L’onda di birra a Londra

Che sembra uno scioglilingua ma ci fu davvero, il 17 ottobre del 1814, e provocò la morte di otto persone

Un uomo in piedi su una botte su una grossa ondata di birra in un'illustrazione molto esagerata dell'evento
Un'illustrazione molto esagerata della vicenda (CC BY-NC 2.0 via Flickr)
Caricamento player

All’incrocio tra Tottenham Court Road e New Oxford Street, a due passi dal British Museum, in centro a Londra, due secoli fa c’era un birrificio chiamato Horse Shoe Brewery. Era uno dei più grandi della città, di proprietà dell’azienda Meux and Company ed era specializzato nella produzione di porter, un tipo di birra dal sapore intenso e amaro e dalla tipica colorazione scura.

Il 17 ottobre del 1814, duecentodieci anni fa, l’Horse Shoe fu oggetto di quello che lo scrittore ed esperto di birra Martyn Cornell ha definito «probabilmente il peggiore disastro industriale che abbia coinvolto un birrificio britannico»: ettolitri ed ettolitri di birra si riversarono nelle strade del quartiere, uccidendo otto persone.

A inizio Ottocento per far fermentare la birra a Londra si usavano botti di legno alte anche più di sei metri tenute insieme da grossi anelli di metallo. Per Ian S. Hornsey, autore di un libro dedicato alla storia della birra, è opinione diffusa che una delle principali attrazioni della città al tempo fossero proprio le botti giganti dei principali birrifici di porter, tanto che le loro dimensioni erano considerate un simbolo di prestigio.

Alle 16:30 del 17 ottobre, un lunedì, uno degli anelli che stringevano una delle botti del birrificio si ruppe, probabilmente dopo essersi corroso. Un impiegato della fabbrica, George Crick, disse a un giornale locale che succedeva abbastanza spesso, e che quindi gli era stato detto di prenderne nota in attesa delle dovute riparazioni. Circa un’ora dopo tuttavia la botte esplose con una pressione tale da far crollare una parete dell’edificio e far esplodere altre botti: ma soprattutto fece riversare in strada circa 1,2 milioni di litri di porter, quasi la metà di una piscina olimpionica.

Un’illustrazione del birrificio Horse Shoe di Londra (via Wikimedia Commons)

I testimoni parlarono di un’onda di birra alta circa un metro e mezzo che nel giro di pochi minuti travolse decine di persone, allagò le cantine e distrusse almeno due case del quartiere di St Giles, che al tempo era densamente popolato e pieno di baracche abitate perlopiù da immigrati irlandesi e persone povere. In uno dei suoi libri dedicati alla birra, sempre Cornell scrive che vent’anni dopo una persona statunitense che era a Londra raccontò di essersi «trovata spinta in avanti a grande velocità da un torrente che si era scagliato contro di me così improvvisamente da togliermi quasi il respiro».

In totale morirono un bambino e sette donne, tra cui quattro irlandesi riunite in uno scantinato per una veglia funebre e la barista quattordicenne di un pub. Nessuno degli operai del birrificio fu ferito: tre vennero soccorsi nella “marea” di birra e uno tra i detriti provocati dall’esplosione. Alcune persone invece si salvarono aggrappandosi ai mobili, riferì Crick.

Il giorno seguente il Morning Post descrisse una «scena di desolazione terribile e impressionante, paragonabile solo a quelle provocate da un incendio o un terremoto». Sempre Crick stimò che il birrificio avesse perso tra gli 8 e i 9mila barili di porter. Alcune guardie ne approfittarono per chiedere uno o due pence per mostrare i resti dei barili scoppiati, attirando centinaia di curiosi. Nel quartiere si sentì odore di birra per mesi.

Una mappa del quartiere di St Giles di fine Ottocento: all’incrocio al centro si vede indicato il birrificio Horse Shoe (Wikimedia Commons)

Si raccontò anche che durante l’evento c’era gente che provava a raccogliere la birra con i recipienti che aveva sottomano oppure cercava di berla direttamente. Come ha spiegato all’Independent Cornell, però, questo non fu documentato da nessuna delle cronache del tempo, che invece parlarono di una situazione gestita con una relativa tranquillità. Queste voci in effetti si diffusero solo molto tempo dopo, ha spiegato Cornell, e probabilmente erano basate «più su quello che la gente era convinta fosse successo, piuttosto che su quello che era successo davvero». D’altra parte al tempo i giornali inglesi non ci andavano molto leggeri con gli immigrati irlandesi, e il fatto che non descrissero alcuna situazione caotica suggerisce già che non fosse accaduto niente di che.

Sul caso fu aperta un’indagine, ma alla fine si stabilì che l’evento era stato “un volere di Dio”, e pertanto inevitabile. Il birrificio perse 23mila sterline, l’equivalente di circa 1,8 milioni di euro odierni: l’azienda riuscì a evitare il fallimento grazie a un rimborso di circa un terzo ottenuto per le accise che aveva già versato sulla birra andata persa. Per aiutare i residenti di St Giles che avevano subìto danni invece due parrocchie organizzarono delle raccolte fondi.

Quello del 1814 comunque non fu l’unico incidente del genere. Nel gennaio del 1919 in una fabbrica di Boston scoppiò una grossa tanica che fece fuoriuscire 8 milioni di litri di melassa, provocando ampi danni e la morte di ventuno persone.

La Horse Shoe Brewery chiuse nel 1921 per essere rimpiazzata dal Dominion Theatre otto anni dopo. L’incidente comunque portò il settore a dotarsi a poco a poco di cisterne di materiali più resistenti; St Giles invece continuò a essere un quartiere con condizioni di vita pessime: a metà Ottocento fu demolito per fare spazio a New Oxford Street.

– Leggi anche: Una birra come quella di tremila anni fa