Il Cammino di Santiago è sempre più turistico

Nell’ultimo decennio il numero di pellegrini è raddoppiato, con conseguenze non sempre positive per le città attraversate

di Viola Stefanello

Un negozio di souvenir a Sarria vende conchiglie che i pellegrini possono legare allo zaino (Viola Stefanello/Il Post)
Un negozio di souvenir a Sarria vende conchiglie che i pellegrini possono legare allo zaino (Viola Stefanello/Il Post)

A Sarria non c’è molto da vedere. La cittadina della Galizia, comunità autonoma dell’estremo nord ovest della Spagna, conta poco meno di 14mila abitanti. Abitata fin dal neolitico, oggi vanta qualche modesto luogo d’interesse: c’è una larga scalinata di pietra del XIX secolo che porta al centro storico; una torre di 14 metri che ricorda l’antica fortezza che una volta proteggeva il borgo; qualche edificio religioso e gradevole foresta circostante. Nulla di eclatante, insomma.

Eppure il centro storico della città pullula del genere di attività che hanno senso di esistere soltanto in uno spazio frequentato assiduamente da turisti. È impossibile camminare più di due o tre metri senza vedere un nuovo cartello che pubblicizza in varie lingue HABITACIONES – ROOMS – ALBERGUE. Su Rúa Maior, la lunga strada pedonale del centro, quasi tutte le vetrine sono occupate da bar, ristoranti, negozi che vendono prodotti d’artigianato o souvenir da quattro soldi, con tanto di trappole per turisti che invitano a inserire una moneta all’interno di un macchinario per “trasformarla in una medaglia”. Altri espongono scarponi, fornelletti da campeggio, tende, borracce, bastoni di legno o invece di materiali fatti apposta per chi vuole farsi aiutare nelle lunghe camminate.

Solo nel 2023 per Sarria sono passati almeno almeno 131 mila visitatori: erano tutti pellegrini diretti a Santiago de Compostela, capoluogo della Galizia, a 117 chilometri di distanza, più o meno cinque giorni a piedi. La cittadina sta sul cosiddetto “cammino francese”, il più popolare tra i 281 percorsi a piedi che portano a Santiago de Compostela, ed è di gran lunga il punto di partenza scelto più spesso dai pellegrini: l’anno scorso quasi il 31 per cento di quelli che sono poi arrivati a Santiago è partito da qui. La ragione è che per poter ottenere la “compostela”, il documento che certifica il completamento di un pellegrinaggio verso la cattedrale di Santiago, è necessario percorrere, a piedi o a cavallo, almeno 100 chilometri lungo uno dei cammini ufficiali.

Il percorso del Cammino Francese

Sarria è quindi, semplicemente, il punto più vicino a Santiago de Compostela da cui partire per completare un pellegrinaggio che negli ultimi decenni ha raggiunto una popolarità clamorosa, passando da 99mila pellegrini nel 1993 a 215 mila nel 2013 e a 446 mila nel 2023. Sempre più spesso, chi affronta il Cammino non è trainato dalla fede cattolica e quindi dalla volontà di visitare la tomba dell’apostolo Giacomo (Santiago è il suo nome in spagnolo), che secondo la Chiesa cattolica è sepolto sotto alla cattedrale della città.

Sono, piuttosto, quelli che alcuni abitanti della regione soprannominano con una certa malizia “turisgrini” (un incrocio tra turisti e pellegrini): «uomini e donne del ventunesimo secolo che vivono in città, hanno un lavoro ripetitivo, e sono desiderosi di godersi gli spazi aperti, la flora e la fauna autoctone, i villaggi e le città storiche e il ricongiungimento con ciò che percepiscono come Natura», come hanno scritto i ricercatori Rubén Camilo Lois González e Lucrezia Lopez. «Entrano in città con abiti da viandanti, ricevono la Compostela e visitano la Cattedrale, ma poi prenotano un albergo, un ostello o un appartamento, si cambiano e vanno a cena, visitano bar e negozi, passano la serata fuori per festeggiare il raggiungimento dell’obiettivo». Come dei turisti qualunque, insomma.

Un pellegrino mostra la sua collezione di timbri (AP Photo/Alvaro Barrientos)

Nelle cittadine come Sarria – e soprattutto quelle più piccole, toccate dagli anni Sessanta da un rapido processo di spopolamento non dissimile da quello che colpisce le zone rurali e montuose italiane – il loro impatto economico è principalmente positivo, al punto che svariate zone rurali, sia in Spagna che in Europa, cercano di replicarne il successo. A Santiago de Compostela, una città di poco meno di 100mila abitanti, con una lunga tradizione universitaria e un centro storico non molto grande, il forte aumento di visitatori sta provocando però le stesse storture che si vedono nelle altre città europee che attirano moltissimi turisti, da Barcellona a Venezia (ma anche Bologna, o Genova).

