Elon Musk sta facendo di tutto per far vincere Donald Trump
Partecipa alla sua campagna per le presidenziali di novembre, ha speso decine di milioni di dollari e mobilitato il suo social network, in un attivismo che ha pochi precedenti
Nell’aprile del 2022, quando aveva già iniziato il tortuoso processo che l’avrebbe portato a comprare il social media Twitter (che poi ha cambiato nome in X), il miliardario statunitense Elon Musk scrisse in un post: «Per guadagnarsi la fiducia del pubblico Twitter deve essere politicamente neutrale, e questo significa infastidire allo stesso modo la destra e la sinistra».
Due anni e mezzo dopo Musk ha abbandonato ogni pretesa di neutralità: quest’estate ha dato il suo sostegno a Donald Trump, il candidato Repubblicano alle elezioni presidenziali americane, e ha iniziato a fare attivismo trasformandosi in uno dei suoi più importanti alleati politici. Musk ha mobilitato il suo numeroso pubblico su X a sostegno della causa trumpiana, e ha speso decine di milioni di dollari per finanziare la campagna elettorale di Trump e dei candidati Repubblicani al Congresso.
Soprattutto, Musk ha cominciato a impegnarsi di persona per la campagna di Trump, partecipando a comizi e trasformandosi in quello che nel gergo politico statunitense viene definito un “surrogate”, cioè una persona che partecipa agli eventi pubblici facendo le veci di un candidato.
Di solito i “surrogate” sono alleati politici del candidato, come deputati, senatori o ex presidenti. Per esempio tra i “surrogate” di Trump ci sono Lara Trump, nuora dell’ex presidente e tra le leader del Partito Repubblicano; la governatrice dell’Arkansas Sarah Huckabee Sanders e l’ex deputata Tulsi Gabbard. Ai comizi e agli eventi organizzati dalla campagna della candidata Democratica Kamala Harris presenziano Barack Obama, Bill e Hillary Clinton e vari governatori e parlamentari. È invece molto più inusuale che un imprenditore come Musk, che è l’uomo più ricco del mondo, accetti di diventare il “surrogate” di un candidato politico.
Il primo comizio a cui Musk ha partecipato è stato a inizio ottobre a Butler, la cittadina della Pennsylvania dove a luglio un ragazzo sparò a Trump e lo ferì lievemente all’orecchio. In occasione del ritorno di Trump a Butler, Musk è salito sul palco saltellando festoso, in una maniera un po’ goffa. Dal palco Musk ha elogiato Trump in maniera sperticata. Indossava un cappellino da baseball con la scritta MAGA (Make America Great Again, il motto di Trump) che anziché nel solito colore rosso era nero: Musk ha detto di essere un “Dark MAGA”, un riferimento a una criptovaluta che si chiama così.
Ultimamente Musk sta dedicando parecchio tempo e risorse alla campagna di Trump. Ha creato un quartier generale in Pennsylvania, uno degli stati in bilico che potrebbero determinare l’esito delle elezioni, e ha ingaggiato alcuni manager delle sue aziende per gestire le operazioni in favore di Trump (Musk è l’amministratore delegato di Tesla e SpaceX, tra le altre). C’è perfino la possibilità che Musk decida di fare lui stesso volantinaggio porta a porta, in parte per sfruttare la propria notorietà e in parte per verificare come vengono spesi i soldi che investe.
Non è chiaro quanti soldi Musk abbia investito finora nella campagna di Trump e di altri candidati Repubblicani al Congresso, ma probabilmente si parla di decine o anche centinaia di milioni di dollari. Per farlo ha istituito un Super PAC, cioè un veicolo finanziario che consente di fare ingenti donazioni ai candidati evitando alcune delle regole più rigide sulla rendicontazione delle donazioni politiche.
Secondo le ultime rendicontazioni, tra luglio e inizio settembre Musk ha trasferito al suo Super PAC, che si chiama America PAC, circa 75 milioni di dollari. Questa cifra è già sufficiente per renderlo uno dei principali finanziatori dei Repubblicani alle elezioni del 5 novembre, ma secondo i media il budget complessivo dell’operazione politica di Musk ammonterebbe a molto di più. Una persona vicina all’imprenditore che ha parlato con il New York Times ha detto che Musk prevede di spendere, entro il giorno delle elezioni, circa 500 milioni di dollari.
Come spesso è avvenuto con le iniziative pubbliche di Musk, queste operazioni politiche sono state accompagnate da polemiche e da vari scandali legati al suo tipico stile confusionario, con manager assunti e poi licenziati all’improvviso, lotte interne e sospetti tra le persone coinvolte.
