Per un ristorante essere stellato non è sempre un bene

Per le maggiori pressioni finanziarie e le diverse aspettative della clientela: il Giglio di Lucca non è l'unico che ne farebbe a meno

Lo chef messicano Jorge Vallejo nel suo ristorante Quintonil da due stelle Michelin (EPA/JOSE MENDEZ)
Lo chef messicano Jorge Vallejo nel suo ristorante Quintonil da due stelle Michelin (EPA/JOSE MENDEZ)

Nei giorni scorsi diversi giornali italiani e siti di news hanno ripreso l’annuncio di un noto ristorante di Lucca, Giglio, di voler «rinunciare» alla stella Michelin, il più ambito riconoscimento nel campo dell’alta ristorazione, in Italia assegnato nel 2024 soltanto a 395 ristoranti (tra cui Giglio, dal 2019). I titolari avevano scritto di aver comunicato alla guida Michelin la loro decisione e di voler tornare a lavorare senza più la preoccupazione degli «standard altrui». Avevano per questo ricevuto diversi apprezzamenti sui social, ma anche qualche critica da chi considerava il loro annuncio un modo di farsi pubblicità, prevenendo un eventuale declassamento o un’esclusione dalla guida del 2025.

L’annuncio ha generato infatti una certa confusione riguardo al funzionamento della guida Michelin, che esce ogni anno in una nuova edizione. Contrariamente a quanto i gestori di Giglio con il loro post lasciano supporre, le stelle – assegnate fino a un massimo di tre – non sono un riconoscimento che è possibile restituire, così come non è possibile richiederlo. Sono gli ispettori, in incognito, a giudicare i ristoranti e a promuoverne l’inclusione oppure no nella guida (si può anche solo essere citati, senza ricevere stelle). Di anno in anno i critici tornano poi a mangiare nei ristoranti, sempre in incognito, per confermare o smentire i giudizi espressi in precedenza.

«Puoi essere d’accordo oppure no, ma non puoi restituire le stelle», spiegò nel 2015 a Vanity Fair Michael Ellis, allora direttore internazionale di tutte le guide Michelin, definendo la restituzione delle stelle «una specie di leggenda metropolitana».

Il rifiuto del riconoscimento da parte del ristorante è un caso abbastanza raro: perché ottenerlo richiede molto impegno, prima di tutto, ed è di solito un’ambizione esplicita degli chef. In un ambiente estremamente competitivo come la ristorazione, avere una stella Michelin (o più di una) ha inoltre molte ripercussioni sul piano delle attenzioni mediatiche e del ritorno economico. Per la maggior parte dei ristoranti stellati perdere una stella non solo è considerato un mezzo fallimento ma, secondo uno studio del 2005, può voler dire perdere fino al 50 per cento del fatturato.

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Scelte simili a quella annunciata dal ristorante toscano erano tuttavia state prese e comunicate in passato da altri ristoratori, tra cui lo chef francese Sébastien Bras, che nel 2017 aveva chiesto che il suo ristorante venisse privato delle tre stelle Michelin che aveva dal 1999, dicendosi stanco delle pressioni e delle aspettative che quel riconoscimento generava. Per le stesse ragioni, nel 2011, la chef australiana Skye Gyngell, del Petersham Nurseries di Londra, aveva definito l’attribuzione delle stelle Michelin una «maledizione».

Prima ancora, nel 2003, si era parlato a lungo del suicidio del 52enne Bernard Loiseau, all’epoca uno degli chef più famosi in Francia, nonché fonte di ispirazione per un personaggio del film della Pixar Ratatouille. La sua morte era stata associata da alcuni media alle voci che circolavano nei giorni precedenti riguardo alla possibilità che il suo ristorante in Borgogna, La Côte d’Or, stesse per perdere la terza stella dopo 12 anni (non accadde: l’avrebbe poi persa soltanto nel 2016).

Da tempo le stelle Michelin sono associate da un lato al prestigio nazionale e internazionale che procurano ai ristoranti che le ricevono, ma dall’altro agli sforzi necessari per mantenerle, che in alcuni casi possono diventare insostenibili. Una ricerca pubblicata ad agosto sulla rivista Strategic Management Journal ha descritto le diverse difficoltà dei ristoranti stellati, che una volta ottenuto questo riconoscimento spesso subiscono maggiori pressioni finanziarie e devono far fronte ad aspettative più elevate e richieste più eterogenee e mutevoli da parte della clientela: condizioni che di fatto comportano varie forme di limitazione professionale per gli chef.

I due chef osservano una prova con le braccia posate su un bancone

I famosi chef Heston Blumenthal e Michel Roux Jr., proprietario del ristorante stellato di Londra “Le Gavroche”, chiuso nel 2024, osservano una gara di cucina al Mandarin Oriental Hyde Park, a Londra, il 6 aprile 2009 (Oli Scarff/Getty Images)

Condotta dal ricercatore dello University College London Daniel B. Sands, la ricerca è limitata a New York, per cui esiste una guida Michelin specifica dal 2005. Per ottenere un campione significativo Sands ha compilato un elenco di tutti i ristoranti di nuova apertura tra il 2000 e il 2014, e che nel loro primo anno di attività avevano ricevuto stelle nelle recensioni dei critici gastronomici del New York Times. Ha quindi controllato quali di quei ristoranti avessero ricevuto una o più stelle anche nelle guide Michelin, e quali tra tutti fossero rimasti aperti fino al 2019.

