Abbiamo sdoganato i tappi per le orecchie ai concerti

Quelli che proteggono l'udito ma fanno passare comunque la musica si vedono più spesso nelle orecchie dei partecipanti, e regalati o venduti all'ingresso

Un concerto del rapper statunitense Travis Scott a East Rutherford, in New Jersey, 9 ottobre 2024 (Theo Wargo/Getty Images for Live Nation)
Un concerto del rapper statunitense Travis Scott a East Rutherford, in New Jersey, 9 ottobre 2024 (Theo Wargo/Getty Images for Live Nation)
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Prima di ogni data dell’Eras Tour, uno dei tour musicali più grandi di tutti i tempi, iniziato nel 2023 e che finirà a dicembre, diverse fan di Taylor Swift – che in gergo vengono chiamate swifties – pubblicano sui social brevi video in cui consigliano una serie di oggetti utili da portare con sé ai concerti. Oltre a quelli più intuitivi (come creme solari, cappelli, bustine di zucchero e bottigliette d’acqua senza tappo), tra gli oggetti più consigliati ci sono quasi sempre dei tappi per le orecchie.

Non si tratta di generici tappi in silicone, come quelli che molte persone usano per concentrarsi in biblioteca o per attenuare i rumori esterni mentre dormono, ma di apparecchi progettati appositamente per i concerti: sono pensati per proteggere le orecchie riducendo l’intensità e l’impatto dei suoni, ma permettono a chi li indossa di sentire comunque bene la musica.

Negli ultimi anni è diventato sempre più comune vedere gente che indossa tappi di questo tipo durante i concerti. La loro diffusione è dovuta anche a una maggiore sensibilità da parte di chi frequenta i concerti rispetto ai problemi che alla lunga può causare all’udito l’esposizione a musica ad alto volume. In particolare l’effetto più temuto è il cosiddetto acufene, cioè un sibilo o ronzio continuo nelle orecchie che può essere provocato, tra le altre cose, anche da questo.

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Per esempio, il giornalista di Rolling Stone Mattia Barro ha iniziato a usare i tappi un paio d’anni fa: «mi capitava spesso di avvertire un ronzio fastidioso che poteva durare anche diversi giorni: ho iniziato a mettere i tappi per prevenirlo, anche perché per lavoro mi capita di andare a moltissimi concerti», dice. Barro racconta di aver preso questa abitudine «dopo aver partecipato a un festival in Finlandia in cui i tappi venivano distribuiti all’ingresso». Da allora non ha mai smesso: «non riuscirei a farne a meno, anche perché soffro moltissimo le frequenze molto alte, come per esempio i suoni generati dai piatti della batteria. E, se me li dimentico, devo per forza costruirne un paio artigianalmente e sul momento, magari con dei pezzettini di carta».

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L’importanza di usare apparecchi di questo tipo è ormai largamente condivisa: Cory Portnuff, docente di audiologia presso l’Università del Colorado, consiglia di indossare sempre un paio di tappi durante i concerti, dato che questi eventi durano spesso più di un’ora e «superano regolarmente i 105 decibel, e l’esposizione a questa soglia di suono è considerata sicura solo per quattro minuti».

Jono Heale, amministratore delegato di ACS Custom, un’azienda che produce apparecchi di questo tipo dagli anni Novanta, ha detto al Guardian che l’uso dei tappi è stato sdoganato soltanto recentemente anche perché, fino a poco tempo fa, promuoverli era sostanzialmente impossibile. La loro diffusione veniva infatti disincentivata dagli organizzatori di concerti, che non vedevano di buon occhio la diffusione di questi apparecchi, considerandola una specie di pubblicità negativa.

Oggi è piuttosto comune che quelli usa e getta vengano distribuiti prima di eventi o concerti, o che aziende del settore firmino accordi per vendere i loro tappi durante gli eventi. Per esempio, la statunitense Alpine ha collaborato con festival britannici molto partecipati come Boomtown, Elrow, All Points East e BST Hyde Park, ma succede in alcuni casi anche in Italia. Fino a una decina d’anni fa, però, collaborazioni di questo tipo erano molto rare. «Era come se averci lì significasse ammettere una sorta di responsabilità», ha detto Heale.

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Un altro motivo che ha ritardato lo sdoganamento dell’utilizzo dei tappi durante i concerti è anche che, fino a non troppi anni fa, c’erano pochi studi sulla loro effettiva utilità. Quello più citato fu pubblicato nel 2016 sulla prestigiosa rivista scientifica Journal of the American Medical Association (JAMA): fu svolto su un campione piuttosto limitato, di 51 persone normoudenti che parteciparono a un festival musicale all’aperto ad Amsterdam, nei Paesi Bassi. Le persone furono divise in due gruppi: 25 indossavano tappi per le orecchie in silicone, e le restanti 26 no. Il concerto durava 4 ore, con un livello medio di intensità del suono di 100 decibel. Dai risultati emerse che soltanto l’8 per cento delle persone che indossavano i tappi ebbe perdite di udito e acufeni temporanei dopo il concerto, rispetto al 42 per cento del gruppo che non li indossava.

Oltre allo scetticismo degli organizzatori e alla penuria di studi, l’utilizzo dei tappi è stato a lungo scoraggiato anche da una sorta di «stigma sociale», nel senso che chi li utilizzava veniva percepito negativamente dai frequentatori di concerti più assidui: indossarli era considerato insomma poco figo. Anche perché fino a poco tempo fa i tappi erano decisamente brutti, e in ambienti come i festival musicali e il clubbing l’immagine ha una certa importanza.

Un paio di Loop acquistate qualche tempo fa da una giornalista del Post

Ora le aziende che li producono fanno molta più attenzione all’aspetto del design. I tappi largamente più diffusi sono quelli prodotti da Loop, azienda britannica fondata nel 2016 da Dimitri O e Maarten Bodewes, due ingegneri che decisero di dedicarsi alla produzione di questi apparecchi per via dei loro problemi di acufene. I Loop sono chiamati così perché la parte che resta visibile e si incastra nel padiglione auricolare è un piccolo anello, che ricorda un orecchino o un piercing ed è quindi apprezzato anche da un punto di vista estetico.

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