L’allagamento del liceo Parini di Milano, vent’anni fa
Causato da cinque studenti per saltare un compito in classe, ebbe gravi conseguenze e diventò un caso nazionale
Nella notte tra sabato 16 e domenica 17 ottobre del 2004, vent’anni fa, cinque studenti di sedici anni del liceo classico Parini di Milano si intrufolarono nella loro scuola e la allagarono. Lo fecero aprendo alcuni rubinetti dei bagni del terzo piano e bloccando con plastica e colla gli scarichi, per poi andarsene sapendo che la scuola sarebbe stata riaperta solo il lunedì. L’allagamento rese inagibili alcune parti dell’edificio per diversi mesi, causando centinaia di migliaia di euro di danni. La notizia attirò le attenzioni di giornali locali e nazionali, che la seguirono per giorni con articoli di cronaca, editoriali, interventi dei lettori, sondaggi e appelli degli insegnanti.
Erano anni in cui occupazioni e atti vandalici nelle scuole non erano così rari, ma a rendere peculiare quella storia e a trasformarla in un caso fu soprattutto il fatto che nel giro di poco venne fuori che i responsabili non erano vandali esterni alla scuola, ma un gruppo di studenti che la frequentava, iscritti quindi a uno dei licei classici più prestigiosi del centro di Milano, che avevano architettato tutto solo per saltare un compito di greco.
Il liceo classico Parini si trova in via Goito, nel quartiere centrale di Brera. È un liceo classico storico: fu fondato nel 1774 per volere di Maria Teresa d’Austria, e per la sua posizione è da sempre frequentato in gran parte da ragazzi e ragazze delle famiglie alto-borghesi della città. Negli ultimi decenni è diventato uno di quei licei noti anche per essere animati politicamente e con studenti generalmente schierati a sinistra. Tra i suoi alunni più celebri ci sono gli scrittori Alessandro Manzoni, Carlo Emilio Gadda, Dino Buzzati e il giornalista Walter Tobagi.
È anche poco distante dalla sede del Corriere della Sera in via Solferino, altro motivo per cui l’allagamento fu così seguito. A vent’anni di distanza molti a Milano se lo ricordano bene, proprio per le dimensioni che assunse quella che doveva essere solo una bravata, e per la risonanza che ebbe.
Degli studenti coinvolti – gli allagatori, come vennero soprannominati e come sono ricordati ancora oggi – non furono mai diffusi i nomi, dato che erano minorenni. Vennero sospesi per quindici giorni (il massimo per la giustizia scolastica), processati dal tribunale dei minori e dovettero fare un lungo periodo di messa alla prova e di volontariato sia fuori che dentro la scuola. Oltre a questo furono esposti ad attenzioni mediatiche per mesi, con giudizi e critiche anche molto pesanti. Una di loro cambiò scuola – e quando la cosa si seppe molti studenti e professori del nuovo istituto si opposero – mentre gli altri rimasero al Parini. Le famiglie furono condannate a pagare un totale tra i 200 e i 300mila euro di danni.
– Leggi anche: Com’è davvero Rozzano
Un ex studente racconta che entrare a scuola allora era facile e succedeva che gli studenti lo facessero, senza provocare danni: «passavamo i venerdì sera nei dintorni della scuola, dove c’era un Blockbuster. Una sera di fine agosto ci annoiavamo e abbiamo scavalcato il cancello che c’era davanti alla scuola e siamo entrati passando dalle cantine». Non c’era nessuno a sorvegliarla e non molto da fare: «al massimo qualche sciocchezza come fumare in classe o nell’ufficio del preside».
Lunedì 18 ottobre 2004, quando gli studenti e le studentesse del liceo classico Parini di Milano arrivarono davanti alla scuola alle otto del mattino trovarono l’ingresso bloccato. Gli operatori scolastici avvisarono tutti che l’istituto era inagibile perché completamente allagato e che non ci sarebbero state le lezioni. Un ex studente racconta che la maggior parte di quelli che si erano trovati fuori dall’istituto esultò per il giorno di vacanza inaspettato. «Proprio quel lunedì venivano messi in vendita i biglietti di Milan-Barcellona che giocavano in Champions, ma noi eravamo a scuola e non potevamo comprarli – dice – Quando la bidella ci ha detto che la scuola era chiusa siamo corsi tutti al Milan point in piazza XXIV Maggio».