Per sostenere la candidatura di Trump e dei Repubblicani Musk sta utilizzando anche tutta la sua influenza su X: utilizza il suo account con oltre 200 milioni di follower per promuovere incessantemente Trump e le sue proposte, e ha anche cercato di impedire la diffusione di materiale potenzialmente imbarazzante per la campagna di Trump. Quando ha istituito il suo America PAC, tra le altre cose, ha requisito unilateralmente l’account @america, togliendolo alla persona che l’aveva registrato e prendendone il controllo. Su X (e prima su Twitter) gli account che usano parole molto note nel linguaggio quotidiano sono particolarmente richiesti dagli utenti: l’azienda ha il diritto di requisirli a suo piacimento, ma è una pratica che di solito viene considerata scorretta.
Questo genere di coinvolgimento di un grande imprenditore (tanto più: dell’uomo più ricco del mondo) in una campagna elettorale è «senza precedenti nella storia moderna», ha scritto il New York Times. Ci sono casi molto noti di imprenditori che hanno sostenuto, finanziariamente o con la partecipazione sporadica a eventi pubblici, i propri candidati preferiti, ma nessuno che abbia dedicato così tante risorse da diventare tanto influente e quasi organico nella campagna di un candidato. Musk mantiene rapporti molto stretti con i figli di Trump, che collaborano con il padre, e si coordina in maniera serrata con i dirigenti della campagna.
Benché fosse piuttosto chiaro almeno da un paio d’anni che Musk avesse tendenze politiche conservatrici e favorisse il Partito Repubblicano, fino a pochi mesi fa non era ritenuto un sostenitore fanatico di Trump: l’anno scorso aveva ospitato su X l’annuncio della candidatura alle primarie del partito Repubblicano di Ron DeSantis (che poi si è ritirato), e fino a questa primavera diceva alle persone a lui vicine che non era nemmeno sicuro che avrebbe dato il suo sostegno pubblico a Trump (l’ha annunciato a luglio).
Da allora la sua adesione alla causa trumpiana è diventata sempre più appassionata: secondo il New York Times, una persona con cui Musk ha parlato di recente lo ha sentito dire, senza ironia: «Io adoro Donald Trump».
Il sostegno entusiasta di Musk è abbastanza difficile da giustificare. Secondo alcune analisi, Musk starebbe puntando su una possibile vittoria di Trump per ottenere vantaggi economici dalla sua amministrazione, principalmente sotto forma di taglio delle tasse ed eliminazione di leggi e regolamenti federali nei settori in cui operano le sue aziende. Trump ha detto perfino che potrebbe dare a Musk un ruolo nella sua amministrazione, come “segretario al Taglio dei costi”.
Al tempo stesso, se Musk cercasse da Trump soltanto benefici e vantaggi non avrebbe bisogno di impegnarsi così apertamente in prima persona. Probabilmente per ottenere politiche favorevoli e vantaggi economici potrebbe limitarsi a fare grosse donazioni a Trump e al partito, come molti altri miliardari e imprenditori prima di lui.
È dunque possibile che Musk sostenga Trump non soltanto per convenienza, ma anche per sincera ed entusiasta aderenza al suo messaggio e alle sue proposte. Nei suoi post su X e nei suoi interventi pubblici Musk sembra davvero convinto di molte delle posizioni di Trump, che spesso si basano su presupposti falsi o fuorvianti: sostiene per esempio che gli Stati Uniti stiano subendo un’invasione di immigrati irregolari, e che la presenza dei migranti potrebbe corrompere lo spirito degli Stati Uniti. È convinto che la criminalità sia fuori controllo e che la “cultura woke” sia un pericolo per il paese.
Questa posizione è però piuttosto rischiosa. Le più importanti aziende di Musk dipendono in parte dai sussidi e dagli appalti dello stato americano, e di solito gli imprenditori che si trovano in questa situazione cercano di bilanciare il proprio sostegno politico per avere alleati in ogni partito. È quello che faceva anche Musk, che fino a pochi anni fa elargiva donazioni tanto ai Repubblicani quanto ai Democratici. Sbilanciarsi in maniera estrema a favore di un candidato, come ha fatto Musk, potrebbe avere ricadute negative, soprattutto se poi quel candidato non vince. L’ha riconosciuto lui stesso in un’intervista recente: se Trump non vince, «sono fottuto», ha detto.