Dalla ricerca è emerso che i ristoranti che avevano ricevuto stelle Michelin, rispetto a quelli che non ne avevano ricevute, avevano maggiori probabilità di chiudere nel giro di qualche anno. Alla fine del 2019 il 40 per cento dei ristoranti newyorkesi premiati con stelle Michelin tra il 2005 e il 2014 aveva chiuso definitivamente l’attività. E la correlazione tra le stelle Michelin e la probabilità di fallimento persisteva anche tenendo in considerazione fattori variabili come la posizione del ristorante, i prezzi e il tipo di cucina.

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Contattati da Sands per la ricerca, i titolari delle attività fallite hanno associato al riconoscimento da parte della guida Michelin un aumento dei problemi nelle contrattazioni con i proprietari dei locali, con i fornitori delle materie prime e con i dipendenti, oltre a un aumento delle aspettative dei consumatori. I locatari e i fornitori vedevano la stella Michelin come un’opportunità per farsi pagare di più, e i dipendenti – inclusi gli chef – come un’opportunità per lasciare il ristorante e mettersi in proprio, aumentando la concorrenza.

Ricevere stelle Michelin aveva inoltre stravolto la composizione della clientela, determinando un aumento di quella occasionale e proveniente da lontano, e una diminuzione drastica di quella abituale, fino a quel momento considerata fondamentale per la sostenibilità dell’azienda. Questo non significa, secondo Sands, che tutti gli effetti delle stelle Michelin siano negativi: alcuni ristoranti, quelli gestiti da aziende economicamente solide, ne avevano tratto beneficio. La ricerca ha scoperto che l’intensità delle ricerche su Google per i ristoranti appena premiati era aumentata in media di oltre un terzo rispetto a prima.

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A giugno la rivista Harper’s citò alcuni esempi illustri di ristoranti di alto livello chiusi di recente a Londra, che è descritta sulla guida Michelin come una delle città migliori al mondo per qualità e varietà delle cucine internazionali proposte nei ristoranti. Tra quelli chiusi nel 2024 ci sono The Greenhouse dello chef Alex Dilling, che aveva due stelle, il Cornerstone dello chef Tom Brown, aperto nel 2018 e premiato con una stella nel 2019, e il Gavroche dello chef Michel Roux Jr., aperto nel 1967 e primo ristorante inglese a ricevere una stella Michelin.

Una foto in bianco e nero dell'ingresso del ristorante e della facciata dell'edificio in cui si trovava

Il ristorante “Le Gavroche” al 61 di Lower Sloane street, a Londra, il 21 ottobre 1974 (Evening Standard/Hulton Archive/Getty Images)

Harper’s ha descritto la chiusura di diversi locali storici come una conseguenza di difficoltà più estese che riguardano tutto il settore dell’alta ristorazione, riconducibili agli effetti a lungo termine della pandemia, all’aumento dei costi di gestione e di approvvigionamento delle forniture, e alla carenza di manodopera. Sono problemi presenti anche in altri paesi e almeno in parte simili a quelli citati nella ricerca di Sands. Harper’s segnala tra le probabili cause anche la rapida evoluzione della cultura della ristorazione, che può provocare crisi economiche senza precedenti anche nel caso dei ristoranti più famosi e acclamati.

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In questo contesto in continua evoluzione ricevere premi può essere sia un bene che un male, come vale anche per altri settori, ha scritto l’Economist. Diversi studi dimostrano in generale come le aziende gestite da dirigenti premiati ottengano risultati inferiori sia rispetto a quelli ottenuti prima dei premi, sia rispetto a quelli ottenuti da dirigenti non premiati di aziende concorrenti.

«Come gli chef stellati Michelin, i CEO superstar pretendono paghe più grasse e si distraggono più facilmente, trascorrendo più tempo a scrivere libri e a unirsi ai consigli di amministrazione», ha aggiunto l’Economist, citando anche l’esempio dell’editoria, in cui la vittoria di premi letterari ambiti tende ad attirare recensioni più severe sia rispetto a quelle ricevute in precedenza che rispetto a quelle dei libri secondi classificati.

Nel 2018 lo storico ristorante dello chef spagnolo Dani García in Andalusia, aperto da vent’anni, fu premiato con una terza stella, per poi annunciare dopo appena 22 giorni la chiusura imminente dell’attività: il più breve periodo di tripla stella Michelin per un ristorante nel mondo, scrisse l’autorevole sito gastronomico Eater. In seguito, pur definendo la terza stella la cosa migliore che gli fosse mai capitata nella carriera, García disse che pensava di chiudere già da tempo, e che non credeva di avere la concentrazione necessaria per mantenere un ristorante da tre stelle Michelin.

«Avevo già raggiunto il mio obiettivo nel mondo dell’alta ristorazione, dopo vent’anni di cucina, ma quel risultato avrebbe potuto compromettere la mia libertà di fare cose nuove», disse García a Eater. La chiusura del ristorante di García e di altri ristoranti famosi in tutto il mondo, secondo Eater, è un esempio del paradosso alla base del modello di business dell’alta ristorazione, «che richiede sempre di più a chef che devono costantemente innovare».