In Qatar l’esperimento di democrazia non ha funzionato
Nel 2021 si tennero le prime elezioni per alcuni membri di un'assemblea consultiva, ma ora l'emiro vuole annullare la procedura con un referendum
L’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al Thani ha annunciato che nel paese si terrà un referendum per eliminare il processo che permette ai cittadini di eleggere due terzi dei membri del Consiglio della Shura, l’assemblea che detiene qualche limitato potere consultivo e di veto. L’eventuale approvazione della proposta metterebbe definitivamente fine alle timide aperture del paese a una qualche forma di rappresentatività democratica.
Il Qatar è una monarchia assoluta, ma in teoria la Costituzione approvata nel 2003 prevede che due terzi dei membri del Consiglio siano scelti dai cittadini per via elettiva. Le elezioni però sono state rimandate per anni e alla fine si sono svolte per la prima volta nel 2021, non a caso poco prima che il paese ospitasse il Mondiale di calcio del 2022, un periodo in cui era forte l’attenzione internazionale sul governo autoritario del Qatar. Le prime elezioni potrebbero essere anche le ultime: l’emiro le ha definite «un esperimento» e ha detto che non solo non hanno funzionato, ma anzi hanno «aumentato le tensioni sociali».
Il Qatar è un paese sul Golfo Persico, grande poco più dell’Abruzzo, e con 3 milioni di abitanti. Soprattutto grazie alla sua enorme ricchezza derivata dall’esportazione degli idrocarburi, è però un paese con una forte influenza sia sull’economia mondiale sia su alcune questioni internazionali relative al Medio Oriente.
La famiglia Al Thani lo governa dal 1971, quando il Regno Unito rinunciò al suo protettorato. L’emiro del Qatar ha il potere di nominare e licenziare il primo ministro e tutto il governo, è il capo delle forze armate e controlla il sistema giudiziario. Tamim bin Hamad al Thani ha 44 anni ed è al potere dal 2013. Nel 2003 in Qatar fu approvata una Costituzione che prevedeva l’istituzione di un’assemblea consultiva elettiva, con potere di proporre leggi, approvare i bilanci statali e consigliare l’emiro.
Il Consiglio può bloccare leggi proposte dal governo con una maggioranza assoluta e sfiduciare il primo ministro con una maggioranza di due terzi; non può invece occuparsi di questioni relative alla difesa, alla sicurezza e all’economia. All’emiro è riservata la nomina di 15 dei 45 membri, ma le elezioni sono state posticipate per quasi vent’anni e la famiglia Al Thani ha nominato tutti i membri dell’assemblea.
Nel 2011 il Qatar era stato coinvolto solo in minima parte nelle cosiddette Primavere arabe, le proteste e manifestazioni contro la corruzione e a favore della democrazia che si svilupparono in quasi tutto il mondo arabo. Le elezioni erano state previste per il 2013, poi rinviate al 2016, quindi al 2019 e si sono tenute infine solo nel 2021, dopo la fine di una crisi diplomatica che aveva portato all’isolamento e al boicottaggio del Qatar da parte di Arabia Saudita, Bahrein, Egitto ed Emirati Arabi Uniti.
Non erano comunque elezioni democratiche: in Qatar sono vietati i partiti politici e ogni forma di sindacalizzazione, e l’accesso al voto è parecchio limitato. Per candidarsi, ma anche per votare, è necessario appartenere a una famiglia che risieda in Qatar dal 1930: questo non solo taglia fuori i molti nuovi cittadini naturalizzati, ma di fatto il 75 per cento della popolazione, lasciando il potere in mano a un ristretto numero di famiglie, anche chiamate “clan”. Quasi tutti i candidati alle elezioni del 2021 erano uomini, e nessuna donna risultò eletta: l’emiro nominò le uniche due donne attualmente presenti nel Consiglio.
Nell’ampia parte di sudditi esclusi dal voto c’erano i membri della tribù Al Murrah, un gruppo beduino che rappresenta una componente importante della popolazione qatariota ma che ha le sue origini in Arabia Saudita. Molti membri del gruppo a varie riprese fra il 2000 e il 2017 hanno perso la nazionalità qatariota per decisione dell’emiro: in alcuni casi la decisione è sembrata una ripercussione per il sostegno della tribù all’ex emiro Khalifa bin Hamad, deposto nel 1995 (e morto nel 2016). Membri del gruppo Al Murrah avevano protestato per l’esclusione dal voto, anche con manifestazioni pubbliche, per nulla consuete nell’emirato.
Tamim bin Hamad al Thani nell’annunciare il referendum (per cui non è stata ancora fissata una data) ha fatto riferimento proprio a queste tensioni sociali: «Le elezioni avevano assunto una connotazione basata sull’identità dei candidati che non siamo attrezzati a gestire e che potrebbero creare problemi in futuro». Ha anche aggiunto che il Consiglio della Shura «non è un parlamento rappresentativo in un sistema democratico» e che per questo la sua autorevolezza non sarebbe intaccata dalla nomina diretta dei membri.
L’emiro sembra voler ristabilire la formula ufficiale di sovranità «per consenso», secondo cui i regnanti governano con il consenso del popolo (in realtà lo fanno con un potere assoluto). L’unico paese dell’area del Golfo Persico ad avere un parlamento democraticamente eletto, con qualche potere più sostanziale, è il Kuwait: a maggio però l’emiro Meshal Al Ahmad Al Jaber lo ha sciolto. I suoi membri erano stati eletti solo un mese prima e l’assemblea resterà vacante per almeno i prossimi quattro anni.
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