Kamala Harris è diventata più cupa
Nell'ultima settimana ha attaccato duramente Donald Trump, parlando dei pericoli per la democrazia e abbandonando in parte la strategia comunicativa ironica dei primi tempi: c'entrano anche i sondaggi
Quando il 21 luglio Kamala Harris ha sostituito Joe Biden come candidata Democratica alla presidenza, ha subito impostato la sua campagna elettorale in un modo diverso dal suo predecessore, con un messaggio più positivo e ottimista. Ha abbandonato i toni più preoccupati di Biden, che si focalizzava sulla presentazione del concorrente, il Repubblicano Donald Trump, come una «minaccia per la democrazia». Harris definiva se stessa e il suo candidato vicepresidente Tim Walz «guerrieri allegri» e i Repubblicani «weird»,“strani”, cercando di sottolineare con ironia i loro eccessi e le loro tesi estreme.
Per un po’ questo atteggiamento ha funzionato, ma per quest’ultimo mese di campagna Harris sembra aver cambiato strategia comunicativa: sono sempre più frequenti i richiami alla pericolosità di Trump; gli attacchi sono sempre più diretti e meno ironici; gli appelli agli elettori sono tornati ad avere come messaggio centrale i rischi che comporterebbe un secondo mandato dell’avversario.
Negli ultimi comizi, per esempio a Erie in Pennsylvania, Harris ha mostrato un video che conteneva varie dichiarazioni di Trump e in particolare una riguardo a quelli che l’ex presidente definiva «nemici interni, più pericolosi di Russia o Cina». Nel video Trump dice che «forse la Guardia Nazionale o l’esercito dovrebbero occuparsi dei pazzi della sinistra radicale». Harris invitava i presenti a riflettere sul fatto che «vorrebbe usare i militari per perseguire chi non la pensa come lui».
Il video è una novità nei comizi di Harris e alcuni collaboratori della sua campagna hanno detto ai media che fa parte di una strategia per «presentare le prove mentre fa la sua arringa finale», richiamando il suo passato da procuratrice. Dopo i primi mesi in cui Harris aveva cercato di definire la sua candidatura, proporre alcune misure economiche e presentarsi come una presidente rassicurante e credibile, nell’ultima settimana ha focalizzato più spesso il suo messaggio sull’avversario, presentandolo come un candidato che intende curare solo i propri interessi, anche a rischio di distruggere le strutture democratiche del paese.
Mercoledì durante un’intervista radiofonica ha detto che Trump «si può definire fascista», giovedì in un comizio in Wisconsin lo ha accusato di fare “gaslighting”, la pratica di fuorviare qualcuno e di mettere in dubbio il suo senso della realtà per un proprio vantaggio, per le dichiarazioni riguardo all’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021: Trump aveva detto che era stato un «giorno d’amore».
Il cambio di strategia è stato in parte imposto dalla situazione di stallo in cui è da qualche tempo la campagna elettorale. Dopo il grande recupero nei sondaggi delle prime settimane da candidata, e un’ulteriore piccola spinta dal dibattito televisivo con Trump in cui è andata meglio del rivale, la popolarità di Harris ha smesso di crescere. Gli ultimi sondaggi indicano un sostanziale pareggio in tutti e sette gli stati considerati “in bilico”, quelli dove si deciderà l’elezione (diventerà presidente chi arriverà a 270 grandi elettori, che vengono assegnati vincendo le elezioni nei singoli stati, come abbiamo spiegato meglio qui).
In Michigan, Wisconsin, Pennsylvania, Nevada, Arizona, Georgia e North Carolina i sondaggi indicano vantaggi minimi per uno o per l’altro candidato, all’interno del margine di errore degli stessi sondaggi, rappresentando quindi una situazione di equilibrio che non permette vere previsioni.
In particolare Harris avrebbe bisogno di aumentare i suoi voti fra gli elettori uomini, anche quelli giovani, latinoamericani e afroamericani, settori demografici in cui Trump sembra essere cresciuto rispetto al 2020. La crescita sembra essere continuata nelle ultime settimane e Harris è convinta di poterla in parte ridurre evidenziando limiti e rischi della scelta di affidarsi a Trump. Gli attacchi hanno inoltre l’obiettivo di motivare l’elettorato Democratico meno convinto ad andare a votare e di ottenere il sostegno dei Repubblicani più moderati, quelli che non avrebbero voluto una nuova candidatura di Trump. Uno degli slogan degli ultimi comizi era infatti: «Votate pensando al paese, non al partito».
La strategia centrata sui problemi e sui limiti della candidatura di Trump (Harris ha anche sottolineato alcuni momenti strani, mettendo in dubbio che il rivale sia sempre in buone condizioni psicofisiche) non ha però sempre funzionato. La usò Hillary Clinton nel 2016, perdendo le elezioni, ed era stata la scelta dei Democratici nella prima parte di questa campagna elettorale, quando il candidato era Biden. Allora i sondaggi erano particolarmente negativi, anche se in gran parte condizionati dall’età e dalla salute di Biden.
Trump è molto noto a tutto l’elettorato statunitense, che ha su di lui opinioni molto consolidate. Il team della campagna di Harris reputa comunque utile ed efficace ricordare a tutti come siano stati i quattro anni della sua presidenza, mentre altri osservatori ritengono che sarebbe più funzionale concentrarsi sulle proprie proposte, anche per differenziarsi da quelle di Biden.
Harris ha comunque a disposizione molti fondi, grazie a una raccolta di donazioni che continua a funzionare, e potrebbe seguire entrambe le strade, con spot di tenore diverso. Josh Schwerin, consulente politico Democratico, ha detto al Wall Street Journal: «Nelle ultime tre settimane prima delle elezioni alzare la posta, dare alla gente un senso di urgenza sull’andare a votare e parlare dei rischi è una parte del pacchetto completo, che non ne esclude altre».