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«Per decenni abbiamo convissuto abbastanza bene con il Cammino, anche nei periodi di alta stagione. Negli ultimi tempi però ha cominciato a svilupparsi un po’ di insofferenza, soprattutto nel tratto finale, in Galizia», spiega Lucrezia Lopez, ricercatrice del dipartimento di Geografia dell’Università di Santiago de Compostela. «Il passaggio di centinaia di migliaia di persone sul territorio, concentrate soprattutto nei mesi estivi, ha un forte impatto soprattutto a Santiago: lungo il Cammino, prima della città, il flusso si distribuisce più facilmente».

Come spiega bene nel saggio che ha pubblicato insieme a González, il grande traffico che si vede oggi lungo il Cammino è dovuto in buona parte a un rinnovato interesse per l’escursionismo e il “turismo lento”, ma è stato reso possibile da una serie di decisioni e investimenti mirati anche molto ingenti. Soltanto nel 2021, per esempio, il governo spagnolo ha annunciato l’investimento di 121 milioni di euro provenienti dai fondi europei del Next Generation EU per potenziare ulteriormente infrastrutture e servizi lungo i cammini che portano a Santiago. E tra il 2014 e il 2020 il Fondo europeo per lo sviluppo regionale aveva già stanziato 2 milioni e 244 mila euro per migliorare il Cammino primitivo, che parte da Oviedo e arriva a Santiago passando per la città di Lugo, confluendo nel cammino francese per gli ultimi 54 chilometri.

Una famiglia che sta percorrendo il Cammino di Santiago si ferma in un albergo di Uterga, che sta nella regione della Navarra e ha 158 abitanti (AP Photo/Alvaro Barrientos)

I primi giganteschi investimenti, in realtà, risalgono al 12esimo secolo, quando il papato di Roma riconobbe formalmente l’autenticità delle reliquie dell’apostolo Giacomo, identificate già nel nono secolo. All’epoca, il pellegrinaggio ufficiale prevedeva di partire alla volta di Santiago da Parigi, Vezelay, Arles o Le Puy, attraversando i Pirenei, la valle alta del fiume Ebro e parte dell’altopiano della Meseta, prima di entrare in Galizia attraverso un passo sul monte Cebreiro. Nel corso dei quattrocento anni seguenti quello verso Santiago divenne uno dei tre principali pellegrinaggi per i fedeli cattolici, e lungo il cammino furono costruite chiese, monasteri, monumenti, ponti e intere cittadine con fontane e alberghi per i pellegrini. Per questo oggi chi lo percorre può imbattersi facilmente in vari esempi di architettura religiosa e civile appartenenti a stili che vanno dal romanico al gotico al barocco.

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Trasformato verso la fine del 15esimo secolo in un pellegrinaggio a sfondo principalmente utilitaristico, volto a chiedere la remissione dei propri peccati o ad adempiere un voto o una sanzione civile, il Cammino attraversò varie fasi di crisi e riscoperta fino agli anni Cinquanta del Novecento, quando attirò l’interesse della dittatura di Francisco Franco. Salito al potere dopo che la sua fazione, sostenuta dall’Italia fascista e dalla Germania nazista, aveva iniziato nel 1939 una violentissima guerra civile, dopo la Seconda guerra mondiale Franco era stato sostanzialmente isolato da gran parte degli altri leader europei. Per cercare di dare un’immagine moderna della propria Spagna, decise di cominciare a sostenere il settore turistico come stavano facendo molti altri paesi europei: diede quindi grandi poteri all’architetto Francisco Pons Sorolla perché restaurasse vari monumenti ed edifici lungo il Cammino.

Questo processo di “riscoperta” del percorso non si fermò neanche dopo la fine della dittatura e l’entrata della Spagna nella Comunità economica europea, che sarebbe poi diventata l’Unione europea. «Con la transizione democratica e l’avvicinamento alle istituzioni europee si riaffermò anche l’idea di destinare ingenti somme di denaro pubblico alla costruzione di un itinerario di pellegrinaggio (ora definito tollerante, multiculturale e multireligioso)», scrivono Lopez e González. Nel decennio successivo il governo spagnolo e, in misura ancora più grande, l’amministrazione regionale spesero moltissimi soldi per costruire e restaurare alberghi per pellegrini (fatti solitamente di camerate molto essenziali, con bagni in comune e prezzi a notte di pochi euro), rimettere in sesto parti del percorso che non erano sicure e aggiungere tantissime indicazioni per segnalare la direzione giusta, quasi sempre nella forma di piccole frecce gialle, dipinte per terra e sui muri, oltre che su moltissimi cartelli.