La mattina stessa fuori da scuola pare che i cinque responsabili si vantarono con altri studenti di essere riusciti a far saltare la verifica (qualcuno si fregiava di aver comprato la colla, altri di aver avuto l’idea). Non si resero subito conto dei danni che avevano provocato e delle conseguenze che ci sarebbero state. Nei giorni successivi però si seppe che l’acqua aveva causato danni molto gravi alla scuola, quantificati inizialmente in 500mila euro, che richiedevano interventi di ristrutturazione e che rischiavano di renderla inagibile anche per diverse settimane.
Il preside, Carlo Arrigo Pedretti, valutò persino di spostare tutte le classi da un’altra parte, ma non si riuscì a trovare un posto adatto a ospitare gli oltre 750 studenti in così poco tempo. Dopo una settimana di lezioni sospese – per fare asciugare i muri e valutare i danni alla struttura – si scelse di fare rientrare gli studenti suddividendo le 35 classi nelle poche aule rimaste agibili al terzo piano e organizzando le lezioni in turni, sia al mattino che al pomeriggio, per permettere a tutti di frequentare. «Ci rendemmo conto della gravità della situazione solo dopo, quando iniziammo a fare lezione al pomeriggio. La scuola era messa davvero male», continua l’ex studente.
Quattro dei responsabili confessarono dopo pochi giorni dal rientro in classe. Lo fecero tramite una lettera che diedero al preside accompagnati dai genitori: «siamo stati noi, siamo così dispiaciuti e increduli che siamo rimasti incapaci di autodenunciarci. Niente silicone, ma colla comprata in cartoleria e domopak, volevamo creare soltanto un piccolo guasto per ritardare l’entrata a scuola ed evitare il compito di greco, invece è stato un disastro. Condividiamo con i nostri compagni e i professori il giudizio ignobile su questo gesto, anche noi ci consideriamo ignobili». Un quinto ragazzo confessò in seguito, ma disse sempre di non aver fatto niente e di essere solo stato con gli altri mentre agivano, cercando di dissuaderli. Fu chiamato “il palo” sui giornali (che durante le rapine è la figura che si accerta che non arrivi la polizia mentre altri commettono il crimine), ma anche lui subì le stesse conseguenze degli altri quattro.
– Leggi anche: È stata approvata la riforma del voto in condotta
Sui giornali e online (sui forum, visto che i social network non c’erano ancora), si aprì un dibattito molto partecipato e animato che coinvolse studenti, professori, genitori e lettori che quotidianamente mandavano lettere e mail per dire la loro. Si discuteva della punizione più adatta per i responsabili (vennero fatti anche dei sondaggi tra i lettori), dell’opportunità di riammetterli a scuola, di chi dovesse pagare i danni e di chi fosse davvero la responsabilità (oltre ai cinque studenti) per questo gesto: dei genitori che li trascuravano, dei professori che non li avevano formati bene o addirittura della televisione. Molti studenti e genitori che conoscevano l’identità dei responsabili li denunciarono. Alcuni professori scrissero una lettera alla ministra dell’Istruzione, Letizia Moratti, chiedendo che gli studenti responsabili venissero espulsi dalla scuola o comunque puniti in modo esemplare. Gli studenti iniziarono a raccogliere firme per dissociarsi dall’atto e per condannarlo, ma questa iniziativa perse di valore quando si scoprì che l’aveva firmato anche qualcuno dei responsabili (prima di confessare).
«Come ex pariniano propongo che gli imbecilli che hanno distrutto la scuola partecipino ai lavori di riparazione. Affinché le loro inutili teste vuote oltre all’acqua assorbano anche un po’ di rispetto», scriveva un lettore al Corriere. O ancora, scriveva un’alunna: «sono soggetti che non meritano di frequentare una scuola pubblica».
Tra chi invece cercò di smorzare le reazioni ci furono lo stesso preside della scuola, che in più occasioni ribadì la necessità prima di tutto di accoglierli applicando lo statuto scolastico: «I ragazzi sono innocenti finché non viene emessa una sentenza di condanna», e aggiunse, «insomma non posso rinchiudere i responsabili dell’allagamento nelle segrete del Parini, nonostante il parere contrario di qualche mio collega». Ma si schierò con loro anche Aldo Scarpis, il professore di greco il cui compito in classe volevano evitare a tutti i costi: «È stata una bravata fatta in modo irresponsabile da ragazzi come tutti gli altri».
Pochi anni dopo la storia del Parini allagato venne raccontata un libro, Alligatori al Parini, scritto da un ex alunno, Giacomo Cardaci, edito da Mondadori. Tra chi frequenta il Parini oggi o lo ha fatto negli ultimi anni è ancora un aneddoto da raccontare e un episodio evocato dai professori, sul quale gli studenti fanno battute quando vogliono saltare un compito in classe.