Perché gli operatori sanitari sono arrabbiati per la legge di bilancio
Il governo aveva annunciato oltre 3,5 miliardi per la sanità, ma ora si è capito che per il 2025 sono previsti solo 900 milioni, e gli altri l'anno dopo
Uno dei temi della legge di bilancio su cui si sta discutendo di più riguarda i fondi aggiuntivi che destinerà nel 2025 al Servizio sanitario nazionale, che da tempo è a corto di risorse. Rispetto ai proclami dei membri del governo e alle aspettative dello stesso ministro della Salute Orazio Schillaci le cifre sono risultate alquanto inferiori. Fino a martedì ci si attendevano circa 3,5 miliardi di euro per il prossimo anno. Quando poi mercoledì mattina è stato pubblicato il Documento programmatico di bilancio – la forma sintetica da inviare alla Commissione Europea del disegno di legge di bilancio, il cui testo invece ancora non c’è – lo stanziamento aggiuntivo previsto si è rivelato di neanche 900 milioni di euro. Per questo le opposizioni e le molte associazioni che rappresentano il settore sanitario se la sono presa con il governo.
L’equivoco è nato dal fatto che per settimane il governo aveva detto che i soldi per la sanità sarebbero arrivati dalla discussa tassa sugli “extraprofitti” delle banche e da un aumento delle imposte per le assicurazioni, che avrebbero portato 3,5 miliardi di euro. Ma non solo questa tassa alla fine probabilmente non sarà una vera tassa, ma anche che la somma è attesa in due anni: e infatti in due anni è stata ripartita sulla sanità, secondo il Documento programmatico di bilancio, con circa 900 milioni nel 2025 e 3 miliardi nel 2026 (quando evidentemente ci sarà anche un’integrazione da altri fondi).
Insomma, sembra esserci stata un’incomprensione contabile. Oggi alcuni quotidiani scrivono che la divisione non era nota allo stesso ministro Schillaci, che nei giorni precedenti aveva spesso parlato pubblicamente di una cifra intorno ai 3,5 miliardi solamente per il 2025. Poco dopo che il Consiglio dei ministri aveva approvato il disegno di legge di bilancio, martedì sera, sia il ministro dei Trasporti Matteo Salvini che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni avevano postato sui loro social la soddisfazione di riuscire a rifinanziare la sanità con i miliardi che sarebbero arrivati dalle misure su banche e assicurazioni.
Nel pomeriggio di mercoledì il ministero dell’Economia ha poi successivamente chiarito con una nota anche l’entità del nuovo finanziamento: il numero indicato nel Documento programmatico di bilancio – i 900 milioni corrispondenti allo 0,04 per cento del prodotto interno lordo – sarebbe volto a finanziare aumenti netti delle retribuzioni del personale medico, che però al lordo arriverebbero a 1,245 miliardi di euro.
Questa è dunque la cifra complessiva stanziata quest’anno per il 2025, a cui va aggiunto anche il miliardo già previsto nel 2023 dalla passata legge di bilancio: per un totale di 2,3 miliardi di euro aggiuntivi, che porterebbero il Fondo sanitario nazionale da 134,1 miliardi a 136,4 nel 2025. Il Fondo sanitario nazionale è quello che ogni anno lo Stato dà alle Regioni per finanziare la sanità, ma la spesa sanitaria complessiva è leggermente più alta, ed è finanziata per il residuo dai ticket e tramite indebitamento: alla fine del 2024 sarà di 138 miliardi, ed era già previsto che aumentasse di 4 miliardi nel 2025.
Con i nuovi fondi del governo salirà a più di 143 miliardi: è circa il 6,3 per cento del prodotto interno lordo previsto per il prossimo anno, un livello insufficiente e più basso rispetto alla media dei paesi europei.
Le associazioni del personale sanitario, dei medici e gli osservatori del settore sono deluse dall’entità delle risorse, ma anche dalla decisione di distribuire gran parte dei fondi nel 2026: viene così posticipato il finanziamento dell’atteso piano di assunzioni di oltre 30mila nuove persone, tra medici e infermieri, e anche tutti gli interventi per aumentarne le retribuzioni.
Nino Cartabellotta è il presidente della fondazione GIMBE, un importante centro di ricerca sui temi sanitari
La sanità italiana è in sofferenza da molto prima che entrasse in carica questo governo. L’OCSE, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo che monitora tra l’altro le economie dei paesi occidentali, pubblica ogni anno un rapporto sui sistemi sanitari dei paesi membri: l’ultimo, relativo al 2022, mostra che l’Italia ha speso in sanità pubblica il 6,8 per cento del suo PIL (una cifra pari a 2.208 euro per abitante, in media), a fronte del 10,3 per cento del PIL della Francia (3.996 euro per abitante), del 10,9 per cento della Germania (5.085 euro per abitante), del 9,3 per cento del Regno Unito (3.409 euro per abitante), del 7,3 per cento della Spagna (2.041 euro per abitante). Non solo spende meno dei paesi più virtuosi, ma è anche sotto la media dei paesi europei considerati, pari a circa il 7 per cento.
Rispetto al 2022 la situazione è peggiorata. Il Piano strutturale di bilancio, il nuovo documento di finanza pubblica previsto dalla riforma delle regole europee sui bilanci degli Stati, mostra che nel 2023 la spesa sanitaria pubblica è scesa al 6,2 per cento del PIL, per poi risalire nel 2024 al 6,3, livello che il governo ha deciso di mantenere anche per il 2025 coi nuovi stanziamenti. Dal 2026 non è ancora chiaro cosa succederà: il Piano strutturale di bilancio prevede che in rapporto al PIL la spesa sanitaria scenderà di nuovo al 6,2 per cento, ma il dato non tiene conto degli interventi di questa legge di bilancio.
Meloni ha più volte rivendicato di aver portato la dotazione del Fondo sanitario nazionale al massimo storico, cosa che ha fatto anche in questa occasione: in effetti è così, ma parliamo di cifre assolute. La spesa sanitaria ha invece fatto fatica a tenere il passo della crescita generale dell’economia, il parametro da valutare per capire quanta parte del reddito che un paese produce in un anno viene utilizzato per finanziare la sanità.
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