Pellegrini vicino alla tappa di Rabé de la Calzadas, nella regione di Castiglia e León, lungo il Cammino francese (AP Photo/Alvaro Barrientos)

Nel 1985 l’UNESCO inserì il centro storico di Santiago de Compostela nella sua lista dei patrimoni dell’umanità (lista che, peraltro, negli ultimi anni ha avuto varie critiche perché contribuisce ad attirare grandi quantità di turisti, stravolgendo il contesto locale). L’anno in cui più spesso si ritiene sia cominciato l’enorme interesse internazionale di cui il Cammino tuttora gode è però il 1993, considerato anno santo in quanto il giorno di San Giacomo, il 25 luglio, coincideva con una domenica.

Approfittando di questa ricorrenza, la Regione Galizia inaugurò un’intensa campagna turistica per attirare nuovi visitatori e investì altri fondi per adeguare la pavimentazione del percorso; restaurare chiese ed infrastrutture di rilevanza storica come fontane e ponti; e creare una rete di ostelli pubblici a bassissimo costo per i pellegrini. Quell’anno 99.436 pellegrini ottennero la Compostela. «All’improvviso, il Cammino di Santiago era diventato uno dei principali nuovi prodotti turistici del paese, proprio nel momento in cui il governo stava cercando di ridurre la dipendenza della Spagna dal turismo balneare», spiegano Lopez e González.

Luis Alfonso Hortelano Mínguez, professore dell’Università di Salamanca che da anni studia il rapporto tra sviluppo rurale, spopolamento e turismo, ricorda che negli anni successivi alla crisi economica del 2008, che colpì i paesi mediterranei in modo particolarmente duro, «il Cammino di Santiago cominciò a essere visto come un rifugio per le persone che avevano perso il lavoro e non potevano più permettersi di vivere in città. Chi poteva tornò a vivere nei villaggi lungo il Cammino e si aprì un negozio». Oggi non è chiaro se le opportunità economiche generate dal Cammino contribuiscano ancora a ripopolare zone rurali che si stavano spopolando dagli anni Sessanta. Hortelano ritiene che nella gran parte dei paesi attraversati dal Cammino non sia visibile un particolare aumento della popolazione.

Capita più di frequente che le persone che lavorano nei servizi ai pellegrini lungo il Cammino vivano nella città più vicina e facciano i pendolari, fermandosi magari qualche giorno durante la settimana oppure tenendo aperto il negozio soltanto nei mesi di massimo flusso turistico. A Sarria, due diversi proprietari di bar lungo la via centrale del centro storico hanno detto al Post che rimangono chiusi per i mesi di novembre, dicembre, gennaio e febbraio, perché «non ne vale la pena».

Un pellegrino attraversa il villaggio di Puente la Reina, che sta nella regione della Navarra e ha 2.777 abitanti (AP Photo/Alvaro Barrientos)

L’Associazione dei municipi del Cammino di Santiago (AMCS), che riunisce molti dei sindaci dei paesi attraversati dal Cammino, spera che nel tempo le opportunità create dal turismo rallentino effettivamente lo spopolamento. Nel frattempo sottolinea che l’impatto economico, soprattutto nei villaggi più piccoli, è evidente. Maximiliano Barrios Felipe, presidente dell’AMCS, dice che l’introito nel suo insieme è difficile da calcolare, essendo suddiviso lungo varie regioni e paesi, ma che «in base ai nostri calcoli, nel 2020 ogni pellegrino ha speso in media 1.081 euro, tra preparativi, spese lungo il percorso e trasporti. Sono soldi che avvantaggiano direttamente le imprese del territorio». Lungo il Cammino, peraltro, negli ultimi anni si sono sviluppati anche una serie di nuovi servizi che lo rendono particolarmente comodo e moderno, a partire dai pulmini che trasportano i bagagli dei pellegrini per conto loro da un paesino all’altro, permettendo di camminare con un peso in meno sulle spalle.

«L’impatto sulle nostre comunità è notevole: c’è stata una rivitalizzazione economica grazie all’apertura di nuovi alberghi, ristoranti, negozi e altri servizi orientati alle necessità dei pellegrini. E poi sono migliorate le infrastrutture e i servizi pubblici, il che aiuta anche i residenti», dice Barrios Felipe. Secondo un’analisi dell’impatto socioeconomico del Cammino di Santiago svolto dalla Regione Galizia nel 2018, la maggior parte degli intervistati nei piccoli paesi attraversati dal pellegrinaggio ritiene che i benefici del turismo siano maggiori dei costi, ma che al contempo questi benefici tocchino soltanto una piccola parte della popolazione.

