delle navi, come corde e scatole di latta per il cibo vuote, ma nessuno dei 129 membri degli equipaggi.
Proprio nell’area di Port Refuge sono state ritrovate tracce archeologiche di popolazioni autoctone risalenti a circa 4mila anni fa, così come testimonianze del passaggio degli Inuit tra il 1200 e il 1500, e prove dei contatti tra queste popolazioni e quelle provenienti dalla Groenlandia e dall’Asia. Nelle isole limitrofe, che hanno condizioni climatiche simili, esistono piccole comunità abitate, come quella di Pond Inlet, nel nord dell’isola di Baffin, a sud di Devon, o quella di Grise Fiord, sull’isola di Ellesmere, a nord. A Devon Island però non ci sono infrastrutture né edifici abitabili, come per esempio le stazioni di ricerca che si trovano in Antartide. L’ultimo insediamento risale alla metà del Novecento.
Nel 1924 tre agenti della Royal Canadian Mounted Police, la polizia federale canadese, furono mandati a occupare la zona di Dundas Harbour, nel sud-est dell’isola, assieme a 52 persone inuit che erano state costrette ad abbandonare le loro case nell’ambito delle politiche oppressive subite dai popoli indigeni da parte dei discendenti dei coloni. Secondo l’archeologa Kaylee Baxter, citata da National Geographic, quella missione serviva più che altro a stabilire la presenza della polizia sul territorio e a rivendicare dunque quella porzione di Artico come canadese. Ma nel giro di tre anni due dei tre agenti erano morti, uno dei quali per suicidio: nei primi anni Trenta l’altro se ne andò assieme alle famiglie inuit.
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L’insediamento fu riaperto nel 1945 per poi essere abbandonato definitivamente sei anni dopo, per le complicazioni legate alla massiccia presenza di ghiaccio. Oggi a Dundas Harbour restano giusto i resti delle case in cui vivevano e le tombe dei due agenti, in quello che è considerato uno dei cimiteri più a nord del mondo: lì è sepolta anche una ragazza inuit senza nome, in quella che Baxter ha definito «una rappresentazione piuttosto accurata di ciò che fu la colonizzazione nell’Artico».
Negli anni successivi Devon Island è stata studiata in diverse occasioni dagli scienziati. Tra il luglio e l’agosto del 1975 ci fu una breve missione di ricerca nelle Truelove Lowlands, un’ampia area pianeggiante nel nord dell’isola, che fu studiata di nuovo nel 1990.
La zona dell’isola più frequentata – seppur sporadicamente – è però quella del cratere Haughton, un grosso cratere del diametro di circa 23 chilometri prodotto da un meteorite precipitato sulla Terra tra i 32 e i 31 milioni di anni fa nella parte occidentale dell’isola. Il freddo estremo, il terreno desertico e l’assenza di luce, vegetazione e sistemi di comunicazione rendono quest’area ideale per le simulazioni dell’esplorazione di Marte: così nel 1997 è stato attivato l’Haughton Mars Project, che è finanziato principalmente dalla NASA e si occupa tra le altre cose di testare veicoli per l’esplorazione spaziale, tute e altra strumentazione, ma solo quando fa più caldo e per periodi molto brevi. Quando gli scienziati sono sull’isola, comunque, vivono e lavorano in tende allestite appositamente e ogni volta devono portarsi dietro tutto l’equipaggiamento necessario.
«Non è freddo come Marte, non è asciutto come Marte», ma è un posto «molto spoglio, desolato e roccioso», ha detto alla rivista Canadian Geographic Pascal Lee, il direttore dell’Haughton Mars Project: «La cosa incredibile è che praticamente ogni passo che si fa lontano dal campo è il primo che una persona abbia mai fatto in quel posto». Dal 2019 una piccola parte di Devon Island è stata mappata su Google Street View proprio grazie agli scienziati del Mars Institute e del programma scientifico statunitense SETI che collaborano alla missione della NASA. Oltre a un tour virtuale chiamato appunto “Mars on Earth”, l’isola si vede nel documentario del 2016 Passage to Mars.
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