Il modello dei centri in Albania interessa molti nell’Unione Europea
La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen li ha definiti «innovativi», e se ne parlerà al Consiglio Europeo di questi giorni
Negli ultimi mesi sempre più stati membri dell’Unione Europea hanno mostrato interesse per la creazione di centri per migranti sul modello di quelli appena aperti dall’Italia in Albania, ossia strutture poste fuori dal territorio dell’Unione dove le persone migranti vengono portate mentre aspettano che il paese europeo in cui hanno fatto domanda di asilo esamini la loro richiesta. Al momento solo la Spagna si è opposta a questo modello di gestione dei flussi migratori, mentre altri stati come Francia, Irlanda e Lussemburgo hanno detto di voler aspettare e vedere come funziona quello italiano, prima di eventualmente emularlo.
Anche la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha detto esplicitamente di essere interessata ad approfondire questo sistema. Pochi giorni fa, in una lettera sull’approccio dell’Unione al tema dell’immigrazione indirizzata ai leader europei, ha menzionato i centri in Albania fra i possibili metodi «innovativi» con cui l’Unione può contrastare «l’immigrazione illegale». «Con l’inizio delle operazioni previste dal protocollo Italia-Albania, potremo avere delle lezioni dall’applicazione pratica» della procedura, ha scritto.
L’immigrazione sarà il tema più discusso giovedì e venerdì durante le riunioni del Consiglio Europeo, l’organo di cui fanno parte i 27 capi di Stato o di governo dei paesi membri dell’Unione.
L’interesse di alcuni stati membri a misure più rigide e a un maggiore controllo dei flussi migratori non è una novità: tra le altre cose, negli ultimi anni l’Unione Europea e alcuni stati membri (tra cui l’Italia) hanno fatto accordi controversi con paesi come la Turchia e la Libia per fermare le partenze. L’eventuale apertura di altri centri per migranti al di fuori dell’Unione sarebbe però un importante cambiamento nel modo in cui i paesi europei gestiscono l’immigrazione, e una svolta in senso restrittivo.
Lo scorso maggio l’Unione Europa aveva approvato in via definitiva la riforma del cosiddetto “regolamento di Dublino”, la principale norma europea che regola la gestione di migranti e richiedenti asilo. Fra le altre cose, il nuovo patto prevede norme sull’accoglienza più severe soprattutto per le persone migranti che arrivano in Europa dai paesi considerati “sicuri” (“sicuri” secondo criteri molto dibattuti stabiliti dai paesi d’accoglienza) e ne rende in teoria più facile la loro espulsione.
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Molti paesi si erano comunque detti insoddisfatti del nuovo piano, che secondo loro non avrebbe avuto un vero effetto sui rimpatri e non proponeva misure per limitare a monte l’entrata delle persone migranti in territorio europeo. Pochi giorni dopo il voto, un gruppo di 15 stati membri (Austria, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca e Romania) aveva chiesto all’Unione di valutare la possibilità di creare dei centri all’estero dove portare le persone migranti in attesa che la loro richiesta venga esaminata.
Secondo questi stati infatti la creazione di centri simili risolverebbe il problema dei rimpatri, di cui solo una piccola parte effettivamente avviene: una buona parte delle richieste d’asilo presentate ogni anno viene ormai respinta quasi automaticamente se la persona che la deposita proviene da un paese considerato “sicuro”. Per via di una serie di problemi sia burocratici che pratici però meno del 30 per cento degli ordini di espulsione viene applicato, mentre la stragrande maggioranza delle persone finisce per rimanere in territorio europeo.
La scorsa settimana un’altra lettera firmata da 17 stati membri ha chiesto che l’Unione Europea operi un «cambio di paradigma» nelle sue politiche migratorie, con particolare attenzione al problema dei rimpatri. Negli ultimi mesi diversi paesi, non solo quelli governati da partiti di estrema destra, hanno adottato o annunciato misure restrittive in quest’ambito.
A settembre la Germania, guidata dal cancelliere di centrosinistra Olaf Scholz, ha aumentato i controlli alle frontiere per limitare l’immigrazione irregolare a seguito di un attentato compiuto da un uomo migrante che era rimasto in Germania nonostante la sua richiesta di asilo fosse stata respinta. La settimana scorsa la Polonia, guidata dal governo di destra ed europeista di Donald Tusk, ha annunciato di voler sospendere temporaneamente la possibilità di fare richiesta d’asilo per le persone migranti che arrivano in territorio polacco passando dalla Bielorussia.
In questo contesto, il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez è tra i pochi ad aver espresso di recente una posizione favorevole all’immigrazione, ed è l’unico a essersi chiaramente opposto alla creazione di centri all’estero simili a quelli costruiti dall’Italia in Albania.
Anche il primo ministro greco di centrodestra, Kyriakos Mitsotakis, ha mostrato scetticismo su accordi come quello tra Italia e Albania e, più in generale, sul contrastare l’immigrazione irregolare senza prevedere percorsi legali. «Se vuoi costruire una grossa barriera, ti serve anche una grande porta. Chi raccoglierà le nostre olive? Siamo un continente che si sta restringendo, e tutti riconosciamo che per mantenere la nostra produttività abbiamo bisogno di manodopera, qualificata e non qualificata», ha detto Mitsotakis giovedì in un’intervista al Financial Times.
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