Due mesi alla deriva nel mare più freddo dell’Asia orientale
Mikhail Pichugin ha raccontato come è sopravvissuto per 67 giorni su un gommone nell'estremo oriente russo: il fratello e il nipote che viaggiavano con lui sono morti
Era il 9 agosto quando il motore di un piccolo gommone si è fermato nel tragitto tra le isole Shantar e l’isola di Sakhalin, nel mare di Ochotsk, nell’estremo oriente russo, il più freddo dell’Asia orientale. A bordo c’erano Mikhail Pichugin, suo fratello Sergei e suo nipote Ilya, rispettivamente di 46, 49 e 15 anni (ne avrebbe compiuti 16 il 27 agosto, poco prima di morire). Sessantasette giorni dopo un peschereccio ha notato qualcosa illuminarsi nella nebbia: erano i riflettori del gommone, disperso da allora, e a bordo c’era soltanto Mikhail.
Mercoledì Mikhail Pichugin, l’uomo sopravvissuto per oltre due mesi in mare aperto, ha raccontato qualche dettaglio in più sulla sua storia. Secondo i suoi racconti, il motore si è fermato mentre i tre si trovavano sul tragitto di ritorno da una gita di osservazione delle balene alle isole Shantar e la rottura di un remo ha reso l’imbarcazione del tutto incontrollabile.
Il sito di informazione russo Meduza ha scritto che i tre erano partiti il 4 agosto, sono rimasti sulle isole dal 5 al 9 agosto insieme a un gruppo di altri turisti, poi si sono separati dal gruppo per viaggiare da soli in gommone verso la città di Okha, sull’isola di Sakhalin.
Nel punto in cui si è fermato il motore non c’era campo, ma per circa una settimana i tre sono riusciti a utilizzare il telefono come gps. Poi la batteria si è scaricata. Durante un’intervista alla televisione di stato russa, Pichugin ha raccontato che in un paio di occasioni degli elicotteri sono passati molto vicino, e che i tre hanno provato ad attirare la loro attenzione con dei segnali luminosi, ma senza successo. Le operazioni di ricerca erano partite tre giorni dopo la data prevista del loro arrivo a Okha, ma si erano dovute interrompere diverse volte a causa delle condizioni climatiche avverse.
Secondo i media russi i tre erano partiti con ampie scorte di cibo, ma non era previsto che il tragitto durasse così tanto. Pichugin ha raccontato che per diversi giorni hanno mangiato noodles istantanei, piselli e hanno provato a pescare. Quando è finita l’acqua hanno bevuto quella piovana. Per riscaldarsi avevano dei sacchi a pelo in lana di cammello, che però ben presto si sono inumiditi.
Dall’ospedale nella città di Magan, in cui si trova ora, Pichugin ha detto che suo nipote Ilya è morto a settembre di fame e di ipotermia e che a quel punto suo fratello ha cominciato a comportarsi in modo strano e ha provato a buttarsi dal gommone. Non ha raccontato nello specifico come è morto. Quando i pescatori hanno ritrovato il gommone, lo scorso 14 ottobre, si trovava a circa mille chilometri dalla città di Okha, dove i tre sarebbero dovuti ritornare. I corpi di Ilya e di Sergei erano legati all’imbarcazione affinché non si perdessero.
Il giornale locale di Magadan ha scritto che Pichugin è uscito dalla terapia intensiva ed è in condizioni fisiche stabili, ma il suo stato mentale resta sotto osservazione degli psicologi dell’ospedale. Secondo i racconti della moglie, quando è partito pesava cento chili, mentre al suo ritorno era circa la metà.
A carico dell’uomo è stata aperta un’indagine della polizia per violazione delle norme sulla sicurezza della navigazione, in quanto era il proprietario del gommone. Secondo l’agenzia di stampa russa TASS Pichugin prima di partire aveva sottoposto l’imbarcazione ai dovuti controlli, ma aveva ignorato le indicazioni che dicevano che il gommone era idoneo a un viaggio di massimo 5 chilometri dalla costa: la rotta che i tre hanno provato a percorrere era lunga 150 chilometri.