Anche Barrios Felipe, però, riconosce che «in determinati orari e luoghi, soprattutto nei periodi di punta di afflusso in alta stagione, la massiccia presenza di pellegrini ha causato qualche disagio». L’entità di questi disagi è senza dubbio più visibile – e quindi anche più sentita – a Santiago de Compostela, dove convergono le centinaia di migliaia di pellegrini dai vari percorsi diversi. In alta stagione si stima che in città ci sia un turista e mezzo per ogni abitante. Così, negli ultimi anni nel centro i negozi storicamente pensati per i residenti (come panetterie, ortofrutta, farmacie e ferramenta) sono stati convertiti in negozi di souvenir; centinaia di alloggi precedentemente affittati a studenti e residenti sono stati trasformati in appartamenti turistici; il prezzo delle case è cresciuto, come è successo anche in tante altre città.

Una statua dedicata ai pellegrini nel centro di Santiago de Compostela, vicino alla Cattedrale (Viola Stefanello/Il Post)

«Negozietti di souvenir di plastica made in China, franchising di fast food o catene di ristoranti che vendono le stesse identiche porcherie a Barcellona o a Mallorca cambiando solo il nome dei prodotti, grandi aziende e fondi immobiliari stranieri: è questa oggi la situazione del centro», racconta Ana Perez Varela, professoressa di Storia dell’Arte all’Università di Santiago de Compostela che vive in città da quasi vent’anni. «I cambiamenti sono stati abissali. La cosa peggiore è che la zona vecchia si è svuotata completamente di servizi: sono quasi scomparse le banche, i supermercati, i negozietti necessari per condurre la vita quotidiana. E il governo crede che qualsiasi cosa porti soldi sia positiva, quindi non interessa loro se nel mentre viene distrutta la cultura e l’identità della città, se si lasciano per strada famiglie che vivono da sempre nel centro storico. Le opportunità lavorative non giustificano questa roba».

A queste difficoltà tangibili, che rendono la vita delle persone che da decenni vivono a Santiago più complessa, si aggiungono piccoli fastidi legati ai comportamenti ricorrenti dei pellegrini che arrivano in città: festeggiamenti a qualsiasi ora del giorno, persone che fanno il bagno nelle fontane del centro o provano a montare la tenda davanti alla Cattedrale, la notte. La frustrazione è palpabile: basta che un paio di turisti provino a saltare le lunghe file che spesso si formano alla stazione in attesa dei treni interregionali per sentire qualcuno commentare ad alta voce, in inglese: «Beh, ovviamente se sei un pellegrino puoi fare quello che vuoi, non preoccuparti!».

Un negozio di souvenir nel centro storico di Santiago de Compostela (Viola Stefanello/Il Post)

Poco meno di due anni fa su Instagram un fotografo di Santiago ha aperto @compostelaresiste, un profilo per pubblicare foto e video di pellegrini in situazioni poco rispettose e condividere riflessioni sull’impatto del turismo sulla città. E la stessa amministrazione cittadina ha cominciato ad affiggere in giro per la città, aeroporto incluso, una lista di raccomandazioni sul comportamento da mantenere per essere turisti responsabili mentre si visita Santiago.

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«Quello che voglio è poter continuare a vivere nella mia città, trovare alloggi a prezzi accessibili», ha spiegato il fondatore in un’intervista a La Voz de Galicia. «Non nego di aver ricevuto delle obiezioni da persone che vivono di turismo e sostengono che senza questo settore Santiago non avrebbe futuro. Ma io sono nato in una città dove il centro storico era pieno di attività commerciali, non solo negozi di souvenir. E poi, vorremmo solo che ci fosse maggiore regolamentazione: non potrei mai essere contrario al turismo del tutto, dato che ho fatto la guida turistica e lavoro in un pub vicino alla Cattedrale».

Anche la nuova sindaca della città, Goretti Sanmartín, ha detto di volersi concentrare su un turismo sostenibile, assicurandosi che la qualità di vita della popolazione locale rimanga alta. Per ora ha annunciato la prossima introduzione di una tassa turistica da applicare a ogni persona che alloggi in città: dai 0,50 ai 2,50 euro, a seconda del tipo di alloggio scelto. Secondo i suoi calcoli, la tassa dovrebbe fruttare al comune tra i 2,5 e i 3 milioni di euro all’anno, da investire nei servizi nel centro città. «Voglio una Santiago da cui non sia necessario fuggire a causa del turismo incontrollato», ha detto Sanmartin a luglio. «Aspiriamo a godere di un settore turistico ricco e prospero ma anche di una città confortevole e respirabile».

Un’installazione nell’aeroporto di Santiago de Compostela ricorda ai turisti di comportarsi in modo responsabile (Viola Stefanello/Il Post)